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Andrea Crosta. L’uomo che ha messo la sua “intelligence” al servizio degli animali vittime di bracconaggio
con la collaborazione di Elisabetta Scuri Nel documentario Caccia all’avorio la persona di cui vi stiamo per parlare compare nel momento in cui le zanne di elefanti uccisi barbaramente nel continente africano arrivano nello snodo più importante al mondo per il mercato nero, quello cinese di Hong Kong. Qui, gran parte dell’avorio illegale frutto del
con la collaborazione di Elisabetta Scuri
Nel documentario Caccia all’avorio la persona di cui vi stiamo per parlare compare nel momento in cui le zanne di elefanti uccisi barbaramente nel continente africano arrivano nello snodo più importante al mondo per il mercato nero, quello cinese di Hong Kong. Qui, gran parte dell’avorio illegale frutto del crimine di bracconaggio attracca a bordo di navi, nascosto in container per poi essere smistato e “parcheggiato” nei retrobottega di negozi di souvenir e oggetti di lusso, in attesa di essere venduto a turisti più o meno consapevoli e trafficanti seriali.
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A meno che l’italiano Andrea Crosta, co-fondatore dell’organizzazione Elephant action league (Eal, la lega d’azione per gli elefanti), insieme al suo team di esperti provenienti dal mondo dell’intelligence non riescano ad anticipare e denunciare le mosse successive alle autorità competenti. Questa scena di Caccia all’avorio è cruciale, così come è cruciale il lavoro che porta avanti Crosta, giorno dopo giorno. Il documentario (il cui titolo originale è The ivory game) è disponibile su Netflix, nato dalla collaborazione tra la casa di produzione di documentari più importante d’Europa Terra Mater, la fondazione Vulcan del co-fondatore di Microsoft Paul Allen e la società di produzione cinematografica di Leonardo DiCaprio, la Appian Way.
Ci può raccontare come nasce la Elephant action League?
Nel 2012 ero in Kenya per lavoro e durante un’escursione in un parco insieme ai ranger con cui lavoravamo, mi sono imbattuto in una scena di bracconaggio di elefanti e lì, come folgorato sulla via di Damasco, ho capito che non ero felice di quello che stavo facendo. Guadagnavo molti soldi nel campo dell’intelligence, ma ero insoddisfatto. Così ho deciso di lasciare tutto e fondare una ong in questo campo. Ho visto nelle facce dei ranger l’assoluta incapacità di difendere gli elefanti e far fronte a questa crisi globale. Ho pensato di unire questi due mondi, quello della conservazione e quello della security, dell’intelligence, dell’investigazione tecnologica. Così è nata la Elephant action league, la prima agenzia di intelligence al servizio del pianeta. Il suo obiettivo è combattere la criminalità contro l’ambiente che crea un giro d’affari di oltre 250 miliardi di dollari all’anno.
Cosa faceva prima di intraprendere questa avventura?
Io sono nato con una passione smodata per la natura, per la fauna selvatica. Non si può fare questo lavoro senza avere una forte passione fin da quando si è bambini. Mi sono laureato a Milano in scienze naturali, poi ho cominciato a lavorare per il parco faunistico La Torbiera vicino ad Agrate Conturbia. È un centro di riproduzione per specie in via di estinzione. Nel 1998 ho lanciato una delle prime società italiane di e-commerce. Era la preistoria dello shopping online. Da quelle tecnologie sono passato ad altre attraverso un master in business administration e per quasi vent’anni ho lavorato come consulente nel campo della sicurezza interna, homeland security come la chiamano negli Stati Uniti. Ho fatto questo per anni, è un lavoro un po’ particolare perché si lavora con società di grandi dimensioni che investono in tecnologie, alcune di queste diventate famose dopo il caso Snowden. Gli acquirenti di solito sono governi, ma anche aziende o singoli individui.
Cosa fate, in concreto, e come siete organizzati?
Abbiamo creato un gruppo, che per precauzione è rimasto segreto a lungo, che si chiama Special operations division, divisione per le operazioni speciali, che guido personalmente e composto esclusivamente da persone che provengono da agenzie americane molto particolari, due facevano parte dell’Fbi (l’agenzia di intelligence americana, ndr), due dalle forze speciali che compongono l’apparato di difesa americano. Poi abbiamo analisti e persone che prima di scegliere l’Eal si occupavano di terrorismo islamico, di El Chapo, dei cartelli della droga, della mafia russa e italiana negli Stati Uniti, dei pedofili. A loro ho detto: “Vorrei usare le vostre competenze, le vostre capacità e i vostri network. Poco importa se non sapete nulla di conservazione perché l’importante è combattere i responsabili della distruzione del pianeta e dell’estinzione di molte specie”, che non sono i bracconieri che spesso sono soltanto persone senza nulla e con figli da sfamare e mandare a scuola. Potrei essere anche io un bracconiere se fossi nelle loro condizioni e mi offrissero 3 anni di salario per ammazzare un elefante.
Se non sono i bracconieri, chi sono i veri responsabili?
