
L’accordo sulla Brexit raggiunto dalla premier britannica Theresa May con l’Unione europea è stato respinto dal Parlamento del Regno Unito. Ma il 29 marzo si avvicina.
La premier inglese Theresa May si è detta pronta a dimettersi se l’accordo sulla Brexit verrà approvato. Ma la mossa non sembra aver convinto il Parlamento.
La giornata che avrebbe dovuto segnare un passo avanti decisivo, nel Regno Unito, verso l’approvazione di un accordo sulla Brexit, ha portato in realtà ad una situazione politica ancor più ingarbugliata. Nonostante trattative serrate, colpi di scena e negoziati con tutti i partiti, i parlamentari britannici non sono riusciti a trovare alcun accordo.
A nulla è valsa, finora, neppure la promessa disperata arrivata nel tardo pomeriggio dal primo ministro Theresa May: “Se il Parlamento approverà l’accordo raggiunto nel novembre del 2018 con l’Unione europea, in cambio sono pronta a dimettermi”, ha dichiarato. La leader conservatrice sarebbe dunque disposta a sacrificare la propria poltrona sull’altare della Brexit.
Ma il risultato prodotto da tale mossa è stato contrario a quanto sperato. Esso non ha fatto altro che sfaldare ancora di più la maggioranza di governo. Rendendo così ancor più probabile l’ennesimo “no” all’accordo dello scorso autunno (un voto è previsto entro la fine della settimana). Inoltre, i deputati non sono riusciti neppure a trovare una maggioranza sulle proposte alternative di “deal” poste all’ordine del giorno.
Il @guardian oggi.
La #Brexit dimostra che l’unica sovranità possibile è quella europea. Il nazionalismo è un imbroglio. #ToFedEu pic.twitter.com/EZ0bLS7N8V— Carmelo Arena כרמלו (@carmeloarena_) 28 marzo 2019
A voltare le spalle a May sono stati infatti i parlamentari del piccolo Partito democratico unionista dell’Irlanda del Nord, che hanno giudicato quella del primo ministro una “minaccia inaccettabile”. Si tratta soltanto di dieci deputati, che tuttavia sono indispensabili per il governo. La loro posizione sul “deal” è rimasta di netta chiusura, poiché è giudicato inaccettabile lo status particolare previsto per l’Irlanda del Nord, che potrebbe creare una sorta di barriera con la Gran Bretagna.
Nelle intenzioni di Theresa May, invece, i sostenitori di una Brexit “dura” (senza accordo con l’Unione europea) avrebbero dovuto accettare il documento del novembre 2018 proprio grazie alla promessa di dimissioni. In molti casi per ragioni squisitamente politiche: è il caso ad esempio di Boris Johnson, uno dei più acerrimi nemici dell’accordo, che si era detto tuttavia pronto a votarlo, a condizione proprio di un passo indietro da parte del primo ministro. Per una semplice ragione: il politico ultra-conservatore punta a prendere il posto dell’attuale capo del governo.
#TheresaMay offre le sue dimissioni se il Parlamento approverà l’accordo sulla #Brexit stretto con Bruxelles, che Westminster ha già bocciato due volte. E i ‘Brexiteer’ più intransigenti, questa volta, sembrano più disponibili al dialogo. https://t.co/LvxKi56TED
— Agi Agenzia Italia (@Agenzia_Italia) 27 marzo 2019
Così, la giornata si è conclusa con un Parlamento ancor più frammentato, un governo indebolito e alcun passo avanti verso l’approvazione di un accordo con l’Europa. Intanto, si avvicina la data-limite indicata da Bruxelles, entro la quale Londra deve fornire una risposta definitiva sull’accordo: il 12 aprile. Le elezioni europee sono ormai prossime, infatti, e l’Unione europea deve sapere chi vi parteciperà. Ovvero chi farà parte ancora della stessa Ue. Mai il futuro comunitario è stato così nebuloso.
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