Le novità introdotte dal governo per contenere la pandemia in Italia, a partire dal green pass rafforzato, o super green pass.
Analogie da ripartenza
L’emergenza sanitaria e l’emergenza climatica sono due facce della stessa medaglia. Capiamo perché, tra analogie e sovrapposizioni per una ripartenza sana.
Abbiamo imparato piuttosto in fretta il significato del grafico che mostra l’importanza di “appiattire la curva” applicando la distanza sociale contro la diffusione incontrollata del virus Sars-Cov-2, per evitare il collasso dei servizi sanitari nazionali.
Senza distanziamento sociale
In breve, senza controlli il punto di saturazione degli ospedali non solo italiani, in particolare dei posti letto in terapia intensiva, si raggiungerebbe in pochi giorni e molte persone rimarrebbero senza cure. La curva dei contagi aumenterebbe esponenzialmente e in poco tempo la totalità della popolazione potrebbe contrarre il virus, anche in modo asintomatico.
Per l’Italia si tratterebbe di un disastro visto che le persone più fragili perché affette da altre patologie o perché anziane rappresentano una buona fetta del totale. La percentuale di persone con più di 65 anni in Italia è la più alta in Europa: 35,7 per cento secondo Eurostat.
Con distanziamento sociale
Al contrario, alcune settimane di “pausa” all’interno delle nostre case evita l’impennata esponenziale della curva dei contagi e permette agli ospedali di rimanere sotto il punto di saturazione dei posti di terapia intensiva e ai medici di curare tutti. Uno scenario ben descritto anche dal video (qui sopra) della Polizia di Stato, da tenere a mente ora che si torna prendere mezzi di trasporto pubblici, tra le altre cose.
Questo finora rimane il modo migliore per contrastare l’emergenza sanitaria e superare al più presto la pandemia da nuovo coronavirus, la prima da quando siamo entrati nell’antropocene, la cosiddetta “epoca umana”.
Ora proviamo a sovrapporre il dramma, la soluzione e i grafici dell’emergenza sanitaria con il dramma, la soluzione e i grafici dell’emergenza climatica.
Se la prima bisogna affrontarla nell’ordine di giorni, la seconda va affrontata nell’ordine di anni. Se la prima vede come limite drammatico il punto di saturazione degli ospedali con malati di Covid-19, la seconda vede come limite ultimo il punto di saturazione dell’atmosfera da gas a effetto serra.
È il carbon budget. Ci sono rimasti meno di otto anni per essere fisicamente in grado di ridurre le emissioni di gas serra, come l’anidride carbonica (CO2), ed evitare che la temperatura media globale superi la soglia di 1,5 gradi centigradi, limite scandito a gran voce dagli scienziati per evitare conseguenze imprevedibili per la nostra specie e per il Pianeta.
Poi c’è il distanziamento fossile
Il corrispettivo del distanziamento cosiddetto sociale nell’emergenza climatica è il “distanziamento fossile”. Dobbiamo smettere di utilizzare combustibili fossili come il carbone, il petrolio e il gas. Come quella sociale, questa forma di distanziamento va applicata immediatamente perché più scorre il tempo, più sarà difficile centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. E per ogni anno che passa, il taglio delle emissioni di CO2 dovrà essere più drastico e quindi più difficile. Proprio come succede per il coronavirus: ogni giorno in più senza quarantena, fa aumentare esponenzialmente la curva dei contagi.
Come il virus, anche il riscaldamento globale non conosce confini. La CO2 emessa dall’altro lato della Terra contribuisce all’aumento della temperatura media globale nella stessa misura di quella emessa dal traffico sotto casa.
Il lato positivo in tutto ciò è che anche le soluzioni che stiamo imparando in questi giorni di “pausa” da pandemia sono le stesse che dovremmo tenere a mente per uscire dalla crisi climatica: agire qui e ora, senza attendere che sia qualcun altro ad agire al posto nostro; restare uniti; essere solidali l’un l’altro e combattere le disuguaglianze sociali; fare tutti la propria parte per vivere meglio, insieme, perché lo stile di vita “malato” di una persona fa male anche alle persone che lo circondano, soprattutto ai soggetti più deboli, siano esse sconosciute o persone care.