I veri responsabili sono i trafficanti, i businessmen, i broker e i trader che governano la filiera. Per contrastarli costruiamo una rete di collaboratori, di fonti, di persone in incognito nei paesi chiave che ci forniscono informazioni. Si fingono trafficanti o compratori per mesi cercando di acquisire ogni dettaglio possibile. E poi cerchiamo di aiutare le forze dell’ordine. Non è facile perché in alcuni paesi sono troppo corrotte, in altri abbiamo ottime relazioni ma la mancanza di risorse fa passare i crimini contro l’ambiente in secondo piano così facciamo noi una parte del loro lavoro. Proprio quest’anno abbiamo chiuso la prima investigazione mai fatta da una ong in Cina sul traffico di corno di rinoceronte. Abbiamo individuato 55 persone, che nel gergo tecnico si chiamano “person of interest”, in Cina e in Vietnam che trafficano corni di rinoceronte o di altre parti di animali protetti. Abbiamo condiviso il rapporto con la polizia cinese, con l’Interpol e con le forze di polizia sudafricane. Il tutto per aiutare i governi a sconfiggere i veri responsabili che – ripeto – non sono i bracconieri, ma chi li sfrutta.
Nel documentario Caccia all’avorio è evidente come il mercato nero venga alimentato dalla corruzione di chi dovrebbe contrastarlo. Qual è il vostro ruolo in tutto ciò?
Non posso dire dove siamo attivi, ma c’è un paese in Africa che grazie al nostro lavoro ha arrestato otto persone in dieci anni. I poliziotti non sempre sono consapevoli che stanno agendo grazie al nostro team sul campo, perché spesso agisce nell’ombra se non vuole vedersi decapitato. La Tailandia è un paese dove siamo riusciti a instaurare ottime relazioni con le forze locali. Possiamo passare loro info in tempo reale senza la paura di andare dalla persona sbagliata. Uno degli errori più comuni è arrestare qualcuno senza capire che attendere potrebbe portare risultati migliori, arrivare a “pesci più grossi”. È come con la droga. Quando becchi uno spacciatore è solo l’inizio per capire da dove arriva da chi l’ha comprata, a chi la vendeva.
Quali sono le conseguenze per chi viene arrestato, la pena?
Dipende dai paesi. Alcuni hanno reso le leggi molto severe, come in Cina dove se ti trovano con un container di avorio vai in galera per tutta la vita. Altri paesi africani le hanno aggiornate da poco e, anche lì si rischia di andare in galera per molto tempo. Il problema, però, è che puoi anche adottare la legge più severa al mondo, ma se poi non la fai rispettare è assolutamente inutile. Per fortuna la Cina sta cambiando mentalità perché per proteggere il pianeta è fondamentale. Senza la Cina non si può vincere la guerra. Eal non è una di quelle ong che se la prende con il gigante asiatico. Noi cerchiamo il dialogo e la collaborazione. E ho capito che l’unica collaborazione possibile con la Cina è sul piano legale. Con loro non bisogna impostare un dialogo dal punto di vista etico o culturale perché i loro valori sono molto diversi dai nostri. Al contrario, se si dimostra che qualcuno sta infrangendo le loro leggi sono molto sensibili. E noi gli mettiamo le prove sotto il naso. Se volessero potrebbero distruggere il mercato nero delle principali specie a rischio estinzione nel giro di una settimana. Ma per ora non rientra nelle loro priorità.
Quali dinamiche ci sono dietro al mercato nero dell’avorio e delle parti di altri animali?
Il problema principale per la sopravvivenza degli elefanti sono le tonnellate di avorio che dall’Africa finiscono oggi in Asia ogni anno nonostante l’entrata in vigore della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites). È ovvio che sono tutte “fresche” quindi non c’è solo un problema di bracconaggio ma di illegalità su tutta la filiera fino in Cina. È illegale trafficarlo nei paesi dove l’elefante viene ammazzato, è illegale il traffico internazionale ed è illegale anche la vendita in Asia.
La Cina ha preso la decisione più importante degli ultimi decenni: ha annunciato la chiusura del proprio mercato legale dell’avorio a partire da gennaio. Si è impegnata a farlo nel 2017 e durante gli ultimi mesi sembra che abbia fatto ciò che aveva promesso, chiudendo progressivamente i negozi e i centri dove l’avorio veniva lavorato e intarsiato. Il mercato legale dell’avorio in Cina era il fattore di gran lunga più determinante della crisi degli elefanti degli ultimi anni. Era un enorme buco nero, un centro di riciclaggio per l’avorio illegale che arrivava dall’Africa: entrava nel mercato legale, veniva ripulito e poi immesso sul mercato. I negozi avrebbero dovuto vendere pezzi di avorio con allegata una scheda che fornisse tutte le informazioni su quel prodotto. In realtà spesso la scheda non veniva allegata così poteva essere riutilizzata per un altro oggetto in avorio, e così all’infinito. Il 2018 è l’anno spartiacque. Io sono fiducioso che il governo cinese riuscirà a ridurre notevolmente l’importazione illegale di avorio dall’Africa facendo crollare il numero di elefanti uccisi (35mila all’anno, negli ultimi anni, ndr).
