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Mes Aynak, Afghanistan. A rischio il più grande scavo archeologico buddista
Un’antichissima città buddista quasi del tutto sepolta da un conflitto che dura da quasi 40 anni. Come salvare Mes Aynak, in Afghanistan. Il caso, spiegato.
Un’antichissima città buddista quasi del tutto sepolta. Un Paese in conflitto da quarant’anni, dall’invasione sovietica del 1979 all’attuale conflitto post-11 settembre, fra insorti talebani e forse di sicurezza afgane supportate dalla coalizione internazionale. Il caso del sito archeologico Mes Aynak, in Afghanistan, racchiude due questioni principali: l’insicurezza in cui si trovano i patrimoni culturali nelle zone di guerra e la dialettica, che spesso si trasforma in un altro conflitto, fra le esigenze di sviluppo economico e quelle di tutela del territorio nei Paesi poveri.
Mes Aynak non nasconde solamente i tesori di una civiltà millenaria, ma anche ingenti quantità di rame. E quando nel 2007 il governo afgano ha firmato un accordo con una compagnia mineraria cinese per avviare le estrazioni, si è cominciato a temere per la sua sopravvivenza. Ad oggi, l’attività mineraria non è ancora partita e si è scavato appena il 10 per cento del sito archeologico. Che ne sarà quindi di questa montagnosa cittadella disseminata di stupa e statue del Buddha in Paese dove gli estremisti islamici talebani vogliono riconquistare il potere? Non sarebbe meglio puntare su Mes Aynak per rilanciare il turismo qualora l’Afghanistan sia pacificato? Le risorse minerarie garantiranno davvero un benessere alla popolazione afgana? E, soprattutto, estrazioni e tutela del patrimonio culturale si possono conciliare? Per fare chiarezza abbiamo raggiunto il regista e attivista statunitense Brent Huffman, che ha realizzato il documentario Saving Mes Aynak (Salvare Mes Aynak), e l’architetta Maria Rita Acetoso, referente a Kabul dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (Unesco), che si sta occupando proprio dei siti archeologici.
Mes Aynak è lo scavo più esteso al mondo
Nota agli archeologi francesi fin dagli anni Venti, Mes Aynak (piccolo pozzo di rame, in lingua pashtun) è stata “riscoperta” dalla compagnia cinese China metallurgical group (Mcc) che, nel 2007, ha ottenuto dal governo afgano una licenza trentennale, del valore di 30 miliardi di dollari, per estrazioni minerarie. Già nell’antichità preistorica Mes Aynak era nota come cittadella del rame e nei secoli successivi divenne uno dei principali punti di snodo della Via della Seta. In cinquemila anni di storia a Mes Aynak si sono stratificate influenze, persino cinesi e uigure, e culti, tra i quali quello di Siddharta in anni precedenti alla creazione del buddismo stesso.
A partire dal 2010, archeologi e operai afgani, insieme a esperti di varie nazionalità, tra cui gli stessi membri della Delegazione archeologica francese in Afghanistan (Dafa), hanno cominciato una corsa contro il tempo per rinvenire più reperti possibili dalla terra. Su circa 40 ettari di montagne, un’estensione pari a quella di Pompei, sono stati fatti riemergere templi e almeno 400 statue di Buddha, oltre a monete, gioielli, mobili, manufatti vari. Mes Aynak, a soli 40 chilometri da Kabul, crocevia dei talebani, è divenuto lo scavo più grande al mondo.
Di cosa parla il documentario Saving Mes Aynak
Ma dopo sei anni in quali condizioni si trova il “piccolo pozzo di rame”? Il regista statunitense Brent Huffman ha realizzato il documentario pluripremiato Saving Mes Aynak. Il sito ufficiale è diventato anche il punto di riferimento dell’omonima campagna di crowfunding per promuovere il salvataggio della cittadella.
