Negli anni ’30, quando la rappresentanza politica delle minoranze negli Stati Uniti era praticamente inesistente, l’orgoglioso nativo americano Charles Curtis divenne vicepresidente.
Chi era Robert Kennedy, il fratello di Jfk assassinato 50 anni fa
Robert Kennedy era il candidato in pectore alle elezioni presidenziali del 1968. Fu ucciso a Los Angeles. Ecco cosa ci ha lasciato in eredità.
È il 5 giugno 1968 e Robert Kennedy ha appena tenuto un discorso all’hotel Ambassador di Los Angeles. “Bobby” si sta lanciando nella corsa per raccogliere l’eredità di suo fratello John Fitzgerald, 35esimo presidente degli Stati Uniti, ucciso nel 1963. Senatore dello stato di New York e ex procuratore generale (l’equivalente del nostro ministro della Giustizia), Bob è da qualche mese impegnato nella battaglia per le primarie democratiche.
L’omicidio in piena campagna per le primarie democratiche
Quella sera, a Los Angeles, festeggia la vittoria in California, che potrebbe lanciarlo verso la Casa Bianca. Lyndon Johnson, ex vice-presidente di John Fitzgerald – del quale ha preso il posto dopo l’omicidio – ha annunciato infatti che non si presenterà per un secondo mandato. L’atmosfera è di soddisfazione e di festa. Nonostante la fatica di tutti, di Robert Kennedy e del suo staff.
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Bob si aggiusta il vestito e si dirige verso la sala nella quale è previsto un saluto ai suoi sostenitori e un messaggio alla stampa. Parla qualche minuto, ringraziando tutti coloro che lo sostengono nella campagna. Saluta, sorride, stringe mani. Quindi la sua assistente e le guardie del corpo lo invitano a passare per le cucine per lasciare l’hotel. È poco più di mezzanotte. È in questo momento che un ragazzo di 24 anni, Sirhan Bishara Sirhan, di origini giordane, avrebbe impugnato un’arma e avrebbe sparato contro il candidato democratico.
“Gli altri, gli altri come stanno?”, chiese Bob prima di perdere conoscenza. Due fotografi della rivista Life e del Los Angeles Times riescono a scattare alcune immagini. Robert Kennedy è trasportato d’urgenza in un ospedale, subisce un’operazione di tre ore ma resta in uno stato critico per un giorno intero. All’alba del 6 giugno 1968, all’età di 42 anni, il suo cuore smette di battere. Due mesi dopo quello di un’altra icona americana, Martin Luther King, e cinque anni dopo quello di suo fratello Jfk.
Le teorie “alternative” sulla morte di Robert Kennedy
Sulle reali circostanze della sua morte si sono accavallate nel tempo numerose ipotesi “alternative”. Così come sulle reali motivazioni che avrebbero spinto Sirhan al tragico gesto, mai chiarite. Il fatto che numerosi reperti e fotografie siano stati distrutti ha incrementato i sospetti e le teorie complottiste secondo le quali l’assassino potrebbe non essere stato il giovane giordano.
In particolare, nel 2008 è stata analizzata con strumentazioni moderne da un esperto forense, Philip Van Praag, una registrazione audio raccolta da un reporter polacco presente al momento dell’assassinio. La qualità non è eccezionale, ma è possibile distinguere 13 colpi di arma da fuoco esplosi nel giro di pochi secondi. Più degli otto che poteva contenere la pistola di Sirhan, una Iver Johnson Cadet 55. “Non c’è dubbio secondo noi che non sia stato Sirhan ad uccidere Bob Kennedy”, ha affermato Robert Joling, co-autore con Van Praag di un libro intitolato “An open and shut case”.
L’impegno per i diritti dei neri, dei lavoratori messicani e degli indiani d’America
Un alone di mistero che ha contribuito a fare di “Bobby” un mito. Settimo di altrettanti fratelli, e terzo figlio maschio, nacque a Brookline, vicino Boston, il 20 novembre 1925. La sua è una famiglia potente e rispettata della borghesia cattolica di origini irlandesi. Il padre Joseph Patrick Kennedy è un uomo austero e controverso, sospettato di essersi arricchito durante la crisi del 1929 e di essere stato anche “affascinato” dal nascente nazismo in Germania.
Appassionato di diritto, Robert frequenta la prestigiosa università di Harvard. Viene nominato ministro della Giustizia nel corso della presidenza di Jfk. Ma il suo ruolo è ben più ampio: difende pubblicamente la causa di James Meredith, primo studente nero ad entrare all’università del Mississippi nel 1962. Farà quindi lo stesso con i Chicanos, i lavoratori messicani, e sarà il primo uomo di governo ad interessarsi alla causa degli indiani d’America.
Il ruolo nella Crisi dei missili con Cuba e Urss
Sul piano internazionale, consiglierà il fratello sulla posizione da assumere in merito alla costruzione del muro di Berlino, nel 1961. Quindi, dopo il fallimento dello sbarco americano alla Baia dei Porci, a Cuba, rifiuta il posto di direttore della Cia. E spinge il fratello a trovare una soluzione pacifica con Fidel Castro e l’Unione sovietica nella Crisi dei missili.
Amante della letteratura – i suoi scrittori preferiti erano Albert Camus e Romain Gary – era solito citare i grandi classici. Parafrasò ad esempio il drammaturgo inglese George Bernard Shaw: “Ci sono quelli che guardano il mondo così com’è e si chiedono: ‘Perché?’. Io guardo il mondo immaginando come potrebbe essere e mi chiedo: ‘Perché no?’”. Nel 1966, nel corso di una visita in Sudafrica, non esita a puntare il dito contro il regime dell’apartheid.
Il discorso alla Kansas University: la sua eredità morale e politica
Celebre il discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University, che in qualche modo riassume lo sguardo critico sul mondo di Robert Kennedy. Di fronte alla platea di studenti, si scagliò contro il Prodotto interno lordo come indicatore della “salute” economica di un paese: “Il nostro Pil ha superato gli 800 miliardi di dollari. Ma quel Pil comprende l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Comprende serrature speciali per le nostre porte e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende la distruzione delle sequoie e la scomparsa delle nostre bellezze naturali a causa dell’espansione urbana incontrollata. Comprende il napalm e le testate nucleari e le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Comprende, e i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere prodotti violenti ai nostri bambini».
Al contrario, il Pil “non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, della qualità della loro educazione. Non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione. Misura tutto, in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta”.
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