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Case a un euro per ripopolare i borghi. Indagine dietro a un successo a metà
Le case a un euro hanno avuto una grande eco e stanno salvando alcuni villaggi italiani, ma non li stanno ripopolando. Dietro a questo fenomeno infatti si cela lo sfruttamento turistico che non aiuta a riportare in vita i centri storici.
“Quando ho letto i primi articoli sulle case in vendita a un euro, non ho prestato molta attenzione”, ci confessa Marie Ohanesian Nardin, scrittrice californiana residente a Venezia. A lei e suo marito era capitato di parlare di investimenti immobiliari, senza troppo approfondire. Poi alla tv hanno trasmesso un servizio da Sambuca di Sicilia, uno dei borghi coinvolti nel progetto, ed è scattata la scintilla.
“L’architettura e la storia della città, il grande cielo soleggiato, la campagna circostante piena di uliveti e vigneti, il quartiere Saraceno del centro storico, tutti questi elementi mi hanno incuriosito”, spiega Marie. Con il marito ha trascorso qualche giorno nel paesino, conoscendo la popolazione locale, passeggiando nei viottoli e respirando l’aria di quello che è stato nominato il borgo più bello d’Italia e che da tempo vive un calo di popolazione – gli abitanti il secolo scorso erano oltre 11mila, oggi neanche 6mila. Se ne sono innamorati e hanno deciso di acquistare qui casa.
Come loro, altre famiglie hanno fatto lo stesso, investendo sulle case vuote del paese. 16 abitazioni sono state messe all’asta a un euro dall’amministrazione comunale di Sambuca di Sicilia. “Recuperare il patrimonio, incentivare il turismo e scongiurare lo spopolamento”, la filosofia alla base dell’iniziativa. Le 16 case sono andate via subito, mentre le richieste si sono estese anche ad altre abitazioni: 75 unità sono state acquistate a prezzo di mercato, per un effetto traino. Numeri salutati come un grande successo dalla giunta locale, che si appresta a lanciare nuovi bandi.
The Italian town of Sambuca in Sicily is selling homes for just over a dollar https://t.co/E2w8SLBKto pic.twitter.com/reNTIRN4gG
— CNN (@CNN) January 18, 2019
Le case a un euro in Italia
Entro il 2030, il 60 per cento della popolazione mondiale si concentrerà nelle città. In Italia, il processo di urbanizzazione è già ben avviato: dieci persone su mille lasciano ogni anno le campagne e sette persone su dieci vivono nei centri urbani. Questo sta desertificando i villaggi rurali. Secondo le statistiche, i paesi fantasma in Italia sono 6mila. In molti altri borghi a resistere è solo un nocciolo duro di residenti. Sono 115 i comuni che tra gli anni settanta e oggi hanno perso oltre il 60 per cento della popolazione. A essere colpito da questa emorragia è soprattutto il sud Italia, dove la disoccupazione e i servizi che faticano a stare al passo con la modernità – vedi la scarsa diffusione della banda larga – stanno amplificando la fuga.
Per porre rimedio a questa situazione, i sindaci stanno lanciando progetti appositi. L’iniziativa delle case a un euro rientra tra queste. Come spiega un sito apposito, gli immobili vengono ceduti in donazione ai Comuni da parte di privati che vogliono disfarsene, spesso per non pagare le tasse sulla proprietà. Tramite procedura pubblica, i Comuni li vendono aprendo un’asta alla cifra simbolica di un euro.
Sono oltre 20 i comuni italiani che hanno percorso questa strada. E in molti casi si è trattato di un grande successo. A Sambuca di Sicilia sono arrivate 40mila richieste di informazioni, mentre a Ollolai, in Sardegna, le offerte sono state 5mila. Questi numeri hanno spinto anche i centri più grandi a lanciarsi. Nel quartiere Isola di Taranto, dove oggi vivono solo 3mila persone, diverse abitazioni verranno messe sul mercato a un euro, per combattere incuria e spopolamento.
Gli acquirenti stranieri
È soprattutto dall’estero che sono arrivate la maggior parte delle manifestazioni di interesse, anche grazie a servizi televisivi su reti come Cnn e Discovery Channel. E la nazionalità straniera degli acquirenti è anche un po’ il limite dell’iniziativa. A Sambuca di Sicilia, su 66 offerte definitive arrivate per le case del borgo solo una era italiana. Piuttosto che prime case in cui andare a vivere stabilmente, le unità acquistate diventano seconde case o strutture da convertire in B&B. Le istituzioni locali non inseriscono nei bandi un vincolo di trasferimento della residenza, gli unici paletti per l’acquisto della casa riguardano la ristrutturazione.
Nel caso di Cecilia, 46enne argentina che ha acquistato casa a Mussomeli, in Sicilia, l’assenza del vincolo di residenza non importa. Lei nel piccolo borgo siciliano vuole viverci stabilmente, dopo essersene innamorata in un viaggio passato. E nella sua casa di 250 metri quadri ci sarà anche un laboratorio, dove potrà creare e vendere gioielli. La sua storia è però minoritaria, nella maggior parte dei casi le unità abitative non sono state occupate a tempo pieno. Come a Ollolai, dove la metà sono state abitate temporaneamente da alcune coppie per un reality show olandese, o a Sambuca di Sicilia, con storie come quella di Marie, che continuerà a vivere a Venezia: “Al termine del restauro, trascorreremo il più tempo possibile nella nostra nuova casa. Per ora le vacanze, poi sicuramente più tempo quando saremo più vicini alla pensione”.
