La regista Sarah Friedland ha usato il suo discorso di ringraziamento alla Mostra del cinema di Venezia per esprimere il suo sostegno alla popolazione palestinese. Per fortuna, non è stata l’unica.
Cristina Comencini, cultura e valori devono “tornare” al centro
Tornare non è solo il titolo del nuovo film di Cristina Comencini, uscito on demand anziché al cinema. Ma è anche il desiderio di un settore messo in ginocchio dal lockdown. Ne abbiamo parlato con la regista.
Doveva uscire al cinema il 12 marzo scorso, ma, come moltissimi altri film, anche Tornare di Cristina Comencini è stato bloccato dal lockdown. A dargli “una seconda chance” è stato lo streaming, che in questo periodo di emergenza sta offrendo alle produzioni cinematografiche una strada alternativa.
Di fronte a un futuro ancora molto incerto, il cinema italiano tenta come può di restare a galla. L’emergenza sanitaria, infatti, ha messo pesantemente in ginocchio tutto il settore dello spettacolo, lasciando senza lavoro oltre seimila addetti diretti solo nell’industria cinematografica. Tra le iniziative avviate per sbloccare questa impasse c’è il progetto nazionale Moviement Village, lanciato da tutta la filiera cinematografica italiana, con lo scopo di riattivare per l’estate il maggior numero possibile di sale, principalmente all’aperto. Ovviamente nel rispetto dei protocolli dettati dall’epidemia.
A richiamare l’attenzione sulla crisi di questo settore è stato anche un flash mob organizzato dall’Anec (associazione nazionale esercenti cinema) lo scorso 8 maggio con hashtag #riaccendilcinema. Per una sera molte delle 1600 sale cinematografiche italiane hanno riacceso le proprie insegne e i propri schermi, per lanciare un messaggio simbolico e sottolineare “l’urgenza di un progetto strategico per il rilancio del settore”. L’evento si è svolto significativamente in concomitanza con la cerimonia della 65esima edizione dei David di Donatello, condotta da un solitario Carlo Conti in collegamento web con i candidati. Un’occasione, anche questa, per portare l’attenzione sulla crisi che ha colpito tutti i lavoratori dello spettacolo, che hanno potuto contare anche sulla vicinanza, espressa attraverso una lunga lettera, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Un thriller dell’inconscio in cui la memoria va ricostruita come un rebus
A unirsi a questo coro c’è anche Cristina Comencini, baluardo femminile in un settore prettamente maschile, da sempre impegnata anche per la difesa dei diritti civili e per la parità di genere.
Famosa per le sue storie famigliari e i suoi ritratti di donne, da Va dove ti porta il cuore, a Il più bel giorno della mia vita e La bestia nel cuore (con cui nel 2006 fu nominata ai premi Oscar), questa volta la regista (che è anche sceneggiatrice, autrice e drammaturga) firma il suo primo thriller dell’inconscio. Un film ambientato in una casa piena di mistero e in una Napoli “svuotata e quasi metafisica”, che riecheggia sensazioni e stati d’animo incredibilmente famigliari in questo periodo di reclusione domestica e distanziamento sociale. Magia del cinema. Che percepiamo anche nel titolo, Tornare, così evocativo di quel desiderio e auspicio collettivo, di cui la settima arte sembra qui farsi involontariamente portavoce.
Protagonista di questo film è Alice (Giovanna Mezzogiorno), una donna che, in occasione della morte del padre e dopo una lunga assenza torna nella grande villa di famiglia. Qui, in una location mozzafiato, sulle scogliere a picco sul mare di Posillipo, il passato tornerà a trovare la donna, attraverso il “materializzarsi” dei ricordi e con la presenza di un uomo misterioso e affascinante (Vincenzo Amato).
Come in un rebus, Alice dovrà ricostruire i pezzi della sua vita, in un viaggio onirico, che la condurrà negli abissi della sua memoria e che la metterà letteralmente faccia a faccia con se stessa bambina e adolescente (interpretate da Clelia Rossi Marcelli e Beatrice Grannò). Ne scaturirà un fitto e affascinante dialogo, insieme doloroso e salvifico.
Intervista a Cristina Comencini
Nelle note di regia lei ha scritto che Tornare è il suo “film più libero”. Cosa intendeva dire?
Io ho sempre fatto film più realistici e lineari, anche se al loro interno si trovava sempre qualche elemento al di fuori dalla realtà. In questo caso invece, trattandosi di un thriller dell’inconscio, che lega cose del profondo a elementi della realtà, si procede per successive associazioni. In questo senso ho avuto maggiore libertà nella costruzione della scrittura e della ripresa, perché siamo in un campo in cui non si ha l’obbligo di essere troppo razionali e legati alla realtà.
Questo film ha segnato anche la sua reunion con Giovanna Mezzogiorno, dopo il grande successo de La bestia nel cuore del 2005. Com’è stato ritrovarsi dopo quindici anni?
Sì è vero, da allora non avevamo più lavorato insieme ma siamo sempre rimaste legate.
Ho pensato quasi subito a lei per il ruolo della protagonista. Giovanna è una delle attrici più credibili in un ruolo drammatico. È molto profonda e “a più strati”. Lascia intravedere molte cose di sé che non dice e da lì nasce l’emozione che ti comunica. È sempre come se stesse da un’altra parte, rispetto a ciò che dice.
Alla fine di Tornare c’è una dedica: “a C.B.”. Chi è?
Un’amica carissima che non c’è più e che ha vissuto una storia analoga a quella della protagonista. Anche lei ha conosciuto il trauma di una gioventù spezzata, che poi si paga per tutta la vita. Gliel’ho dedicata anche se lei, a differenza di Alice, purtroppo non ha potuto vivere fino in fondo il suo percorso salvifico.
