La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Il silenzio delle aziende sui cambiamenti climatici ha le ore contate
Il gruppo di lavoro del G20 pubblica le linee guida sulla rendicontazione dei rischi legati ai cambiamenti climatici. E gli investitori rispondono.
I cambiamenti climatici stanno già modificando il nostro modo di vivere, spostarci, abitare, lavorare. E continueranno a farlo in futuro, sempre di più. Il che significa che, inevitabilmente, rivoluzioneranno anche i nostri sistemi economici. Finora tante aziende hanno preferito non affrontare apertamente la questione. Di qui in poi, però, chiudere gli occhi sarà sempre più difficile. Perché i primi a esigere trasparenza sono i loro stessi investitori.
L’avvertimento di Aviva Investors
Un segnale importante arriva da Aviva Investors, che gestisce qualcosa come 437 miliardi di dollari di asset. Come spiega il Financial Times, la società inglese ha lanciato un avvertimento a oltre mille aziende in tutto il mondo: alle assemblee degli azionisti del prossimo anno è pronta a bocciare i loro bilanci, se non conterranno informazioni sui rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici, come richiesto dal gruppo di esperti nominato dal Financial Stability Board. Queste indicazioni, è bene precisarlo, sono volontarie: ma a poche settimane dalla loro pubblicazione c’è già un investitore, e per giunta così di peso, che le trasforma nel criterio per decidere se dare o meno il proprio appoggio a un’azienda. Questa presa di posizione, commenta il quotidiano finanziario londinese, è sintomo di una sempre maggiore sensibilità degli azionisti di fronte ai rischi legati al clima. Alcuni di loro hanno già iniziato ad abbandonare le aziende che potrebbero patirne di più gli effetti. Prime tra tutte, quelle che ancora vivono di combustibili fossili.
Chi ha stilato le linee guida su imprese e clima
Il punto di riferimento sono le linee guida pubblicate a fine giugno dalla Task Force on Climate Related Financial Disclosures (Tcfd), l’organismo dedicato a imprese e clima istituito nel 2015 dal Financial Stability Board del G20. Presieduto da Michael Bloomberg, il gruppo riunisce 32 rappresentanti di colossi dell’economia e della finanza: da Unilever ad Axa, passando per big four della consulenza (KPMG, Deloitte, EY e PwC), i fondi pensione, le grandi banche (Barclays, JPMorgan Chase, UBS…). Il report finale, frutto di mesi di lavoro, definisce una serie di linee guida per la rendicontazione dei rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici.
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Come si deve parlare dei cambiamenti climatici
I rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici, si legge nel report, arrivano da più fronti. E bisogna smettere di rimandare il problema, pensando che le conseguenze più gravi siano nel lungo termine e quindi imprevedibili. Con l’Accordo di Parigi, i grandi del Pianeta si sono impegnati per la transizione energetica. Ciò significa da un lato che le aziende che dipendono strutturalmente dai combustibili fossili subiranno grosse ripercussioni finanziarie: si stima che, da qui alla fine del secolo, crollerà letteralmente il valore di una serie di asset che ad oggi hanno un volume tra i 4.200 e i 43mila miliardi di dollari. L’altro lato della medaglia sono le enormi opportunità di business che si apriranno sul fronte delle energie pulite. Nel prossimo futuro, infatti, la transizione a un’economia a basse emissioni richiederà mille miliardi di dollari di investimenti ogni anno.
Gli investitori, insomma, meritano di sapere se (e come) le società in cui investono si stiano attrezzando per andare incontro a questa rivoluzione. Ma come? Secondo la Task Force, le aziende devono trattare questi temi ogni anno nel bilancio, articolandoli su quattro aree: governance, strategia, gestione dei rischi, obiettivi e metriche. E devono fare delle proiezioni su diversi scenari, incluso quello di un aumento di 2 gradi centigradi delle temperature medie.
Tutte queste raccomandazioni per ora sono puramente volontarie, anche se il gruppo di lavoro auspica una loro rapida diffusione e le autorità di alcuni paesi stanno vagliando la possibilità di renderle obbligatorie. Tant’è che la stessa esistenza della task force, che inizialmente era legata a doppio filo alla pubblicazione di questo rapporto, è stata prolungata di un anno proprio per vigilare sull’applicazione delle linee guida.
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