“Non si possono conciliare la tutela del sito con il progetto minerario. Quest’ultimo deve essere fermato. Solamente i cinesi e dei funzionari corrotti trarranno beneficio dalla miniera. Cinquemila anni di storia saranno annientati. L’ambiente verrà devastato in modo permanente. I cinesi creeranno un’enorme buca, spianando tutte le montagne. Ogni attività archeologica si fermerà per sempre e tutti i reperti presenti nel sito andranno distrutti”, ha dichiarato categorico Huffman, raggiunto a Chicago pochi giorni fa.
Unesco, è possibile un compromesso?
Sembrerebbe, però, qualcosa stia cambiando. L’azienda cinese non ha mai cominciato le estrazioni e il presidente afgano Ashraf Ghani, antropologo di formazione, pare sensibile al patrimonio culturale locale.
“In generale si possono e si devono conciliare i due aspetti passando da un processo di negoziazione. Siccome si toccano interessi economici, è complesso, controverso, ma non impossibile. In Italia, il Paese con la più alta concentrazione di reperti, abbiamo sempre avuto a che fare con questa realtà”, conferma l’architetta italiana Maria Rita Acetoso da Kabul, che si occupa di integrazione fra sviluppo economico su larga scala e preservazione del patrimonio archeologico afgano. “Si pensi alla metropolitana di Napoli. L’Afghanistan, ovviamente, deve ricostruire l’intero percorso. Ha bisogno di liberarsi dalle dipendenze internazionali, partendo anche dalle risorse minerarie, e al tempo stesso di ricreare una cultura della tutela”.
Nel frattempo, Qadir Temori, sovrintendente afgano degli scavi e protagonista del documentario di Huffman, è stato promosso direttore dell’Istituto di archeologia del ministero dell’informazione e cultura. Proprio lui aveva così descritto il suo stato d’animo davanti al rischio che gli imprenditori cinesi potessero cominciare a estrarre in ogni momento: “Mi sento come un padre che sta per perdere il suo bambino”.
Anche in archeologia, prevenire è meglio che curare
“Da pochi mesi – aggiunge l’architetto Acetoso – ci occupiamo di Mes Aynak, ovvero da quando il governo afgano ha chiesto l’assistenza tecnica di Unesco. Noi per mandato, non ci sovrapponiamo alle autorità locali, non dobbiamo decidere per loro. Tuttavia, la situazione è evoluta dal 2015. Collaborando con Temori e il governo, si è ritenuto di ridurre lo scavo al minimo. Era rischioso continuare a sovraesporre i reperti, quando ancora non è stata completata la mappatura del sito. Adesso stiamo raccogliendo la documentazione sui sei siti individuati attraverso strumenti satellitari. Abbiamo introdotto in Afghanistan il concetto di ‘archeologia preventiva’. Un bene culturale è come un paziente. Prima di decidere una cura, bisogna individuarne i sintomi”.
Attualmente è stato scavato solamente il 10 per cento di Mes Aynak. Le strutture esposte sono state protette con metodi locali, ritenuti adeguati da Unesco, come coperture lignee, impasti impermeabili di terra cruda e paglia, teli. Il 90 per cento dei reperti mobili rinvenuti, invece, è stato spostato nel Museo nazionale di Kabul per essere catalogato sul posto.
Il futuro incerto dell’Afghanistan
Tuttavia, almeno per ora, i punti di vista di Unesco e del gruppo Saving Mes Aynak, guidato da Huffman, che insegna anche alla Northwestern University, appaiono contrapposti. Huffman, che nei titoli di coda ha specificato di non aver ottenuto dichiarazioni o interviste dall’Unesco, dichiara che “la campagna per salvare Mes Aynak aveva anche come obiettivo di portare il governo afgano a collaborare con l’Unesco. Probabilmente ora questa agenzia dell’Onu sta facendo un lavoro meraviglioso. Potrebbe realmente salvare il sito, se seriamente coinvolta dalle autorità afgane e se riuscirà a inserirlo fra quelli riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Tuttavia, potrebbe ritrovarsi con le mani legate, per motivi politici”.
