Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Cooperazione, le ong rischiano di pagare caro i sospetti su chi aiuta i migranti
Il bilancio della cooperazione italiana nel 2016 è stato positivo, ma si iniziano a sentire i contraccolpi delle accuse alle ong che salvano i migranti via mare da morte certa. Il caso di Save the Children.
Bilanci floridi, un numero sempre più grande di progetti avviati in un numero sempre maggiore di paesi, quantità di personale che continua a crescere di anno in anno così come il numero di volontari: tutto lascerebbe immaginare una crescita inarrestabile per il mondo della cooperazione italiana, che anche nel 2016 ha migliorato i propri record come era successo nei due anni precedenti.
Se la crescita fin qui è indubitabile, che sia davvero inarrestabile è tutto da dimostrare: anzi, i dati dell’anno prossimo saranno quasi sicuramente in controtendenza. Perché? Probabilmente a causa del dibattito politico e delle inchieste sui salvataggi dei migranti nel mar Mediterraneo. Tanto che Daniela Fatarella, vicedirettrice generale di Save the Children ha affermato: “Ne risentiremo nella raccolta fondi, ci sono già contraccolpi”.
Un settore in crescita, finora
Da tre anni il progetto Open-Cooperazione raccoglie e aggrega i dati annuali forniti da tutte le organizzazioni non governative italiane operanti nella cooperazione, e il trend parla chiaro. La cooperazione nel suo complesso nel 2016 ha mosso oltre 667 milioni di euro, quasi 100 milioni in più rispetto al 2014. Una cifra che, aldilà dei freddi bilanci, si ripercuote positivamente sul lavoro svolto, visto che il numero di lavoratori è aumentato di conseguenza: quelli impiegati nell’amministrazione in Italia sono passati da circa 1.300 a circa 1.600; quelli impiegate all’estero, sul campo, da 10mila a oltre 15mila, più di un terzo in più.
Un lavoro che dispiega i propri sforzi praticamente in tutti paesi in via di sviluppo o emergenti, dal Brasile al Mozambico, dal Kenya alla Palestina, dall’Etiopia all’Afghanistan, dove solo pochi giorni fa la sede di Save the Children è stata peraltro teatro di un attentato in cui hanno perso la vita quattro operatori dell’organizzazione: nel 2016 sono stati 2.900 i progetti attivi, l’82 per cento dei quali portati avanti direttamente e il restante 18 per cento tramite partner locali. Salute, educazione, capacity building sono tra i settori in cui più si concentrano gli aiuti, ma molti progetti riguardano anche sviluppo rurale, sicurezza alimentare, adozioni a distanza.
In occasione di #conferenzacoopera presentiamo gli #opendata 2016 delle #ONG e i #Trend su tre anni. Scopri come crescono le risorse umane della #Cooperazione https://t.co/WAp5KcolTW pic.twitter.com/UxLYo2ixmg
— Open-Cooperazione.it (@OPEN_ONG) 24 gennaio 2018
La flessione delle donazioni private alle ong
Tutto bene dunque? Quasi. Perché si parla comunque di organizzazioni che, per quanto in alcuni casi risultano essere molto grandi e ben strutturate, dipendono da fondi che arrivano sia dal settore pubblico che privato. E se i primi sono più o meno assicurati, quelle che preoccupano sono le donazioni dei cittadini, dirette o tramite 5×1000 che nel 2016 sono scese dal 40 al 35 per cento del totale di quei 667 milioni. Al netto della polemica sul ruolo delle navi delle ong nel Mediterraneo (accusate da una buona fetta della politica italiana – e non solo – di favorire l’immigrazione, lucrare sui migranti e stringere accordi con i trafficanti di esseri umani), sfociata anche in una inchiesta giudiziaria.
Le #ONG italiane raggiungono 133 paesi del mondo?? Scopri chi sono e cosa fanno https://t.co/KbxaMhNo7O #accountability #trasparenza #opendata 2016 Visita il nostro stand a #conferenzacoopera 24-25 gennaio Roma pic.twitter.com/eevbCHI0t4 — Open-Cooperazione.it (@OPEN_ONG) 23 gennaio 2018
È un problema di credibilità? La risposta di Save the Children
Una vicenda che rischia di minare fortemente la credibilità delle ong (proprio in un momento in cui in realtà con la riforma del terzo settore sono state introdotte regole molto stringenti sulla trasparenza, peraltro rispettate al 100 per cento nella grande maggioranza dei casi, come certificato proprio da Open-Cooperazione) e di conseguenza anche le risorse e gli interventi già programmati per il futuro prossimo.
Save the Children è una delle ong che, operando nel Mediterraneo con la nave Vox Hestia, è stata maggiormente penalizzata e secondo la vicedirettrice Daniela Fatarella “gli attacchi mediatici sono stati molto forti e dai primi rilevamenti hanno colpito la raccolta fondi”. Meno donazioni una tantum, sottoscrizioni in calo, qualche centinaio di disdette su una base di quattrocentomila donatori. “Abbiamo ricevuto tante chiamate da parte dei donatori per avere spiegazioni, il direttore Valerio Neri ha parlato personalmente al telefono con molte persone e c’è stato un generale apprezzamento per questa disponibilità”, spiega Fatarella. Ma nonostante questo “se il numero delle disdette può considerarsi in proporzione fisiologico, ne abbiamo risentito sul numero dei nuovi donatori con un calo del 4,5 per cento rispetto alle stime che avevamo fatto lo scorso anno”.
Il problema, conclude Fatarella, è che è stata fatta di tutta l’erba un fascio: “C’è da rimarcare che, aldilà di come ogni singola ong possa comportarsi, è stato fatto un danno all’intero settore perché è stata danneggiata la fiducia dei cittadini. Voglio raccomandare i mezzi d’informazione e i politici a non demonizzare l’intero settore, specie se ci sono indagini ancora in corso perché spesso il pubblico generico le prende come sentenze”. Anche perché alla fine “noi lavoriamo solo per dei beneficiari”, per persone che chiedono semplicemente aiuto.
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