La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Da gennaio 2020 l’isola indonesiana sarà chiusa ai turisti per un periodo limitato di tempo, per proteggere dai trafficanti i già minacciati draghi di Komodo e permettere al loro habitat di riprendersi.
Per molti conosciuta per la sua famosa spiaggia rosa, l’isola di Komodo, in Indonesia, è in realtà preziosa per essere la casa degli omonimi draghi. E proprio per proteggere i suoi abitanti originari, i draghi di Komodo, l’isola ha deciso di chiudere gli accessi ai turisti per un periodo limitato di tempo, a partire dal 2020.
La decisione è stata comunicata il 29 marzo dopo un incontro tra l’amministrazione della provincia di East Nusa Tenggara e il ministro dell’ambiente indonesiano: “L’isola di Komodo sarà chiusa temporaneamente da gennaio 2020”, ha detto il portavoce dell’amministrazione. La chiusura è arrivata come unica soluzione dopo che la polizia della provincia di Giava orientale ha arrestato cinque persone accusate di aver contrabbandato decine di draghi di Komodo e altri animali protetti. Secondo la polizia, più di 40 draghi sono stati venduti tramite Facebook, ognuno per 500 milioni di rupie, circa 30mila euro.
Il drago di Komodo (Varanus komodoensis), conosciuto anche come varano di Komodo, è la più grande specie di lucertola vivente: può infatti raggiungere i tre metri di lunghezza e gli 80 chili di peso. Questo iconico rettile, che con i suoi artigli, la lingua biforcuta e le squame ci fa pensare un po’ ai dinosauri, popola da sempre le isole indonesiane di Komodo, Rinca e Flores, ma sempre meno esemplari riescono a sopravvivere a causa della distruzione degli habitat legata alle attività umane. Si stima infatti che in natura ci siano solo cinquemila varani di Komodo, per questo classificati come specie a rischio e protetti dalla Lista rossa delle specie più minacciate del mondo stilata dall’Iucn, l’Unione per la conservazione della natura.
Con il principale obiettivo di conservare queste creature e il loro habitat, nel 1980 è stato istituito il Parco nazionale di Komodo, dichiarato poi nel 1986 Patrimonio dell’umanità e Riserva della biosfera dall’Unesco. Da allora il parco, che include le isole di Komodo, Rinca, Padar e altre isole minori, protegge l’incredibile biodiversità terrestre e marina della zona. Ad esempio, il parco è casa di più di mille specie di pesci, 260 specie di coralli, 14 specie di balene, oltre a squali, mante, dugonghi e il cervo asiatico chiamato sambar di Giava – di cui si cibano i varani.
Un altro motivo della chiusura dell’isola è infatti quello di dare il tempo alle autorità di piantare vegetazione nativa per far aumentare la popolazione di cervi e assicurare così il cibo ai varani. I draghi di Komodo sono infatti noti per le loro doti temibili di caccia. Per via della loro grandezza non hanno rivali in natura e dominano l’ecosistema in cui vivono. Ciò che rende famosi questi cacciatori è il loro morso, che rilascia un mix letale di veleno e batteri (la loro saliva contiene fino a 50 ceppi) che non lascia scampo alle prede. C’è forse anche un po’ di sadismo nelle loro tecniche di caccia. Dopo il morso, infatti, i batteri e il veleno ci mettono fino a due giorni a uccidere la preda – che sia un cervo, un cinghiale o un bufalo –, tempo che passano aspettando e seguendo pazientemente la preda finché non muore, per poi nutrirsi.
Questa loro “dote” letale è stata scoperta solo nel 2009 dagli scienziati e non c’è da stupirsi poiché questi draghi sono stati conosciuti dagli europei solo agli inizi del 1900. Si sta scoprendo ancora molto su queste uniche creature, e su come fare per proteggerle al meglio. L’isola è infatti diventata una tappa fissa per i viaggiatori che si avventurano in Indonesia. La sfida, ora, è dunque quella di riuscire a limitare, o meglio azzerare, l’impatto umano sulla biodiversità dell’isola e dell’intera zona, favorendo un turismo più sostenibile, meno invasivo, che supporti le comunità locali e gli sforzi di conservazione della natura.
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