Svetlana Aleksievič è stata insignita del premio Nobel per la Letteratura nel 2015 per aver raccontato gli episodi più tragici dell’Unione Sovietica, a partire dall’incidente nucleare di Chernobyl. La nostra intervista esclusiva.
Chernobyl, la serie tv sul disastro nucleare che inquieta per quanto è attuale
Chernobyl è la nuova serie tv che racconta cosa è successo nel 1986 ricostruendo la storia fatta di errori e menzogne che hanno contribuito a causare il peggior disastro nucleare di sempre.
1:23:45. È l’ora esatta della notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 quando in un paesino dell’allora Unione Sovietica si verifica il peggior incidente nucleare della storia, alla centrale nucleare di Chernobyl, che sta facendo scontare le sue conseguenze agli abitanti e all’ambiente ancora oggi, e per altri chissà quanti anni in futuro. Più di 30 anni dopo, una serie televisiva racconta l’accaduto, attraverso le vicende delle persone che l’hanno vissuto in prima persona: chi lavorava alla centrale, chi viveva a pochi metri, chi è stato chiamato per aiutare a contenere i danni, chi prendeva (o non prendeva) decisioni che sarebbero ricadute sulla sorti di una generazione intera.
Chernobyl, la miniserie sul peggior incidente nucleare della storia
La serie, intitolata Chernobyl, prodotta da Hbo, scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, si apre con una domanda tanto semplice quanto significativa, che accompagna come fil rouge tutte e cinque le puntate: “Qual è il costo delle bugie?”. Poi le immagini, buie e fredde, ci portano subito alla notte dell’incidente quando alla centrale nucleare V.I. Lenin è in corso un test di sicurezza sul reattore numero 4. Per una serie di fattori l’esperimento fallisce e si verifica quello che non si credeva lontanamente possibile: l’esplosione del nocciolo del reattore che, scoperto, avrebbe poi sprigionato una quantità assurda e inedita di radiazioni letali.
I reattori Rbmk usano uranio 235 come combustibile. Ogni atomo di U-235 è come un proiettile che viaggia quasi alla velocità della luce penetrando qualsiasi cosa incontri: legno, metallo, cemento, carne. Ogni grammo di U-235 ha più di un trilione di questi proiettili. Chernobyl contiene più di 3 milioni di grammi che ora vanno a fuoco.Valerij Legasov, scienziato
Tra campanelli d’allarme e sirene di emergenza, arrivano le prime risposte a ciò che viene inizialmente comunicato come un banale incendio al tetto della centrale, come uno spettacolo fluorescente da andare a osservare come comunità, in una nottata di aprile. Le risposte istituzionali, e politiche, sono chiare: contenere la fuga di notizie, negando, per evitare uno scandalo. Così, Pripyat, una delle atomgrad ovvero “città atomiche” progettate in Unione Sovietica per accogliere gli impiegati delle centrali nucleari e le loro famiglie, viene isolata.
La posizione ufficiale dello stato è che una catastrofe nucleare mondiale non può verificarsi nell’Unione sovietica.dalla serie di Chernobyl, Hbo
Cosa accadde a Chernobyl, l’errore umano
In questo primo susseguirsi di scene è racchiuso il fulcro della serie, così come il modo in cui si è deciso di raccontare la storia di un disastro: attraverso la percezione umana. Da un disastro nucleare ci si aspetta di vedere immagini di caos, rumore, distruzione assoluta. Questa serie, invece, comincia facendoci immergere negli effetti delle radiazioni che sono inizialmente impercettibili, invisibili. Assistiamo quindi a scene inquietanti e a volte quasi fastidiosamente silenziose e lente che ci fanno vivere il peso di ogni minuto in più passato inconsapevolmente a respirare quell’aria e a essere in contatto con quell’ambiente così altamente contaminati.
Il vento porta queste particelle radioattive per tutto il continente: sono miliardi di triliardi di pallottole nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo, nel cibo che mangiamo. Molte di queste pallottole non smetteranno di bruciare per centinaia di anni alcune per oltre 50mila anni.Valerij Legasov, scienziato
Inoltre, mostra il fatto che nessuno fosse preparato a gestire le conseguenze di un evento di tale portata. Nessuno escluso, dagli interventi di primo soccorso dei pompieri e del personale medico in ospedale alla gestione del contenimento delle radiazioni in maniera tempestiva e duratura, aggravata in particolare dalla scarsa protezione e comunicazione da parte di chi avrebbe dovuto informare la popolazione, i civili sull’entità di quanto appena accaduto.
