
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
L’impatto della plastica sulla fauna e sugli ecosistemi marini è enorme e minaccia la sopravvivenza di oltre 800 specie animali.
Ovunque posiamo lo sguardo, a casa, per strada o al lavoro, non possiamo non notare l’onnipresenza della plastica, al punto che ci sembra impossibile immaginare un mondo senza questo eclettico materiale. La sua nascita è però molto recente, la produzione di plastica su larga scala risale infatti solo agli anni Cinquanta, da allora, secondo uno studio, sono stati prodotti circa nove miliardi di tonnellate di materie plastiche vergini, la maggior parte delle quali è stato accumulato in discariche e disperso negli ambienti naturali. In meno di settanta anni la plastica è diventata una devastante una bomba ecologica che minaccia, in particolare, gli ecosistemi marini, già gravati dal sempre più insostenibile impatto della pesca industriale.
Una ricerca pubblicata nel 2015, condotta da un team di ricercatori australiani e britannici, ha rilevato che fino al 90 per cento degli uccelli marini di tutto il mondo ha residui di plastica nelle viscere, ingeriti perché confusi per cibo. Stimando inoltre che, se il consumo di plastica continuasse al ritmo attuale, entro il 2050 il 99 per cento degli uccelli avrà plastica al suo interno. Il problema, naturalmente, non riguarda solo l’avifauna, ma, tra gli altri, anche i cetacei. Lo scorso giugno, ad esempio, in Thailandia è stato rinvenuto un globicefalo in fin di vita che aveva ingerito oltre ottanta buste di plastica per un peso complessivo di circa otto chili.
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Anche le tartarughe marine sono in pericolo, questi antichi rettili scambiano per meduse i rifiuti di plastica e li inghiottono, andando incontro alla morte. Un video di grande impatto pubblicato nel 2015 documentava la rimozione di una cannuccia di plastica dalla narice di una tartaruga trovata in Costa Rica. “La cannuccia è stata probabilmente mangiata dalla tartaruga e quando ha cercato di rigurgitarla, non è uscita dalla bocca ma dal suo naso”, ha spiegato Nathan Robinson dell’organizzazione per la salvaguardia delle tartarughe marine The Leatherback trust. E questa non è che la punta dell’iceberg, se pensiamo che, solo negli Stati Uniti, ogni giorno vengono gettate in mare circa 175 milioni di cannucce di plastica, secondo le stime di Technomics.
Lo studio condotto dai ricercatori dell’Università della California Santa Barbara, dell’Università della Georgia e della Sea education association che ha calcolato l’effettiva quantità di plastica prodotta fino ad oggi, ha rivelato che metà della plastica oggi esistente è stata prodotta negli ultimi tredici anni, la maggior parte della quale è stata usata una sola volta, per poi essere gettata. Una grande quantità di questa plastica finisce nei fiumi e da lì termina la sua corsa negli oceani, nei quali si stima si riversino otto milioni di tonnellate di plastica ogni anno. Alcuni rifiuti possono impiegare decenni a decomporsi, mentre altri si sbriciolano in minuscoli frammenti, noti come microplastiche.
Secondo un rapporto pubblicato nel 2016 dalle Nazioni Unite, i rifiuti marini, composti in prevalenza da plastica, minacciano la sopravvivenza di oltre 800 specie animali che muoiono ingerendo o restando intrappolate nei rifiuti. I rifiuti più comuni, in base al rapporto, sono: involucri per alimenti, tappi di bottiglia, cannucce, sacchetti per la spesa, bottiglie e mozziconi di sigarette. Cinque di queste sei tipologie di detriti sono di plastica. Il problema non affligge solo grandi animali come cetacei e tartarughe, ma riguarda anche altri organismi come plancton, cozze, ostriche e persino coralli, infettando l’intera rete trofica marina.
Trattandosi di un fenomeno così recente, non sono ancora chiare le effettive conseguenze che avrà la plastica sugli animali marini, anche se le prospettive, chiaramente, non sono ottimiste. In particolare gli scienziati stanno cercando di comprendere come la plastica, che è anche in grado di assorbire altre tossine presenti nell’acqua, come inquinanti organici persistenti e pesticidi, influirà sui vari organismi. Una nuova ricerca condotta dal Loggerhead Marinelife Center e dall’università della Georgia, ad esempio, ipotizza che l’ingestione di plastica rappresenti un rischio soprattutto per le giovani tartarughe marine, impedendone lo sviluppo e mettendo così a repentaglio intere popolazioni. “Se il livello di mortalità che abbiamo osservato nelle tartarughe marine si verifica anche per altri organismi, come plancton, pesci e crostacei, allora assisteremo a un’interruzione completa nel nostro ciclo di vita oceanica”, ha spiegato Branson W. Ritchie, co-autore dello studio. La soluzione per impedire che gli ecosistemi marini, che un tempo dovevano assomigliare al Serengeti per l’abbondanza di vita, si trasformino in sterili deserti sottomarini, è semplice, interrompere la produzione di plastica, in particolare di plastica monouso.
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