Un unico grande tema
Infine, persino le reazioni umane alle soluzioni adottate per sconfiggere questi nemici – le fasi successive al raggiungimento della consapevolezza, insomma – sembrano avere molte cose in comune.
C’è disaccordo e dibattito sull’utilità di alcuni provvedimenti, sulla velocità della ripresa, sui cambiamenti che dovremo adottare per adeguare il nostro stile di vita alle mutate condizioni esterne. E a un certo punto queste analogie, questi parallelismi finiscono per toccarsi e diventare un solo grande tema che l’umanità dovrà affrontare in modo integrato: come raggiungere una forma di sviluppo sostenibile.
Il dibattito tra ottimisti e pessimisti, tra chi dice che questa pandemia sia un’opportunità per tagliare le emissioni di CO2 e chi invece pensa che dopo la crisi sanitaria le emissioni torneranno a salire più velocemente di prima, è già superato. Perché non si tratta più di prendere posizione, si tratta solo di sopravvivenza.
Come afferma Ralph Keeling – figlio del grande Charles David Keeling che ha dato vita all’omonima curva che tiene traccia mese dopo mese, anno dopo anno, della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera – la prima “lezione è che un trauma come questo può alterare le emissioni”, ma il passo successivo è “capire come alterare le emissioni senza un trauma come questo”.
Solo tornando a rispettare le leggi della natura potremo evitare nuove pandemie, solo smettendo di distruggere gli habitat naturali più selvaggi e remoti per far spazio a urbanizzazione, agricoltura intensiva, attività di “estrattivismo” potremo salvaguardare la nostra specie ed evitare che virus a noi sconosciuti si trovino a dover fare l’ormai famoso “salto di specie” (spillover, in inglese) e dar vita a zoonosi.
“Circa il 60 per cento delle malattie infettive negli umani ha origine nella fauna selvatica, il bestiame d’allevamento serve spesso da ponte epidemiologico tra la fauna selvatica e l’infezione umana”, ricorda il giornalista e scrittore Stefano Liberti sul settimanale L’Espresso, citando un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep).
Ed è proprio qui che le analogie si trasformano in sovrapposizioni. Adottando soluzioni univoche si possono risolvere molteplici problemi, crisi multiple. Per riuscire in questa impresa bisogna dare un nuovo ordine alla scala di valori. Nuove priorità. E su questo non c’è possibilità di essere ottimisti o pessimisti. C’è solo necessità.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
In Africa solo 15 stati hanno vaccinato il 10 per cento della popolazione entro settembre, centrando l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Geograficamente isolati e assenti dalle statistiche, i popoli indigeni pagano a caro prezzo la pandemia. Accade nell’Himalaya come in Brasile.
Due le ipotesi al vaglio: il passaggio da animale a uomo, o l’incidente nel laboratorio di Wuhan. I primi aggiornamenti sono attesi tra 90 giorni.
Continua a peggiorare la situazione in India: sono 300mila le persone uccise dalla Covid-19. Ad aggravare il quadro l’arrivo del ciclone Yaas.
I cani sarebbero più affidabili e veloci dei test rapidi per individuare la Covid-19 nel nostro organismo. E il loro aiuto è decisamente più economico.
L’accesso ai vaccini in Africa resta difficile così come la distribuzione. Il continente rappresenta solo l’1 per cento delle dosi somministrate nel mondo.
In India è stato registrato il numero più alto di decessi per Covid-19 in un singolo giorno. Intanto il virus si sposta dalle città alle zone rurali.
La sospensione dei brevetti permetterebbe a tutte le industrie di produrre i vaccini, ma serve l’approvazione dell’Organizzazione mondiale del commercio.