Un successo a metà
Il ripopolamento rischia allora di funzionare a metà, offrendo ai borghi una vivacità rinnovata, ma di natura stagionale. Un esito che ricalca le iniziative di Airbnb sul tema. Nel 2017 è stato lanciato Italian Villages, un progetto che promuove venti realtà di provincia a livello internazionale, così da farle tornare a risplendere grazie a nuovi flussi di persone. È stato realizzato un sito con storie e fotografie, offrendo assistenza agli host locali per intercettare i visitatori. Una logica simile a quella di Italian Sabbatical, sempre a firma Airbnb, che ha visto cinque persone provenienti da Canada, Australia, Gran Bretagna, Argentina e Stati Uniti trasferirsi nel borgo di Grottole in Basilicata – 300 abitanti e 600 case vuote – per riportarlo ad antico splendore tramite lo sviluppo di un’offerta di turismo esperienziale capace di attrarre visitatori da tutto il mondo.
Il ripopolamento in chiave turistica non solo ha mantenuto vuote molte case, ma ne ha svuotate altre, lasciate dai proprietari per metterle a rendita sotto forma di strutture ricettive, alla luce del nuovo appeal dei villaggi. Che i processi di turistificazione non siano la miglior ricetta per il ripopolamento lo mostrano d’altronde casi più macro: Venezia, Roma, Firenze. Come sottolinea la ricercatrice Sarah Gainsforth nel suo libro Airbnb città merce, questi e altri centri storici stanno perdendo residenti proprio per l’impatto del mercato degli affitti brevi sulle loro vite.
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Oltre il turismo
“Si fa ancora molta fatica a inventare strategie di riqualificazione che non siano quelle legate alla promozione turistica”, spiega Marisa Fantin, componente del consiglio direttivo dell’Istituto nazionale di urbanistica, a LifeGate. “Senza dubbio vanno apprezzati gli sforzi di chi seguendo questa strada prova a evitare che il patrimonio edilizio delle città e dei borghi sparsi venga distrutto dall’abbandono, ma il turismo non può essere la soluzione definitiva al problema”.
Proprio per questo motivo, c’è chi da qualche tempo si è lanciato in programmi alternativi. Candela è un paesino in provincia di Foggia, in pochi decenni passato da 8mila a 2mila abitanti. L’economia e i servizi hanno risentito di questa emorragia e le istituzioni locali hanno così dato vita nel 2016 a un’iniziativa nella logica simile a quella delle case a un euro, ma forse più efficace in un’ottica di ripopolamento annuale. A chi si trasferisce in paese, spostando la residenza, sarebbe stata corrisposta una quota che va dagli 800 euro per i single ai 1.800 euro per le famiglie con bambini. Inoltre, sono stati previsti sgravi per bollette, tassa rifiuti e asili.
In un anno, il villaggio ha visto aumentare la popolazione residente di 38 unità. Più o meno quanto successo in altri villaggi italiani, condannati a divenire fantasma e poi rinati grazie ai progetti locali. Un esempio è quello di Riace, che grazie alla visione dell’ex sindaco Mimmo Lucano è passato in venti anni da 900 abitanti a duemila, con la sua inclusione nel sistema Sprar e la messa a disposizione degli immigrati delle decine di abitazioni abbandonate dai proprietari. Sono sorte botteghe, attività, iniziative fondate sull’inclusione, l’economia locale è tornata a girare e molti di quelli che avevano abbandonato il paese hanno deciso di tornare. Oggi il modello Riace è in difficoltà a causa dell’offensiva politica contro l’integrazione che funziona, ma l’esperienza è stata replicata altrove. E’ il caso di Sant’Alessio d’Aspromonte, che ha fatto dello Sprar uno degli strumenti di ripopolamento del centro storico, o di Acquaformosa, dove l’immigrazione è una ricchezza che ha permesso tra le altre cose di non far chiudere servizi locali come scuole e uffici postali.
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Combattere lo spopolamento a un euro
Ma al di là di questi casi, in giro per l’Italia si moltiplicano le iniziative di ripopolamento più disparate, tra crowdfunding per trasformare un edificio abbandonato in una casa di riposo con tutte le conseguenze economiche in termini di dipendenti e ospiti, a Castel Del Giudice, o la nascita di movimenti culturali come il pugliese Daimon: la scuola per restare, che riunisce organizzazioni, docenti, cittadini e istituzioni per la riscoperta e la valorizzazione dei luoghi dimenticati regionali.
“Lo spopolamento dei borghi si combatte combinando una presenza turistica che occupa una parte degli stabili vuoti con chi invece si trasferisce in modo definitivo in questi luoghi, facendone un’occasione di lavoro sia per ampliare l’offerta turistica stessa ma soprattutto per fare manutenzione del territorio”, conclude Fantin. “Investimenti di questo tipo non possono venire unicamente dall’iniziativa del privato, servono piuttosto finanziamenti pubblici. Perché il ripopolamento funzioni davvero, è necessario che le risorse arrivino dall’alto”.
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