Ci sono due simboli di questo: una è la grafite – materiale usato per moderare i flussi di neutroni all’interno del nocciolo – che è stata ritrovata, ma non riconosciuta o considerata da molti dei responsabili, tra i detriti dell’esplosione e che avrebbe dovuto far capire immediatamente a chi credeva non fosse possibile che il nocciolo del reattore era esploso. Esploso.
Il secondo sono i dosimetri, la strumentazione con cui vengono misurate le radiazioni presenti nell’ambiente, chiaramente inadeguati, insufficienti e limitati: quelli a disposizione potevano registrare un livello massimo di 3,6 roentgen all’ora, quantità che è stata inizialmente comunicata come ufficiale e già considerata letale da far evacuare tutta la zona. In realtà, le radiazioni presenti nell’atmosfera dopo l’esplosione arrivavano fino a picchi di 20mila roetgen, come se si venisse sottoposti a centinaia di migliaia di radiografie. Contemporaneamente.
Solo 36 ore dopo, quando già in Svezia, a 400 chilometri di distanza, vengono riscontrati livelli allarmanti di radiazioni, quando in Germania ai bambini era già stato proibito di giocare all’aperto e quando hanno iniziato a circolare sui mezzi di comunicazione internazionali le immagini satellitari della centrale distrutta, solo allora gli abitanti di Pripyat sono stati evacuati.
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Procedendo, la serie ripercorre i giorni e le settimane seguenti all’accaduto ed esamina quegli elementi e fattori, numerosi e interconnessi, che hanno portato al disastro. Dalle decisioni sbagliate, all’incompetenza di alcuni addetti, alle falle strutturali del sistema del reattore, ai protocolli violati, ma soprattutto alle verità negate. Ognuno è stato un anello di quella catena che, una volta spezzata, è stato impossibile ricostruire per lungo tempo.
Le conseguenze del disastro di Chernobyl
Solo una volta comunicato il disastro da parte di Mosca – ufficialmente il 28 aprile –, si è messa in moto la farraginosa macchina di risposta per contenere le radiazioni sprigionate dalle macerie del nocciolo del reattore esploso: il 30 per cento delle 190 tonnellate metriche di uranio della centrale era già nell’atmosfera. È stato il primo incidente nucleare a essere stato classificato come catastrofico (di livello 7), il grado più alto nella scala Ines degli incidenti nucleari, seguito poi da quello di Fukushima (causato però da un disastro naturale, uno tsunami, e che ha portato a una fusione parziale del nocciolo, a differenza dell’esplosione totale di Chernobyl, causata dall’errore umano).
In totale, 600mila persone sono state “arruolate” per lavorare alle conseguenze dell’incidente, dapprima con i soccorritori per spegnere il fuoco e assistere i feriti, poi, e soprattutto, con i liquidatori, coloro che hanno lavorato per ripulire e ripristinare l’area: i piloti che hanno gettato dagli elicotteri sabbia e boro per spegnere il nocciolo, i minatori che hanno scavato sotto il reattore per evitare che la contaminazione raggiungesse le falde acquifere (due azioni in realtà rivelatesi inutili), soldati e civili che sono diventati “biorobot” che, a mano, hanno spalato grafite e altro materiale radioattivo dalla centrale.
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La centrale nucleare V.I. Lenin, situata a circa 3 chilometri dalla cittadina di Pripyat, 18 chilometri a nordovest della città di Chernobyl, 110 chilometri a nord della capitale Kiev e solo 16 chilometri dal confine con la Bielorussia, ha rilasciato per due settimane materiale e sostanze radioattive, trasportate poi dal vento in diverse zone d’Europa e del mondo, si stima quattro volte superiore da quelle rilasciate dalla bomba di Hiroshima. 300mila persone sono state evacuate dalle proprie case, 115mila subito e le altre in un secondo momento. Un’area di 2.600 chilometri quadrati (circa 30 chilometri in tutte le direzioni dalla centrale) è stata designata come zona di eclusione ed è e sarà per sempre contaminata, o almeno per i prossimi 24mila anni. Il costo delle vite umane è ancora sconosciuto e difficile da quantificare. I dati ufficiali sono fermi al 1987 e parlano di sole 31 vittime. Ma le stime delle Nazioni Unite parlano degli effetti a lungo termine: un significativo aumento fino al 90 per cento dell’insorgenza di tumori (soprattutto alla tiroide in età precoce) e malformazioni congenite, e una stima di morti a seguito del disastro di circa 4mila persone (secondo i dati del 2005). Ma altre associazioni, inclusa Greenpeace, parlano di cifre fino a 93mila.