Huffman dunque resta scettico: “Il presidente Ashraf Ghani, in effetti, ha visitato Mes Aynak guidato dallo stesso Qadir Temori. Un successo che io attribuisco al nostro documentario. Credo che Ghani tenga veramente al sito, ma che possa sentirsi impedito anche lui per ragioni politiche. Ghani sente la pressione di coloro che vedono l’industria mineraria come una cura miracolosa per riparare tutti i problemi dell’Afghanistan”.
Il fatto che i talebani, che fecero esplodere nel 2001 i due Buddha scolpiti nella roccia di Bamiyan, abbiano annunciato il 29 novembre scorso di voler proteggere il sito minerario, è giudicato da Huffman “una notizia terribile. Una condanna per Mes Aynak”. Forse, però, non bisognerebbe cedere agli allarmismi. Il portavoce di Kabul, Abdullah Abdullah, ha spiegato che “i talebani non hanno mai protetto i progetti, non è affare loro. Non c’è alcun tipo di partecipazione per un gruppo terrorista in progetti (nazionali, ndr.)”.
Dai Buddha di Bamiyan a Palmira, patrimoni distrutti
Tra l’altro, proprio a Bamiyan, ritenuta oggi un’area più sicura in Afghanistan, l’Unesco sta conducendo uno dei suoi interventi più importanti di restaurazione e stabilizzazione. “Stiamo riparando le nicchie che ospitavano i Buddha ed è in corso una valutazione su di un’eventuale ricostruzione delle statue, una decisione complessa, filosofica, che non si può prendere a cuor leggero”, racconta Acetoso.
Allora quale futuro per Mes Aynak dopo la fase di mappatura? “Per avviare un’attività di estrazione mineraria – continua la funzionaria Unesco – servono infrastrutture che non ci sono ancora. È irrealistico che i cinesi o qualcun altro partano in pochi mesi, ma anche che il governo non prenda affatto in considerazione le estrazioni. Il punto è: fino a che punto puoi fare piccole rinunce?”.
Huffman ci ha raccontato di aver ricevuto minacce di morte durante le riprese. Che la sua troupe ha subito intimidazioni dei talebani e tentativi di funzionari corrotti di fermare il film. “Tutto l’Afghanistan è insicuro. Ognuno di noi rischia la vita qui”, commenta Acetoso al telefono, mentre il sorvolare degli elicotteri da guerra rende quasi impossibile la conversazione.
Intanto, in Siria il sito greco-romano di Palmira, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco, viene riconquistato insieme con la città dal Daesh (Stato Islamico), che l’ha depredata e danneggiata gravemente nel 2015. L’architetto ricorda: “Le distruzioni dei patrimoni che sono state compiute più di recente in Iraq e Siria,qui in Afghanistan sono già avvenute. Il patrimonio culturale afgano è già stato ampiamente massacrato, ma il Paese asiatico resta un museo a cielo aperto di una bellezza artistica e paesaggistica incredibile. Una risorsa inesauribile, a differenza di quella mineraria ‘a tempo’, per far ripartire un turismo che da decenni è azzerato”.
Il Museo nazionale è stato bombardato dopo essere stato trasformato in base militare nel 1994 e depredato. Le ferite inferte dal saccheggio spontaneo e organizzato, spesso collegati fra loro, sono evidenti. Conclude l’esperta dell’Unesco: “A Mes Aynak ci sono monumenti e statue bucate. Per salvare il patrimonio culturale bisogna mapparlo, rieducare una popolazione in gran parte povera e illetterata, rafforzare i controlli frontalieri, riformare la legge. Abbiamo già collaborato a una proposta di legge. Però in Afghanistan tutto è dilatato. Non servono gli interventi mordi e fuggi, ma tempo e continuità. Bisogna starci”.
Immagine di copertina: veduta di Mes Aynak, copyright Shah Arai/AFP/Getty Images
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