Finanza climatica, carbon credit, gender, mitigazione. La Cop29 si è chiusa risultati difficilmente catalogabili in maniera netta come positivi o negativi.
Cop 24, cosa resta dell’Accordo di Parigi dopo i lavori di preparazione a Bangkok
Riuniti a Bangkok, i negoziatori non sono riusciti a produrre una base di lavoro in vista della Cop 24 di dicembre sul clima. Accordo di Parigi a rischio.
L’ultima settimana di negoziati prima della prossima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, prevista per il mese di dicembre a Katowice, si è chiusa con un sentimento di rabbia e di frustrazione. Riuniti a Bangkok, in Tailandia, i rappresentanti delle quasi 200 nazioni che parteciperanno alla Cop 24, non sono riusciti a produrre una documento finale che possa rappresentare la base per i negoziati che si terranno in Polonia. “Abbiamo fatto troppi pochi progressi su alcuni temi”, ha ammesso la segretaria esecutiva dell’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), Patricia Espinosa.
Progress has been made in most issues on the table in Bangkok, but for some elements, more politically complex, only some progress has been achieved. For @COP24 in Katowice to be a success, political will needs to be intensified. #SB48Bangkok WATCH LIVE >>https://t.co/Z1u1qcCoR5 pic.twitter.com/wofK3cwRRX
— Patricia Espinosa C. (@PEspinosaC) 9 settembre 2018
“È come se dovessimo ricominciare tutto da zero”
“I paesi sviluppati sono responsabili della stragrande maggioranza delle emissioni storiche di CO2 e molti di loro si sono considerevolmente arricchiti bruciando combustibili fossili”, ha ricordato Amjad Abdulla, che rappresenta una quarantina di piccole nazioni, dalle Maldive alle Bahamas. Ciò nonostante, una parte del mondo ricco sta di fatto rifiutando di fare la propria parte. E il nodo, ancora una volta, è quello dei finanziamenti. L’Accordo di Parigi, riprendendo quando deciso già nell’ormai lontanissimo 2009 a Copenaghen, prevede uno stanziamento annuale di 100 miliardi di dollari per aiutare le nazioni più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici. “Essi ci impongono già conseguenze devastanti. Alcune nazioni rischiano addirittura di scomparire a causa della risalita del livello degli oceani”, causato dallo scioglimento dei ghiacci, ha aggiunto Abdulla.
Le nazioni più piccole, alla fine della settimana tailandese di colloqui, hanno puntato il dito senza mezzi termini nei confronti “degli Stati Uniti e dei loro alleati”. Accusati di aver attuato una politica di disimpegno di fronte alla questione climatica. In termini tecnici, ciò si traduce nell’impossibilità di ottenere un accordo sulla “struttura” dei finanziamenti futuri: come, quando e a chi – concretamente – debbano essere concessi i fondi. L’agenzia di stampa Afp ha citato in particolare una “fonte di alto livello in seno al blocco africano”, secondo la quale la situazione sarebbe a un punto di rottura. Con i paesi ricchi che “rinnegano le loro promesse e rifiutano di parlare di stanziamenti futuri”. La stessa persona ha concluso sconsolata: “È come se dovessimo ricominciare tutto da zero…”.
ActionAid: Accordo di Parigi sul clima sull’orlo del precipizio
Un punto di vista condiviso da Harjeet Singh, della ong ActionAid, secondo la quale “l’Accordo di Parigi è sull’orlo del precipizio”. Anche le associazioni, infatti, accusano gli Stati Uniti di Donald Trump, al cui fianco ci sarebbero in particolare parte dell’Unione europea (Regno Unito in testa) e l’Australia.
As Bangkok prepares to host climate-change talks, the city is itself under siege from the environment, with dire forecasts warning it could be partially submerged in just over a decade https://t.co/8uWY3qJYBd pic.twitter.com/UJFbTUjc6z
— AFP news agency (@AFP) 2 settembre 2018
A nulla è valso aver scelto Bangkok come sede della settimana di lavori preparatori in vista della Cop 24. Secondo la direttrice della divisione locale di Greenpeace, Tara Buakamsri, il 40 per cento della megalopoli tailandese, nella quale vivono più di dieci milioni di abitanti, rischia di ritrovarsi sommerso dal mare entro il 2030. Un monito che, almeno per ora, non sembra essere stato ascoltato.
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