Le nostre progenitrici portavano avanti l’allattamento al seno ben oltre il primo anno di vita dei piccoli, più a lungo e più intensamente di quanto accadesse agli altri ominidi che abitavano la Terra nello stesso periodo. Lo rivela una ricerca condotta da scienziati dell’Università di Bristol (Regno Unito) e di Lione (Francia) e pubblicata sulla rivista Science Advances. Secondo i ricercatori, l’allattamento prolungato da parte delle femmine appartenenti ai primi esemplari del genere Homo, da cui deriva l’Homo sapiens, potrebbe aver contribuito alla sua progressiva affermazione sugli altri ominidi coevi.
Lo studio ha confrontato la presenza di specifici isotopi di Calcio nello smalto dei denti di 37 ominidi sudafricani appartenenti al genere Homo e ad altre due specie di ominidi dello stesso periodo, Australopithecus africanus e Paranthropus robustus. Gli elementi raccolti hanno permesso di ricostruire le abitudini alimentari precoci dei vari gruppi, concludendo che la dieta dei piccoli di Homo rimaneva basata sul latte materno più a lungo rispetto agli altri, forse fino ai 3 o 4 anni di età. Nello smalto dentale di questa specie, infatti, è stata rilevata la presenza di specifici isotopi di Calcio (δ44 / 42Ca) indicativi di una alimentazione basata prevalentemente sul latte materno. Nei denti di Australopithecus africanus e Paranthropus robustus, al contrario, l’assenza di questa sostanza indicherebbe un passaggio più precoce a una dieta a base di cibi diversi dal latte.
Più latte materno per i piccoli di Homo
I ricercatori hanno condotto anche ulteriori analisi sulla composizione dello smalto dei denti degli ominidi, confrontando i risultati con quelli relativi ad altri mammiferi preistorici e a esemplari contemporanei di gorilla. I dati suggeriscono che i piccoli di Australopithecus africanus e Paranthropus robustus venissero allattati per meno tempo e meno intensamente rispetto ai primi esemplari di Homo, e che gli alimenti solidi venissero introdotti più precocemente nella loro dieta. Questo schema di comportamento, peraltro, risulta coerente con quello delle grandi scimmie attuali e con studi precedenti già condotti su dentature fossili di australopitechi, secondo i quali l’allattamento durava per loro circa un anno.
L’abitudine di allattare di più e più a lungo avrebbe, secondo i ricercatori, condizionato l’evoluzione del genere Homo. Prima di tutto, la maggiore durata dell’allattamento avrebbe contribuito a ridurre la frequenza delle gravidanze (la presenza di specifici ormoni durante l’allattamento al seno sfavorisce l’ovulazione), limitando la mortalità delle femmine. Anche la composizione dei gruppi sociali e il loro comportamento potrebbero essere stati condizionati dalle abitudini alimentari dei piccoli, che grazie a un maggiore apporto di latte materno potrebbero infine aver beneficiato di uno sviluppo cerebrale più rapido rispetto ai cuccioli degli altri ominidi. “Lo sviluppo di differenze comportamentali rispetto agli altri gruppi di ominidi”, ha commentato Theo Tacail, scienziato della School of Earth Sciences dell’Università di Bristol e uno degli autori dello studio, “ha probabilmente giocato un ruolo chiave nell’evoluzione degli umani, essendo strettamente connesso ad esempio alle dimensioni e alla struttura dei gruppi sociali, allo sviluppo del cervello o alla demografia”.
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