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Chernobyl ieri e oggi
Ad oggi rimane un territorio prevalentemente disabitato, lasciato alle sue città fantasma. Si tratta di un’area dapprima rurale e ricca di foreste, poi alcune delle quali disboscate, terreni ribaltati e risotterrati, animali – domestici e non – abbattuti, per evitare la propagazione delle radiazioni. Con la quasi completa eliminazione dell’impatto umano, però, la natura ha fatto ritorno: si è infatti riscontrato un ritorno e un aumento di alcune popolazioni di animali nativi, dalle volpi, alle alci, ai cinghiali.
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Prima dell’esplosione nucleare, i quattro reattori della centrale producevano circa il 10 per cento dell’elettricità ucraina. Per questo, dopo l’incidente non è stato possibile nemmeno spegnere la centrale: l’ultimo reattore è stato spento solo nel 2000. La struttura di contenimento, il cosiddetto sarcofago, sul reattore numero 4, posizionata sopra il nocciolo per evitare qualsiasi dispersione radioattiva, è stata completata nel 2016, un’opera costata due miliardi di dollari che si stima dovrebbe durare un secolo. Vicino ai vecchi reattori, Kiev ha deciso di dar vita a una nuova centrale elettrica, questa volta da fonti rinnovabili: nel 2018 è infatti entrata in funzione la prima centrale solare nella zona di esclusione di Chernobyl che fornisce elettricità a migliaia di famiglie.
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La città diventerà un’attrazione turistica
Dalla sua messa in onda, inoltre, le aree protagoniste della serie all’interno della zona d’esclusione sono diventate meta turistica per un numero crescente di persone, generando un’ondata di critiche. Infatti la serie è già diventata la serie europea di Sky più vista di sempre, con 1 milione 224mila spettatori nel corso delle cinque puntate. Tuttavia, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, ha affermato che questo potrebbe essere il momento per ribaltare la nomea della città, e costruire una storia più positiva intorno ad essa. “Dobbiamo dare una nuova vita a questo territorio ucraino”, ha affermato infatti Zelensky. “Fino ad ora, Chernobyl rappresentava una parte negativa del volto del paese. È ora di cambiarlo”. Il presidente ha infatti firmato un decreto il 10 luglio per far sì che Chernobyl possa diventare ufficialmente un’attrazione turistica.
Il costo delle bugie, cosa ci lascia la serie Chernobyl
La serie racconta di un disastro storico, si spera unico, irripetibile, che ha portato il mondo intero a rivalutare e riconsiderare le conseguenze dell’impatto umano sulla nostra specie e sul mondo, omaggiando le storie di chi, per rimediare agli errori umani, ha dato la propria conoscenza, la propria forza sacrificando la propria vita. Ma c’è di più.
Al di là della ricostruzione più o meno pedissequa degli eventi – Chernobyl non è un documentario, quindi la narrazione è romanzata in alcuni punti –, quello che rimane dopo aver visto la serie è l’inquietante meccanismo che ha iniziato, alimentato e fatto esplodere la tragedia. Un meccanismo fatto di vari livelli dove ogni singolo ingranaggio che porta al punto di non ritorno, anche il più piccolo e apparentemente meno determinante, è spiazzante per quanto semplice e ben riconoscibile, e perfettamente paragonabile ad alcune delle dinamiche a cui spesso assistiamo oggi. Un meccanismo predominato da giochi di potere, negligenza, menzogne, alimentate dal silenzio che crea una bolla di “cospirazione passiva”. È una serie che disturba perché, insieme a ricordare le vite di chi si è sacrificato, chi ha sofferto e chi ancora ne paga il prezzo, è una serie estremamente attuale.
Quando la verità è scomoda, continuiamo a mentire finché non riusciamo a ricordare persino che esiste. Ma la verità è ancora lì. Ogni bugia che pronunciamo, è un debito verso la verità. Prima o poi, quel debito viene pagato. È così che esplode il nocciolo di un reattore RBMK.Valerij Legasov, scienziato
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