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Michele Brunetti del Cnr, il caldo record del 2018 in Italia dimostra i cambiamenti climatici in atto
L’autore dello studio secondo cui il 2018 è stato l’anno più caldo degli ultimi due secoli: “In 30 anni il riscaldamento è aumentato, i cambiamenti climatici si possono fermare ma serve volontà”.
Lo studio del Cnr che mostra come il 2018 sia stato l’anno più caldo dal 1800 pubblicato ieri, di fatto ha messo nero su bianco l’esistenza di cambiamenti climatici in corso in Italia (così come in tutto il resto del mondo). Anche perché Michele Brunetti, responsabile della Banca dati di climatologia storica dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna e autore della ricerca, specifica che “l’anomalia del 2018 da sola significa poco, ma vista nel contesto degli ultimi 220 anni di storia climatica dell’Italia ha valore eccome”. Ecco allora qualche spiegazione in più.
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Il suo studio prende come periodo di riferimento gli ultimi 30 anni: come si evince da questo che quello appena passato sia stato davvero l’anno più caldo dal 1800?
Quello che abbiamo evidenziato è che la media cui sono riferiti tutti i dati dal 1800 a oggi è in forte anomalia rispetto alla temperatura media degli ultimi 30 anni. C’è stato uno spostamento rigido di tutte le temperature, di diversi gradi. E il 2018 ha avuto più di 1,58 gradi sopra la media dell’ultimo trentennio, già più caldo di per sé. È significativo il fatto che tra i 30 anni più caldi dal 1800 ad oggi, 25 siano successivi al 1990.
Eppure proprio i primi giorni del 2019 hanno visto l’arrivo di una cosiddetta ‘ondata di gelo’ e di neve al Sud, tanto che qualcuno ne ha approfittato per sminuire le preoccupazioni sul surriscaldamento globale.
Ma non si tratta di un freddo anomalo, siamo abbastanza nella norma, non dobbiamo confondere il tempo meteorologico con il clima. Quelle di questo periodo sono normali oscillazioni rispetto alla media, è normale che ci siano dei picchi di caldo in estate e di freddo in inverno.
È vero, tra l’altro, che proprio lo scioglimento dei ghiacciai al Polo può immettere acqua fredda negli oceani e, abbassando la temperatura delle correnti, creare fenomeni atmosferici più freddi o violenti?
Quello che è stato osservato è che i poli, in particolare il Polo Nord, si scaldano di più delle altre zone della Terra, e questo riduce il gradiente di temperatura che è il motore che regola la circolazione alle nostre latitudini. Questo può portare a periodi di blocco maggiori, al perdurare di periodi di maltempo più prolungati. Certo non si può dire però che lo scioglimento dei ghiacci di per sé porti ondate di gelo.
Il 2018, oltre che l’anno più caldo, è stato anche l’anno del parziale fallimento delle trattative della Cop24 sulla riduzione delle emissioni nell’atmosfera: c’è ancora tempo per salvare il pianeta?
L’allarme lanciato dal rapporto Ipcc non è stato ascoltato. Le possibilità di intervenire a mio parere ci sono, non so però se ce c’è la volontà di farlo. Bisogna intervenire per ridurre le emissioni, bisogna assolutamente ridurre la concentrazione di CO2 nell’aria.
Manca soprattutto qualcuno che si erga a leader di questa istanza, qualcuno che dia l’esempio, ora che soprattutto gli Stati Uniti hanno deciso di smarcarsi?
Sono i paesi industrializzati che dovrebbero fare il primo passo, e bisognerebbe dare un mano anche a chi invece in questo periodo avrebbe bisogno di crescere. Certo, bisogna che l’intervento cominci da qualcuno: la Cina sta migliorando, è vero che emette più di tutti ma se guardiamo alle emissioni pro-capite ha raggiunto il livello dell’Europa. Trump, purtroppo, non è molto per la quale, ma alcuni dei singoli Stati più industrializzati, come la California e lo stato di New York, hanno già deciso di far qualcosa per conto loro. Una luce c’è.
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