La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Tilikum era diventato famoso per avere ucciso tre persone ed essere diventato protagonista del documentario di denuncia Blackfish.
All’età di trentasei anni, dopo averne trascorsi oltre trenta in condizione di prigionia, Tilikum è morto e ora, inevitabilmente, si apriranno le porte della sua prigione di vetro, la sua detenzione è finita.
Tilikum era un maschio di orca (Orcinus orca) lungo quasi sette metri per oltre cinque tonnellate di peso, rapito dal suo branco, a largo delle coste dell’Islanda, alla tenera età di due anni. L’animale è morto alla precoce età di 36 anni (questi cetacei possono infatti superare i settanta e si hanno notizie di un’orca libera che ha superato i cento anni di vita), nel parco SeaWorld di Orlando, dove da 23 anni si “esibiva” in spettacoli umilianti per il divertimento degli spettatori. Le cause del decesso non sono ancora note, ma Tlikum soffriva da mesi di una grave infezione batterica ai polmoni resistente ai farmaci.
La storia di Tilikum è uguale a quella di migliaia di cetacei segregati in acquari e parchi acquatici di tutto il mondo, strappati alle proprie famiglie quando erano solo dei cuccioli, rinchiusi in vasche anguste, condotti alla follia dalla prigionia e morti prematuramente. Tilkum però è diventato famoso per avere ucciso tre persone, l’addestratrice Keltie Byrne, nel primo parco dove è stato detenuto, Sealand Of The Pacific, nel 1991, Daniel P. Dukes, un ragazzo introdottosi abusivamente di notte a SeaWorld, nel 1999, e la sua addestratrice Dawn Brancheau nel 2010, che Tilikum, in un impeto di aggressività, ha trascinato dentro la vasca, staccandole un braccio e provocandone la morte per annegamento e lesioni multiple.
Queste tragedie hanno contribuito a cambiare la percezione dell’opinione pubblica dei mammiferi marini in cattività, creature intelligenti dalla complessa vita sociale (in libertà vivono in branchi anche di quaranta esemplari) che in natura occupano areali enormi. In tal senso un importante spartiacque è rappresentato da Blackfish, documentario del 2013 che racconta proprio la storia di Tilikum e denuncia i maltrattamenti delle orche nei parchi acquatici e mostra le scene strazianti delle catture delle piccole orche in natura, davanti alle proprie madri che urlano disperate.
Le orche sono animali dalla spiccata intelligenza, la cui effettiva portata ci è ancora ignota (hanno un cervello più grande del nostro e alcuni studiosi ritengono che abbiano una profondità emotiva assente nell’uomo), e protagoniste di uno dei massimi livelli di intenzionalità congiunta del regno animale (pensiamo a quando un gruppo di quattro o cinque orche nuota all’unisono in perfetta coordinazione verso un banco di ghiaccio isolato su cui si è rifugiata una foca per creare un’onda e far cadere in acqua il pinnipede). Richiudere questi animali, condannandoli ad una vita di noia e comportamenti innaturali, con interazioni ridotte e decontestualizzate con i propri simili, costringendo a vivere nella stessa vasca animali catturati in gruppi diversi, significa condannarli alla follia e a morte. Proprio a causa della condizione altamente stressante in cui ha vissuto tutta la vita Tilikum è diventato, suo malgrado, un assassino. Non si hanno invece notizie di orche selvagge che hanno ferito gravemente esseri umani.
L’enorme pinna dorsale di Tilikum simboleggiava la sua agonia, anziché essere sollevata per fendere in due l’acqua, come quella dei maschi che vivono nell’oceano, era floscia. Questo fenomeno riguarda tutti gli esemplari di orca che vivono in cattività, mentre è rarissimo in quelle libere (e riguarda solo quelle con menomazioni fisiche), e si ritiene che possa essere dovuto alla mancanza di pressione, all’assenza di flusso o alla ridotta profondità dell’acqua, fattori che impedirebbero alla pinna di restare dritta.
Nonostante la pressione pubblica e l’impegno di organizzazioni per i diritti degli animali per reintrodurre Tilikum in un santuario marino, i vertici di SeaWorld hanno sempre rifiutato e l’animale è morto prigioniero, forse cullando il ricordo della libertà e delle gelide acque islandesi. La triste vita e la morte di Tilikum non sono comunque state vane, hanno aperto gli occhi a molte persone mostrando loro l’orrore che si cela dietro gli spettacoli in cui questi cetacei sono costretti ad esibirsi. I parchi acquatici non possono fare altro che adeguarsi (dopo l’uscita di Blackfish il valore delle azioni della SeaWorld è crollato, passando di 39 a 18 dollari) e SeaWorld di San Diego ha annunciato che dal 2017 intende eliminare gradualmente gli spettacoli che coinvolgono le orche, mentre lo scorso settembre in California è stata approvata una legge chiamata Orca Protection and Safety Act, che vieta di allevare orche e farle esibire nei parchi acquatici. La tragica esistenza di Tilikum ha dunque contribuito in maniera determinante a porre fine alla schiavitù della sua specie e ha costretto la nostra a fare i conti con la propria coscienza.
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