Dal 17 al 23 giugno, Survival International mobilita l’opinione pubblica con una settimana dedicata ai diritti dei popoli incontattati.
Nicaragua, il governo tradisce le promesse fatte agli indigeni di Awas Tingni
15 anni fa la comunità indigena di Awas Tingni ha vinto la battaglia legale per la terra, ma il Nicaragua non ha mantenuto le promesse. Oggi violenze e irruzioni illegali nella comunità sono all’ordine del giorno.
Il caso di Awas Tingni, una piccola comunità indigena di etnia Mayangna del Nicaragua, ha fatto la storia. L’inizio del caso risale agli inizi degli anni Novanta, quando il governo nazionale garantì concessioni ad aziende che si occupavano di deforestazione, come la nicaraguese Madensa, senza interpellare la comunità Awas Tingni o chiedere il suo consenso. Ora sono passati quindici anni dalla sentenza della Corte interamericana dei diritti umani che ha visto la vittoria della comunità contro lo stato del Nicaragua. Pur avendo fatto valere le proprie ragioni in passato, oggi gli indigeni sono costretti ad affrontare grossi problemi. Lo stato non ha mantenuto le promesse fatte e ora più che mai la sopravvivenza di questa popolazione indigena del Nicaragua è a rischio.
Come ha fatto una comunità a battere uno stato
Grazie all’intervento del Wwf e dell’avvocato per i diritti umani James Anaya, le concessioni illegali furono bloccate. Nel 1994 il governo siglò un accordo che avrebbe garantito benefici economici agli indigeni e avrebbe loro riconosciuto il titolo di proprietà delle loro terre. Ma nel frattempo, all’insaputa degli indigeni, stava negoziando segretamente per concedere all’azienda coreana Solcars una licenza per la deforestazione. Quando gli avvocati di Awas Tingni si resero conto che il governo non stava mantenendo l’impegno preso con gli indigeni, decisero di rendere il caso una questione internazionale.
Quindi presentarono una petizione e fu proprio Anaya a occuparsi del caso. A distanza di qualche anno, nell’agosto del 2001, la Corte interamericana pronunciò il verdetto che annunciava che lo stato aveva violato molti articoli della Convenzione americana dei diritti umani, in particolare, l’articolo 21 sui diritti di proprietà. Inoltre la Corte riconobbe che “il rapporto della cultura indigena con la propria terra non è solo una questione di possesso e sfruttamento ma è materiale e spirituale”. La Corte ordinò quindi allo stato di tracciare i confini ed entro 15 mesi di riconoscere agli abitanti indigeni il diritto di occupare le proprie terre.
La legge sulla proprietà comunitaria
I sostenitori dei diritti umani, i funzionari governativi e i tecnocrati della Banca mondiale hanno intrapreso un compito lungo e difficile, quello di demarcare tutti i territori indigeni e delle comunità di discendenza africana. Consultandosi prima con gli indigeni e i discendenti degli schiavi africani, hanno creato una nuova concezione di proprietà che corrisponde alla visione del mondo dei costeños (la gente che abita nelle regioni costiere). Il frutto di questo processo fu la legge 445 sul regime di proprietà comunitaria, che entrò in vigore nel 2003. “Molti territori sono riusciti a ottenere un titolo formale; ma finora il saneamiento – ossia il riconoscimento di un titolo ufficiale – non ha avuto successo”, ha affermato il dottor Lottie Cunningham, presidente dell’ong Cejudhcan e uno dei testimoni esperti che hanno partecipato al processo degli Awas Tingni.
La legge proibisce la vendita di terra ma molte persone, tra cui politici, funzionari governativi e addirittura indigeni, sono rimaste coinvolte nella sua vendita illegale. Questa situazione ha portato a titoli sovrapposti e a un ambiente corrotto, ed è stata sfruttata dagli stranieri, dispregiativamente detti colonos, che hanno visto in tutto ciò un’opportunità economica unica. Questi hanno fatto ricorso a ogni sorta di violenza per accedere alla terra: hanno rapito e stuprato persone e incendiato colture. Tra il mese di settembre 2015 e giugno 2016, secondo le stime dell’ong, sono state uccise 28 persone e altre 3.800 hanno ottenuto lo status di rifugiato politico e si sono trasferite per lo più in Honduras.
Tierra madre significa cultura
Ad Awas Tingni, dove vivono 150 famiglie Mayangna, ci sono più di 800 famiglie di stranieri che occupano più del 90 per cento della terra appartenente agli abitanti indigeni. La terra ha un significato speciale in questa comunità. “La tutela delle terre mantiene vivo lo spirito dei nostri avi,” ha dichiarato Elizabeth Salómon, originaria di Awas Tingni e professoressa all’università di Uraccan.
“Se mi fai una ferita sulla mano, sanguinerò e magari non mi sentirò al massimo delle forze. E lo stesso accade alla natura,” ha affermato Levy Maclean, il capo della comunità. Le terre dei Mayangna si trovano in mezzo a una foresta di pini e ospitano molte specie di vitale importanza per la sopravvivenza culturale degli abitanti nativi, come le tigri, i cervi, i pavoni e gli scoiattoli. La caccia, la pesca e la raccolta di piante sono attività importanti alla base della vita dei Mayangna. La cultura è un sistema naturale che preserva l’equilibrio della natura, o, come diremmo oggi, la sostenibilità. Malgrado i problemi che questa comunità è costretta ad affrontare, Maclean sottolinea, “non siamo contro nessuno. Siamo pacifici e l’unica cosa che vogliamo dallo stato è la pace”.
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