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Clima e diritti umani, la Cop 25 rischia di rompere un binomio indissolubile

Il riferimento alla protezione dei diritti umani nella lotta contro la crisi climatica è stato cancellato da un testo provvisorio della Cop 25 di Madrid.

La protezione dei diritti umani potrebbe non essere presente nel nuovo meccanismo di scambio di quote di emissioni di CO2, previsto dall’Accordo di Parigi. Dal testo provvisorio diffuso alla Cop 25 di Madrid è stata infatti cancellata la frase che richiamava la necessità di “rispettare, promuovere e tenere conto dei rispettivi obblighi in materia di diritti umani”.

“Stanno utilizzando i diritti umani come materia di scambio”

“In queste ultime ore – spiega Rachele Rizzo, policy advisor dell’Italian climate network – sono stati fatti numerosi passi indietro sul tema. Ed è qualcosa di sorprendente, dal momento che nell’ambito dei negoziati pre-Cop svolti negli ultimi mesi la sensazione era che determinati punti fossero ormai assodati. È il caso del Gender action plan, che prevede di includere le problematiche di genere nell’implementazione dell’Accordo di Parigi. Inoltre, alcune parti sono state portate nei preamboli, il che può rappresentare un preludio alla loro cancellazione all’ultimo momento. La realtà è che i diritti umani stanno diventando materia di scambio, il che è inaccettabile perché la salvaguardia del clima non può prescindere dal loro rispetto”.

Clima diritti umani
Alla Cop 25 di Madrid il tema dei diritti umani è al centro dei negoziati tra i governi © Saidu Bah/Afp/Getty Images

Secondo l’attivista, perciò, “dimenticare i diritti umani è un rischio che non si può correre. Soprattutto visto che nel periodo del Protocollo di Kyoto abbiamo avuto dei progetti che sono stati causa di violazioni importanti. Tanto che si è cercato di riflettere sul come implementare alcune clausole di salvaguardia. Non possiamo rischiare di tornare addirittura indietro rispetto a quanto fatto finora su fame, povertà, educazione, uguaglianza di genere”. Invece, secondo le informazioni che trapelano dalla Cop 25, in particolare India e Arabia Saudita avrebbero spinto proprio in questa direzione, sostenendo il carattere “nazionale” e non “universale”dei diritti umani. Una posizione contrastata, benché invano, da Unione europea, Canada, Messico, Svizzera, Nuova Zelanda, Australia, Tuvalu e Costa Rica.

La lotta contro i cambiamenti climatici, dunque, non può prescindere dagli impatti sociali che avranno non soltanto essi stessi, ma anche quelle politiche, progetti e iniziative che saranno adottati per limitarli. “Cambiare il sistema, non il clima”, uno degli slogan più utilizzati dagli attivisti del movimento Fridays for future, è un processo che parte proprio da qui. Dalla necessità di sfruttare la battaglia climatica per imporre un nuovo paradigma sociale, economico e ambientale. Superando anche le ritrosie di alcune nazioni, oggi governate da leader apertamente climatoscettici.

La transizione ecologica è l’occasione per imporre un nuovo paradigma economico e sociale

“Il negoziato è fatto da 194 nazioni – osserva il professor Stefano Caserini, anche lui neo policy advisor dell’Italian climate network – per cui le posizioni di singoli paesi come Stati Uniti o Brasile sono importanti ma non determinanti. Oggi si discute di obiettivi ambiziosi, che anche solo cinque anni fa erano visti come qualcosa di impossibile. Arrivare alle emissioni zero nel 2050, ad esempio, era considerato qualcosa di troppo ambizioso. Oggi ne parlano tutti invece. Inoltre, le energie rinnovabili sono sempre più competitive, il costo delle batterie è calato enormemente: oggi si parla della decarbonizzazione rapida come di qualcosa di fattibile. Seguo i negoziati dal 2003 ed è evidente che oggi la necessità di puntare a limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi alla fine del secolo rappresenta qualcosa di condiviso. Tempo fa non era proponibile”.

Inoltre, per superare le difficoltà poste dalla presenza di alcuni governi restii al cambiamento un grande aiuto può arrivare dall’azione dal basso: “Se guardiamo al padiglione americano – prosegue Caserini – qui a Madrid, lo troviamo gremito di rappresentanti di stati, città e aziende impegnati nella battaglia climatica. E se Donald Trump non dovesse essere rieletto, potrebbe arrivare una grande spinta a livello globale. E anche sulle promesse di riduzione delle emissioni il processo è sempre più “bottom-up”: contano gli impegni dei governi, ma il processo parte anche dalle imprese, dalla finanza, dalle popolazioni. Inoltre l’Europa vuole impegnarsi a centrare un calo delle emissioni del 55 per cento entro il 2030. Il fatto che Bruxelles ci creda fa sì che il vero nodo sarà il Consiglio europeo: occorrerà verificare se ci saranno o meno ostacoli da parte di paesi come Polonia o Ungheria”.

Rendere la transizione ecologica uno strumento utile anche per proteggere i diritti è un processo che deve però coinvolgere tutti. Anche il mondo della finanza: “È preoccupante il fatto che i grandi attori, a partire dalle banche, continuino a concedere denaro anche a progetti deleteri. Come nel caso della costruzione di nuove centrali a carbone. Sono scelte dannose per il sistema finanziario stesso, perché alimentano una bolla che, se esploderà, si trascinerà dietro tutti. In questo senso la richiesta deve essere rivolta ai governi: si sa che sono spesso restii a regolare i sistemi finanziari. Ma qui in gioco c’è la tenuta stessa del sistema”.

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