In questo film tornano tanti temi cari alla sua filmografia. Per esempio quello della rimozione, presente proprio ne La bestia nel cuore, così come l’attenzione a storie di legami famigliari complessi e anche dolorosi.
Sì, il tema delle rimozioni c’era anche ne Il più bel giorno della mia vita, dal punto di vista della nonna rispetto all’omosessualità del figlio. Anche nella realtà è come se la famiglia avesse sempre dentro dei non detti molto grossi. Come se il legame così forte, complicato e originario formasse dei segreti. Le nostre case possono rivelarsi posti troppo chiusi, che da un lato ci proteggono dall’altro ci angosciano. E questo può portare alla rimozione, come spiega la psicanalisi.
A proposito di case che ci proteggono e ci angosciano. Qui la villa di famiglia è l’ambientazione centrale della storia e diventa lei stessa quasi un personaggio. Inoltre le strade di Napoli sono svuotate e spettrali. Di questi tempi non si può che avere l’impressione di una sorta di premonizione di quello che stiamo vivendo…
È vero. È una cosa che con il cinema e la letteratura capita spesso. Anche con La bestia nel cuore affrontammo temi che subito dopo diventarono di attualità (la pedofilia e le molestie famigliari ndr). È come se l’intuito dell’immaginazione, che mette insieme e collega dei fili invisibili, anticipasse la realtà. Penso anche al film di Nanni Moretti Habemus Papam, fatto prima delle dimissioni di Ratzinger…
Il film sarebbe dovuto uscire il 12 marzo al cinema, ma con il lockdown non è stato possibile. Come siete arrivati alla decisione di proporlo in streaming e come sta andando?
Una delle ragioni per cui abbiamo deciso di proporlo sulle piattaforme è proprio che Tornare racconta un grande viaggio in casa e in una città deserta e quindi – in un certo senso – rispecchiava le condizioni che stiamo effettivamente vivendo. Sappiamo che durante le prime serate il film è stato molto acquisito, più di quello che ci si aspettava. Significa che probabilmente c’era un grande desiderio da parte del pubblico, non solo per il mio film, ma in generale di storie nuove. D’altra parte, non potendo andare al cinema, in questi mesi abbiamo dato fondo a tutto quello che era disponibile on line…
Riguardo la scelta di proporre i film in streaming è in corso un dibattito. Secondo qualcuno si rischia di disaffezionare gli spettatori alla sala e di non avere proposte accattivanti al momento della riapertura delle sale. Cosa ne pensa?
Alla riapertura delle sale saranno molti – forse troppi – i film che dovranno trovare una programmazione, perché in questi mesi se ne sono accumulati tantissimi. Quindi lo streaming aiuterà a liberare posto. Poi a un certo punto ci sarà il problema di produrne di nuovi.
Il mondo dello spettacolo è stato duramente provato da questa emergenza. Sono migliaia i lavoratori e le maestranze che si sono ritrovati senza lavoro, spesso senza ammortizzatori sociali. Come si può uscire da questa situazione?
La cosa fondamentale è iniziare subito a pensare come ripartire. Bisognerebbe aprire dei tavoli con professionisti del settore e si dovrebbero stanziare investimenti per ripristinare le sale esistenti, adesso che sono ancora chiuse, e per aprirne di nuove, soprattutto al sud, dove ce ne sono poche. Purtroppo la cultura è lasciata un po’ per ultima, ma il governo dovrebbe occuparsene al più presto.
Che segni lascerà questo periodo così drammatico sul cinema dal punto di vista dei contenuti? Quali ispirazioni nasceranno secondo lei?
Io credo che il cinema, al contrario del giornalismo, non dovrebbe stare subito sull’attualità, ma rilanciare dei sentimenti che in questi mesi sono riaffiorati. Quindi la cosa interessante sarebbe costruire storie non sull’epidemia, ma che tengano conto di quello che abbiamo pensato, provato e vissuto in questo periodo. Per esempio il rapporto con un tempo frenetico che oggi non c’è più, o quello con la noia, con il vuoto, con chi ci sta accanto e con il grande sviluppo del virtuale in tanti aspetti delle nostre vite. Tutte queste cose possono rientrare, non tanto direttamente in un racconto, quanto nella nostra esperienza di esseri umani e, di conseguenza, arrivare nella scrittura.
Questo è un film quasi tutto al femminile (regia, sceneggiatura, fotografi, protagoniste). Un caso raro al cinema. Lei che da tanti anni si batte per i diritti civili, e per le donne in particolare, ha visto dei cambiamenti, magari dopo il movimento del Me too?
Malgrado tutto quello che si è fatto dico che le donne al cinema sono poche. Sia nei mestieri creativi che nelle storie che permettono alle attrici dei grandi ruoli. Dunque è una questione da tenere ancora sotto controllo, perché non è automatica. Automatico è il ritorno indietro, a un mondo in cui le donne non ci sono. È fondamentale spingere ancora, affinché le cose cambino.
Chiediamo anche a lei di inviarci la sua personale “cartolina dal futuro”. Qual è il suo messaggio di speranza da un mondo post coronavirus?
Io mi auguro che le esperienze che abbiamo fatto in questi mesi, che hanno rimesso al centro il nostro privato, le nostre relazioni, la salute, le fragilità, l’amore e la solitudine, siano assunte e messe al centro degli investimenti da parte degli Stati. Tutte queste cose, che di colpo sono diventate il centro della nostra vita, sono contemporaneamente la nostra forza e la nostra debolezza.E sono aspetti che vedono protagoniste noi donne, che da sempre facciamo due lavori, fuori e dentro casa. Per il futuro mi auguro una società in cui questi valori siano messi anche al centro dell’attività sociale e politica.
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