Per incoraggiare la citizen science, gli scienziati hanno pubblicato una lista delle specie di uccelli di cui mancano testimonianze recenti.
Il camoscio appenninico è tornato, storia di un successo mondiale
Il progetto di reintroduzione del camoscio appenninico, praticamente estinto agli inizi del Novecento, è stato premiato dalla Commissione europea.
La storia del camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) ha tutti i tòpos caratteristici della fiaba, così come delineati dall’antropologo russo Vladimir Propp. C’era un tempo un equilibrio iniziale, nell’Olocene i camosci popolavano in prosperità le montagne dell’Appennino centrale, dalle Marche alla Calabria, come pacifici e irraggiungibili signori delle rupi. Dopodiché quell’equilibrio è stato rotto e i camosci hanno rischiato più volte l’estinzione tra l’Ottocento e il Novecento, a causa della caccia spietata e dell’impatto degli allevamenti. Quelle che Propp classifica come “peripezie dell’eroe” le riscontriamo agli inizi del secolo scorso quando i nostri eroi, i camosci, erano letteralmente affacciati sul baratro dell’estinzione. Agli inizi del Novecento sopravvivevano infatti appena una trentina di camosci, in Abruzzo, in un’area ribattezzata la Camosciara, protetti dalle sue vette impervie e dalle creste frastagliate. Sarebbe bastata un’epidemia o un inverno particolarmente rigido per spazzare via per sempre questa splendida specie dalla faccia della Terra. Per fortuna si decise però di proteggere questa esigua e preziosa popolazione di camosci, istituendo il Parco nazionale d’Abruzzo nel 1922. Questo ci porta all’ultima fase dello schema generale di una fiaba, il ristabilimento dell’equilibrio.
Da 30 a 2.000
Da allora i camosci appenninici sono aumentati esponenzialmente e oggi se ne contano oltre duemila esemplari, diffusi in cinque parchi: il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco nazionale della Majella, il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco nazionale dei Monti Sibillini e il Parco regionale del Sirente-Velino.
La storia di un progetto straordinario
Il ritorno di questo raro ungulato, endemico dell’Italia centrale, è merito dello straordinario progetto di reintroduzione Life Coornata, avviato nel 2010 dai cinque parchi sopracitati con la collaborazione di Legambiente e realizzato grazie allo strumento finanziario Life+ dell’Unione europea. La crescita demografica di quello che gli zoologi definiscono “il camoscio più bello del mondo”, è frutto del lavoro coordinato di tutti i parchi dell’Appennino centrale, tramite la creazione di nuove colonie e la protezione dei camosci e dei loro habitat.
Tra i migliori progetti ambientali d’Europa
Che il salvataggio del camoscio appenninico fosse un’impresa straordinaria era evidente, ora però è stato anche riconosciuto ufficialmente. Lo scorso 31 maggio infatti il progetto di tutela del camoscio è stato premiato dalla Commissione europea che lo ha inserito tra i 27 migliori progetti di conservazione, i Best Life del 2015.
Nuove tecniche di reintroduzione
Uno dei cardini del progetto prevedeva il prelievo di alcuni esemplari di camoscio dall’Abruzzo per rilasciarli negli altri parchi appenninici e avviare nuove colonie. Anche qui il progetto ha mostrato la sua eccellenza utilizzando tecniche avanzate per catturare gli animali, mai usate prima su questa specie. Anziché prelevare e liberare singoli individui sono state effettuate catture collettive, per permettere ai camosci, animali che vivono in gruppo, di adattarsi meglio al nuovo ambiente.
Il futuro del camoscio
I camosci reintrodotti si sono ambientati presto e hanno iniziato a riprodursi con frequenza lasciando ben sperare per il futuro della specie. Il camoscio appenninico non può però ancora essere considerato fuori pericolo, le minacce sono la scarsa variabilità genetica (ricordiamo che tutti gli esemplari esistenti derivano dai quei trenta superstiti abruzzesi) e il numero ancora limitato delle popolazioni. Il camoscio però, con la leggerezza con cui salta da una rupe all’altra con sprezzo della forza di gravità, ha sconfitto l’estinzione, tornando a popolare le nostre montagne, rendendole meno vuote e rappresentando inoltre una grande attrazione eco-turistica.
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