La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Antibiotici negli allevamenti, anche gli investitori dicono basta
Dopo il tabacco, le armi e la pornografia, si sta delineando un nuovo campo di battaglia per gli investitori responsabili: gli antibiotici negli allevamenti. Se ormai è scientificamente dimostrato che l’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi è una minaccia concreta per la salute umana, non si può più pensare che il mondo della finanza resti
Dopo il tabacco, le armi e la pornografia, si sta delineando un nuovo campo di battaglia per gli investitori responsabili: gli antibiotici negli allevamenti. Se ormai è scientificamente dimostrato che l’uso di antibiotici negli allevamenti intensivi è una minaccia concreta per la salute umana, non si può più pensare che il mondo della finanza resti fermo a guardare, fossilizzato sul profitto a tutti i costi.
Perché si usano gli antibiotici negli allevamenti
Negli ultimi cinquant’anni la produzione globale di carne è quasi quadruplicata, passando dagli 80 milioni di tonnellate del 1964 ai 218 milioni di tonnellate del 2014. Questo anche grazie agli allevamenti intensivi, che sono riusciti a crescere e prosperare anche perché gli animali assumono grandi quantità di antibiotici. Inizialmente si ricorreva a questi farmaci soltanto in caso di malattie. Negli anni, questa pratica è diventata puramente preventiva, per assicurarsi la sopravvivenza degli animali nelle condizioni spesso ostiche a cui li costringono i grandi allevamenti. In alcuni paesi, per giunta, gli antibiotici sono un espediente per far prendere peso velocemente agli animali, accelerando il loro processo di crescita.
Cosa dice il report di AMP Capital
Il forte messaggio al mondo della finanza arriva da AMP Capital, una delle più grandi società di investimenti australiane, che gestisce asset per il valore di circa 125 miliardi di dollari. Di recente questo colosso finanziario ha pubblicato un report dal titolo eloquente: “Gli allevamenti intensivi ci fanno ammalare?”.
La pubblicazione sciorina una serie di dati allarmanti. Ormai la maggioranza degli antibiotici non è destinata all’uso umano ma agli allevamenti. Nella carne che ci troviamo nel piatto, così, finiscono batteri che si sono ormai evoluti fino a diventare resistenti anche ai medicinali di ultima generazione. Batteri che hanno già portato alla morte di 700mila persone nel 2016. Secondo uno studio inglese (citato lo scorso anno da una puntata di Report che ha suscitato grande clamore in Italia), i super-batteri potrebbero scatenare una pandemia globale che nel 2050 potrebbe causare 10 milioni di decessi all’anno, più del cancro.
Le persone e le autorità Stati si stanno attivando
Quando si parla di salute e benessere, però, l’opinione pubblica è sempre più attenta e competente. Negli Usa manzo, maiale e pollo privi di antibiotici rappresentano ancora solo il 6 per cento del mercato di carne, ma le loro vendite stanno crescendo a un ritmo nettamente superiore alla media. Colossi come McDonalds e Subway negli ultimi mesi hanno annunciato l’addio al pollo nutrito con antibiotici. Una scelta che, secondo alcune ricerche di mercato, potrebbe diventare la normalità nell’arco di soli cinque anni.
Anche le autorità, da un capo all’altro del Pianeta, stanno iniziando ad attivarsi di fronte alla minaccia di un’emergenza sanitaria in piena regola. L’Unione Europea già nel 2006 aveva proibito l’uso di antibiotici per stimolare la crescita degli animali, ma la norma è spesso aggirata dichiarando che i farmaci servono per la prevenzione sanitaria. Così nel 2016 il Parlamento ha elaborato una legge molto più severa, che dovrà passare al vaglio della Commissione. Nel frattempo Danimarca, Svezia, Finlandia, Islanda e Norvegia si sono mosse in autonomia, introducendo restrizioni e controlli. Negli Stati Uniti gli antibiotici sono vietati per stimolare la crescita degli animali, ma possono essere somministrati su prescrizione per prevenire epidemie. In Cina non esistono ancora regolamentazioni ufficiali.
Cosa possono fare gli investitori
Tutto questo significa che, da qui ai prossimi anni, le aziende alimentari che continuano a usare antibiotici saranno sempre più penalizzate. Magari trovandosi costrette a rivoluzionare i loro metodi di produzione da un giorno all’altro, qualora dovessero entrare in vigore normative più severe. Inutile dire che questo scenario si tradurrebbe in un generale aumento dei costi destinato a ripercuotersi su tutta la filiera, dalla stalla al ristorante. Mettendo a rischio i profitti degli investitori.
Ma cosa possono fare concretamente gli investitori che vogliono tutelare i loro capitali e, magari, far cambiare le cose? Come suggerisce un’analisi di Afr, da un lato possono escludere dai loro portafogli le aziende alimentari che continuano imperterrite a usare gli antibiotici. Oppure possono scegliere la strada che in termini tecnici è chiamata engagement, incontrando i vertici delle aziende per convincerli a cambiare rotta.
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