Qual è la soluzione migliore per fermare il bracconaggio nel mondo?
Nel 2009, con un’altra persona, ho portato avanti la prima investigazione sul traffico di avorio che vedeva coinvolti i terroristi islamici di al-Shabaab. A seconda della regione africana ci sono diversi attori che fanno profitti dalle zanne di elefante. A un certo punto però si arriva sempre a dei trafficanti, che possono essere africani o asiatici, che controllano le esportazioni illegali a livello internazionale.
Si possono uccidere elefanti in giro per l’Africa, ma per farli uscire in grandi quantità alla fine sono pochi i porti e qualche aeroporto, sette o otto snodi in tutto. C’è il porto di Mombasa in Kenya, c’è il porto di Zanzibar e quello di Dar es Salaam in Tanzania, c’è il porto di Maputo in Mozambico, poi si va a Cape Town, in Sudafrica, e si gira dall’altra parte per arrivare in Gabon. Poi ci sono gli aeroporti internazionali del Kenya, della Tanzania, del Sudafrica e pochi altri in Africa centrale.
L’unica soluzione è distruggere la domanda di avorio. Io sono convinto che uno degli effetti positivi di un buon lavoro di intelligence è evitare la “militarizzazione della conservazione” che secondo me è molto preoccupante. Se vai in un parco nazionale e chiedi di cosa hanno bisogno per contrastare il bracconaggio ti rispondono che servono uomini, armi, munizioni, missili e droni. La realtà però è diversa: non puoi controllare il territorio con i ranger e le armi, lo controlli con l’intelligence, quindi distruggendo la domanda.
Come si annienta la domanda di avorio?
La domanda la distruggi in due modi: o agendo sulla fine della filiera chiudendo il mercato legale e usando la mano pesante sui trafficanti, come sta succedendo in Cina. Oppure intervenendo sui broker e trader, quindi sulle persone che hanno in mano il commercio.
Per oltre un anno abbiamo portato avanti un’investigazione su un gruppo di persone in Vietnam – paese ben poco collaborativo – in grado di trafficare quasi 500 corni di rinoceronte in un anno. Se si pensa che ogni anno vengono uccisi circa 1.200 rinoceronti in tutta l’Africa, significa che questo gruppo – da solo – ne trattava quasi la metà. Qui si capisce quanto è importante agire su queste persone e non sui bracconieri, che ovviamente non vanno lasciati liberi di fare gli animali vanno protetti, ma bisogna andare al cuore del problema. Il problema è questo signore in Vietnam che processa 500 corni all’anno. È lì che devi andare ad agire.
Noi, le persone comuni, cosa possiamo fare?
Bisogna fare attenzione quando si viaggia. Quando si fa un safari in Africa o quando si visitano i paesi del Sudest asiatico come Vietnam, Cambogia, Tailandia, Laos. In questi paesi bisogna tenere gli occhi aperti, si può fotografare – senza rischiare – bisogna stare attenti a ciò che si compra. Se ci si trova davanti a un pezzo d’avorio, a un dente di tigre o a qualcosa del genere bisogna essere consapevoli che è vietato comprarlo. E qui scatta l’informazione e la consapevolezza, l’educazione. E per questo voi, i mezzi d’informazione sono complementari al nostro lavoro.
Come siamo messi in Italia e più in generale in Europa?
Paradossalmente le leggi cinese e statunitense sono molto più severe di quella europea. Sia in Cina, sia negli Stati Uniti hanno quasi completamente chiuso il mercato legale dell’avorio. I negozi possono vendere solo avorio antico, che ha più di cento anni. In Europa, invece, esiste ancora un mercato legale.
Chiudiamo con una nota di speranza. Pensa che sia ancora possibile salvare gli animali che oggi rischiano l’estinzione?
Di tutti gli animali a rischio, l’unico su cui nutro speranza è l’elefante africano. Ci sono ancora quasi 400mila elefanti nel mondo e la decisione della Cina ha giovato, così come la campagna mediatica degli ultimi due anni. Una campagna di sensibilizzazione che gli altri animali non hanno avuto.
Mi ricorderò sempre di un venditore di avorio che ho incontrato nel sud della Cina mentre giravamo il documentario. Quando gli abbiamo chiesto dell’avorio lui si è innervosito molto, non voleva rispondere, ha detto che l’avorio non è più un buon business. “Io non voglio che i miei figli facciano questa cosa”, gli ho chiesto come mai e ha risposto: “Perché adesso anche Obama e il principe William sono contro di noi”, allora ho pensato che questa cosa della pressione internazionale funziona! Se è forte, se è costante arriva fino in Cina. Peccato non ci sia la stessa pressione per tutti gli altri animali. Di rinoceronti ne rimangono davvero pochi, mentre ci sono più tigri in cattività in Texas che in natura.
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