Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Bolivia, il presidente Evo Morales si è dimesso denunciando un tentativo di colpo di stato
In seguito ai disordini scoppiati dopo le accuse di brogli elettorali, Morales abbandona il suo incarico su esplicita richiesta del capo dell’esercito.
Dopo quasi 14 anni Evo Morales non è più il presidente della Bolivia. Morales, appartenente alla popolazione aymara, è stato il primo presidente indigeno della nazione sudamericana e per anni ha lottato per rendere più inclusiva la società boliviana, in particolare per i milioni di poveri del Paese. Lo scorso 10 novembre Morales ha annunciato le proprie dimissioni, su esplicita richiesta delle forze armate, spiegando che rinunciava all’incarico per proteggere le famiglie degli alleati politici, vittime di attacchi, e ha esortato i manifestanti a “smettere di attaccare fratelli e sorelle”.
Bolivia in rivolta
Da settimane infatti il Paese è in subbuglio, sconvolto dalle massicce proteste anti-governative scaturite dalle notizie di brogli elettorali in occasione del primo turno delle elezioni dello scorso 20 ottobre. Il partito di Morales, il Movimento per il Socialismo (Mas), aveva vinto con il 47 per cento dei voti, ma il partito all’opposizione, Comunità Cittadina, aveva denunciato irregolarità. Sono seguiti numerosi atti di violenza, guidati perlopiù dall’Unión juvenil cruceñista, gruppo ultracattolico e neonazista definito dalla Federazione internazionale dei diritti umani come “un gruppo paramilitare”.
Le violenze sono state perpetrate soprattutto ai danni della popolazione indigena e rurale e degli esponenti dei sindacati e del Mas. Patricia Arce, sindaco del comune di Vinto, nel dipartimento di Cochabamba, è stata sequestrata da un gruppo di persone legate alla Comunità Cittadina. La donna è stata picchiata, rasata, coperta di vernice rossa e costretta a camminare a piedi nudi per sette chilometri. Durante gli scontri sono morte almeno tre persone e centinaia sono rimaste ferite, mentre in molte città ufficiali di polizia in uniforme si sono uniti ai manifestanti e l’intero corpo di polizia si è ammutinato ed è passato all’opposizione.
Denuncio ante el mundo y pueblo boliviano que un oficial de la policía anunció públicamente que tiene instrucción de ejecutar una orden de aprehensión ilegal en contra de mi persona; asimismo, grupos violentos asaltaron mi domicilio. Los golpistas destruyen el Estado de Derecho.
— Evo Morales Ayma (@evoespueblo) 11 novembre 2019
Le dimissioni di Morales
L’Organizzazione degli stati americani, che ha aperto un’inchiesta sull’esito del voto, ha effettivamente riscontrato delle anomalie e suggerito di tenere nuove elezioni. Morales ha acconsentito ma il capo dell’esercito, il generale Williams Kaliman, ha “invitato” il presidente a dimettersi “per consentire il mantenimento della stabilità”. Morales ha dunque rinunciato alla propria carica, annunciando le dimissioni in una conferenza stampa. L’uomo ha affermato che si stava dimettendo per il bene del Paese, ma ha aggiunto di essere stato vittima di un colpo di stato e che “forze oscure hanno distrutto la democrazia”. Si sono dimessi anche il suo vice, la presidente e il vicepresidente del senato.
Acabo de saber que houve um golpe de estado na Bolívia e que o companheiro @evoespueblo foi obrigado a renunciar. É lamentável que a América Latina tenha uma elite econômica que não saiba conviver com a democracia e com a inclusão social dos mais pobres.
— Lula (@LulaOficial) 10 novembre 2019
Eroe del popolo o tiranno?
Per le strade della Bolivia molte persone festeggiano la caduta di Morales come la fine di una tirannia. I suoi sostenitori hanno però equiparato il processo che ha portato alle sue dimissioni a un colpo di stato. Tra questi anche esponenti di spicco della sinistra latinoamericana, come il presidente venezuelano Nicolas Maduro e il presidente eletto argentino Alberto Fernandez. “È stato un golpe perpetrato contro un presidente che ha convocato un nuovo processo elettorale – ha scritto Fernandez sul proprio profilo Twitter -. Come difensori della istituzionalità democratica condanniamo la violenza che ha impedito a Evo Morales di concludere il suo mandato e che ha alterato il corso di un processo elettorale”.
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Un ordine di cattura per Morales
Ai danni dell’ex presidente sarebbe perfino stato emesso un ordine di cattura. Il comandante della polizia, Yuri Calderón, ha negato, mentre Luis Fernando Camacho, leader del movimento dei comitati civici che ha portato alle dimissioni di Morales, fattosi fotografare con una bibbia in mano dentro la casa saccheggiata e distrutta dell’ex presidente, ha confermato la notizia. “La polizia e i militari lo stanno cercando nel Chapare, luogo dove si è nascosto”, ha scritto su Twitter il presidente del Comité pro Santa Cruz. Morales ha però fatto sapere di non aver intenzione di lasciare il Paese e che si trasferirà nella zona di Cochabamba. “Non ho ragioni per scappare, dato che non ho rubato nulla. Il mio peccato è essere indigeno, antimperialista e di sinistra”.
L’eredità di Morales
Nel corso dei suoi mandati Morales ha guidato la Bolivia verso una fase di grande sviluppo, è diventata la nazione con il più alto tasso di crescita in America Latina, riducendo inoltre notevolmente la povertà e compiendo grandi progressi dal punto di vista dell’equità sociale, dando voce alle popolazioni indigene. L’ex presidente è stato invece criticato per l’eccessivo attaccamento al potere e per aver favorito il disboscamento aumentando la quantità di terreno che i contadini possono deforestare. Nel 2018 la Bolivia, secondo Global forest watch, è stata il quinto paese più disboscato al mondo.
Il futuro della Bolivia, dopo anni di democrazia e stabilità, sembra però vacillare sotto i colpi di quella che l’ex vice presidente dello stato, Álvaro García Linera, ha definito “un’ondata fascista”. Eloquente è il gesto dei militari boliviani che hanno ammainato la wiphala, la bandiera rappresentativa dei popoli nativi che vivono nei territori andini, simbolo della composizione multietnica della Bolivia e voluta da Morales, dagli edifici governativi.
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