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La foresta Dvinsky è in pericolo. Per Greenpeace è colpa dell’industria della carta
La foresta di Dvinsky è una delle ultime foreste vergini in Europa. Oggi è sotto assedio, come tutta la grande foresta del nord, a cause delle industrie del legno e della carta.
Quando si parla di deforestazione si pensa spesso all’Amazzonia, o alle foreste tropicali del sud est asiatico. Ma c’è anche un altro polmone verde ad essere oggi in pericolo. È la grande foresta del nord che si estende dall’Alaska al Canada, passando per Scandinavia e Russia. Ed è proprio in quest’ultima regione che la foresta sta subendo le perdite maggiori.
Lo rende noto l’ultimo rapporto redatto da Greenpeace Eye on taiga, che mostra come le grandi industrie produttrici di carta e derivati siano collegate a grandi gruppi che stanno deforestando una delle ultime e più grandi foreste vergini d’Europa, nella taiga russa. Il rapporto stima che la velocità di degradazione sia 1,5 volte più veloce che in Amazzonia, ovvero in circa 13 anni il tasso di perdita è stato di 2,5 milioni di ettari l’anno.
“Questa foresta è di grande importanza: questo ecosistema rappresenta 1/3 di tutte le foreste sulla terra, secondo per importanza dopo quella tropicale”, spiega Martina Borghi, responsabile per la campagna foreste di Greenpeace Italia, raggiunta al telefono. “Si tratta di un ecosistema in grado di accumulare le maggiori quantità di carbonio nel pianeta, più di quelle tropicali, grazie anche al permafrost e alle torbiere”.
La grande foresta del nord tagliata per la carta
Della foresta vergine, scientificamente definita come Intact forest landscape (Ifl), fa parte anche l’antica foresta Dvinsky, che copre circa 835mila ettari all’interno della regione dell’Arcangelo. Un’enorme scrigno di biodiversità ma un territorio che fa gola alle industrie produttrici di polpa di cellulosa e legno. “La regione dell’Arcangelo è un caso emblematico ed è terra di aspri conflitti”, continua Borghi. “Da una parte c’è l’impegno del Governo che, secondo gli accordi presi, dovrebbe proteggere almeno il 60 per cento della foresta”. Dall’altro ci sono le grandi industrie che spingono per avere più concessioni. In circa 15 anni sono stati persi 300mila ettari di Ifl, ovvero di paesaggio forestale intatto. Lo stesso dove vivono gli ultimi esemplari di renna selvatica. Ma habitat di altre specie come il lemming, il ghiottone e la martora o i grandi predatori comeil grizzly, il lupo e la lince.
Le aziende coinvolte
L’associazione ambientalista fa i nomi dei gruppi che opererebbero al limite della trasparenza, in aree che dovrebbero essere protette. Come la Arkhangelsk pulp & paper mill (Appm), che commercia principalmente cellulosa e carta, una delle società che sta ostacolando la protezione ufficiale della Foresta Dvinsky. C’è poi la Kiev Cardboard and Paper Mill – con sede in Ucraina, ma controllata dall’austriaca Pulp Mill Holding GmbH – che vende i propri prodotti a famosi marchi come McDonald, PepsiCo, Nestlé, Unilever, Mondelez e Auchan. “Tutto questo accade perché la domanda di prodotti usa e getta è molto alta, in particolare in Europa e Usa”, spiega Borghi. “Prodotti come carta, fazzoletti, carta per packaging, legno e mobili a basso costo fanno lievitare la domanda. Per questo chiediamo alle grosse industrie del legno e della carta di rendere pubbliche le concessioni e dichiarare quale sia la provenienza delle loro materie prime”.
Certificazioni di filiera e diritti alle popolazioni locali
Ecco perché le certificazioni internazionali di filiera e di gestione sostenibile forestale – come Fsc e Pefc – possono essere un valido strumento per ridurre il taglio illegale. Purtroppo “nella regione di Arcangelo il disboscamento industriale su larga scala viene spesso mascherato coni pretesti della silvicoltura sostenibile e del taglio sanitario”, si legge nel sommario del rapporto. “Per questo motivo, le certificazioni forestali presenti su prodotti di cellulosa, carta, legno e derivati che provengono da quest’area non garantiscono il rispetto e la protezione delle foreste”.
Un esempio positivo è certamente l’accordo raggiunto lo scorso anno per quanto riguarda la protezione della foresta del Grande orso, nella Columbia Britannica. Sostenuto da Greenpeace, Forest Ethics, Sierra Club British Columbia e imprese forestali, ha sancito la protezione di tre milioni di ettari di foresta, un territorio grande approssimativamente quanto il Belgio, nonché habitat di lupi, grizzly, uriette marmorizzate, salmoni, rane e del rarissimo orso kermode. “L’accordo per la salvaguardia della Foresta del Grande Orso rappresenta un modello globale per la conservazione su larga scala delle foreste”, scrive l’associazione in un comunicato. “A protezione dei diritti delle popolazioni indigene e la lotta ai cambiamenti climatici”.
Le grandi foreste della regione boreale del pianeta sono e rimangono core habitat fondamentali per la protezione della biodiversità, per l’accumulo di carbonio e per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Ecco perché non possiamo permetterci di perderli e o di tagliare indiscriminatamente per un fazzoletto di carta.
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