Come costruire un nuovo multilateralismo climatico? Secondo Mark Watts, alla guida di C40, la risposta è nelle città e nel loro modo di far rete.
Cos’è il Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile dell’Africa di Roma
L’Africa è il centro nevralgico nella lotta contro i cambiamenti climatici. Per questo a Roma è stato inaugurato il Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile del continente africano.
di Rosy Matrangolo, giornalista
Con l’inaugurazione del Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile dell’Africa a Roma si fa fede a una promessa: quella di un progetto voluto e proposto dal governo italiano al G7 Ambiente di Bologna nel 2017 e che vede oggi la luce grazie alla collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo svilippo (Undp) e con la Fao.
Le strategie della comunità internazionale per raggiungere e rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e riuscire negli obiettivi di sconfiggere la povertà e la fame sembrano percorrere al contrario la rotta migratoria nel Mediterraneo, nella direzione di favorire lo sviluppo rurale, migliorare le condizioni di vita e offrire alle giovani generazioni opportunità per costruire un futuro nel proprio Paese. Con beneficio per tutti. “La salvaguardia del nostro pianeta, dal punto di vista climatico, ambientale, sociale, non può essere garantita se non partendo dall’Africa”, ha dichiarato il ministro per l’Ambiente Sergio Costa durante la cerimonia d’inaugurazione del centro.
Investimenti sostenibili, condivisione del know how a favore di un’agricoltura che tuteli il territorio e l’ambiente in aree compromesse dalla desertificazione come la fascia del Sahel, ma soprattutto ascolto e difesa dei bisogni locali.
Di cosa si occupa il Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile dell’Africa
Il primo obiettivo sarà conoscere le trasformazioni e gli sforzi dei paesi africani: Zitouni Ould-Dada, vicedirettore della divisione Clima e ambiente della Fao ha portato la sua esperienza nel progetto proprio su questo fronte: “Il centro aspira alla promozione dello sviluppo sostenibile con un’attenzione particolare al clima, alla sicurezza alimentare, all’accesso all’acqua, alle energie rinnovabili e alla parità di genere – chiarisce Ould-Dada –. Lavoreremo a stretto contatto con i Paesi africani per comprendere meglio i loro bisogni, le sfide e le priorità per fornire il sostegno più mirato possibile. Il primo compito consiste nel mappare le iniziative già esistenti in modo da non duplicare gli sforzi esistenti. Ciò consentirebbe al Centro di aggiungere valore al sostegno già fornito ai Paesi africani. Inoltre, e affinché ogni intervento possa essere più efficace, il Centro dovrà concentrarsi sulle aree in cui vi è un reale divario e necessità di sostegno”.
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Una cooperazione che non parte da zero e che ha buoni esempi alle spalle.
“Esistono progetti che funzionano e che hanno molto valore per le comunità locali coinvolte, come la Coalizione per lo sviluppo del riso africano per valorizzare e aumentare la produzione di riso anche in località difficili come il Sahara meridionale – commenta il referente Fao –. Il Centro per i cambiamenti climatici in Marocco è invece un importante hub per la diffusione di competenze in materia di sostenibilità: qui si fa formazione e ricerca a livello nazionale e per l’intero continente. Questi sono organismi importanti e le consideriamo esperienze positive da riprodurre”.
I numeri delle emergenze in Africa
Stimare le priorità d’intervento è possibile, soprattutto perché i dati delle emergenze sono inequivocabili. “In Africa circa 330 milioni di persone vivono in povertà e circa il 60 per cento dei disoccupati africani è giovane – precisa Zitouni Ould-Dada –. Il coinvolgimento dei ragazzi in età scolare è fondamentale in particolare per lo sviluppo rurale: nell’Africa sub-sahariana, ad esempio, si prevede che il numero di persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni aumenterà di oltre 90 milioni entro il 2030 e l’aumento più elevato è previsto nelle aree rurali. È a loro che dobbiamo rivolgerci.
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La relazione tra riscaldamento globale, migrazione e conflitto è interconnessa e complessa: oltre un milione di persone, sia rifugiati che sfollati, sono costretti a lasciare la propria casa in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger in seguito a un conflitto.
Ancora, la competizione per le scarse risorse, come l’acqua e la terra fertile, è resa più aggressiva da vari fattori quali la crescita della popolazione, la povertà e l’aumento degli sfollati a causa dei conflitti”. L’impresa è estrema, ma si intraprende senz’altro con il piede giusto la sfida di affrontare i grandi temi globali proiettandoli in un’ottica di destino condiviso.
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