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Io non faccio finta di niente. Il documentario sui veleni nel suolo di Brescia
5 aprile 2013, portico di palazzo Loggia a Brescia. Nicola Gallizioli, allora esponente della Lega Nord in consiglio comunale, è incalzato dai genitori della scuola elementare Grazia Deledda determinati a sapere giorno e ora in cui comincerà la bonifica del giardino dell’istituto. Lui gioca un ruolo “negazionista” sui danni alla salute causati dall’inquinante Pcb che l’azienda Caffaro ha
5 aprile 2013, portico di palazzo Loggia a Brescia. Nicola Gallizioli, allora esponente della Lega Nord in consiglio comunale, è incalzato dai genitori della scuola elementare Grazia Deledda determinati a sapere giorno e ora in cui comincerà la bonifica del giardino dell’istituto. Lui gioca un ruolo “negazionista” sui danni alla salute causati dall’inquinante Pcb che l’azienda Caffaro ha prodotto.
“Possiamo parlare di inquinamento di stato”
La Caffaro, quella che ha riversato nelle rogge Pcb, cromo, mercurio e altri veleni oggi non esiste più: è stata svuotata e scorporata. Esistono e resistono ancora i danni che ha provocato contaminando i terreni sottostanti non solo con il Pcb, ma anche con diossine, furani, mercurio, arsenico, tetracloruro di carbonio. Al momento della scoperta dell’inquinamento da Pcb è stata circoscritta un’area, divenuta poi il perimetro del Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro. Il trasporto dell’inquinante attraverso le rogge, i canali artificiali di irrigazione, che attraversano il sito e si spostano verso i territori a sud della città ha fatto sì che l’inquinamento si sia esteso anche in terreni non compresi nell’area del Sito di interesse nazionale.
“Possiamo dire che qui c’è stato un inquinamento di stato”, afferma la giornalista Rosy Battaglia, che proprio da quel giorno fa partire i 50 minuti della docu-inchiesta intitolata “Io non faccio finta di niente. Basta Veleni”.
Documentario che verrà presentato il 6 marzo a Roma, in occasione del primo Festival del giornalismo ambientale promosso dal ministero dell’Ambiente e dall’Enea assieme a Ispra e Fima, la Federazione italiana dei media ambientali. Questa inchiesta cerca di rispondere a domande come quella di Stefania: “Che cosa faresti se scoprissi che il giardino della scuola di tuo figlio è contaminato da sostanze cancerogene?”
#Ambiente: oltre 100 relatori e 50 testate al 1° #Festival del #giornalismo ambientale dal 6-8 marzo a Roma – https://t.co/deE6USgdVj @ENEAOfficial @SNPAmbiente @ISPRA_Press @FIMAit pic.twitter.com/2eY1UCfKYn
— Ministero Ambiente (@minambienteIT) February 20, 2020
Basta Veleni
Stefania è Stefania Baiguera, mamma, attivista e già premio Luisa Minazzi ambientalista dell’anno nel 2013, “si è battuta per la bonifica del parco della scuola Deledda e ha dato vita, insieme alle altre associazioni e comitati di Brescia e provincia, al movimento Basta Veleni”, spiega Rosy Battaglia. È una delle voci che guidano l’inchiesta sugli sversamenti illegali nel terreno bresciano.
Nei tre anni successivi alla fondazione, questo comitato è sceso in piazza due volte, nel 2016 e lo scorso 27 ottobre 2019, portando più di 15 mila persone a manifestare “per chiedere bonifiche, tutela della salute e dell’ambiente in questa terra ribattezzata la Terra dei Fuochi del nord”. Brescia e la sua provincia infatti sono tra le zone più inquinate d’Italia. Ma le domande dei cittadini bresciani e del documentario non si fermano a quella scuola. Continuano incessanti. E spesso non trovano risposta: cosa faresti se il campo dove hai allevato i tuoi animali è intriso di veleni? Se il tuo territorio fosse disseminato di discariche con rifiuti tossici e pericolosi?
Leggi anche: Quello dei rifiuti è il nuovo business della criminalità organizzata in Lombardia
Brescia, la Terra dei Fuochi del nord
“Io non faccio finta di niente” racconta, dal 2013, sei anni di lotte civiche bresciane, per sensibilizzare le istituzioni sulla necessità di bonificare. A partire dal parco della scuola elementare a Brescia, contaminata dai veleni della Caffaro. “Da quel fatto, Brescia ha scoperto che già dagli anni Settanta sversamenti tossici illegali avvenivano nei campi del territorio provinciale ma non solo: metà dei terreni è stata inquinata e le falde acquifere sono compromesse”.
Solo nel 2017, dopo 10 anni, i bambini della scuola sono potuti tornare a giocare sull’erba e non più sul cemento, grazie alle iniziative di pressione dei loro genitori. “Questo è solo uno dei casi – ricorda Battaglia -. Il territorio bresciano è di origine alluvionale, perciò favorevole all’attività estrattiva. Negli anni queste cave sono state riempite di rifiuti tossici che hanno inquinato il terreno e le falde”. La magistratura e le commissioni di inchiesta, anche parlamentari, pongono Brescia tra le città più colpite da reati ambientali e per questo che devono necessariamente essere sottoposte a intense bonifiche. “Questi sono solo alcuni dei motivi per cui Brescia è stata definita la Terra dei Fuochi del nord”, chiosa l’autrice.
Ecoreati di mafia e degli imprenditori: giustizia ambientale per Brescia
Nell’ultimo rapporto semestrale della Dia, la direzione distrettuale antimafia, emerge come non sia solo la criminalità organizzata a commettere ecoreati e ad arricchirsi con gli sversamenti illegali. “Questo aspetto emerge in parte anche dagli annidi lavoro ricostruiti della video-inchiesta – afferma Rosy Battaglia -. I produttori di rifiuti svolgono un ruolo fondamentale in questo stillicidio ambientale. Nel settore privato al centro dei traffici ci sono aziende che, come si legge nelle pagine del rapporto della Dia, per incrementare i profitti sversano in modo fraudolento i rifiuti”, continua la giornalista. Questo sistema danneggia il terreno e la salute della popolazione è il risultato di un tentativo di contenere i costi di smaltimento”.
Il tutto, prosegue Battaglia, “è stato definito dal procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, crimine d’impresa. Sullo sfondo del documentario ci sono le vicende di chi, non solo a livello locale ma anche a livello nazionale, tra movimenti civili, amministratori e medici si è mobilitato, per sollecitare le istituzioni centrali ai processi di bonifica in tutta Italia. “Brescia infatti non è sola, purtroppo”. È uno dei 58 siti di interesse nazionale e regionale sparsi in tutta la penisola, dove “le bonifiche, a parte Casale Monferrato dove sono terminate o in dirittura d’arrivo, a vanno a rilento o non sono mai iniziate”.
Dai veleni alla resilienza di una comunità
Taranto, Mantova, Milazzo, Valle del Sacco. L’elenco delle città e dei territori che hanno bisogno di bonifiche sarebbe troppo lungo da riportare per intero. Perché la verità amara è che, sì, l’Italia è un paese da bonificare e il costo di questi ritardi ricade tutt’ora sulla salute dei cittadini e dell’ambiente. Di fronte a questa situazione, che reazione, che mobilitazione c’è stata da parte della società civile? “Io non faccio finta di niente” riporta le testimonianze di chi non è rimasto a guardare, come a Brescia, dove per anni il benessere ha un prezzo molto elevato: l’inquinamento”. Negli ultimi anni ci sono state due grandi mobilitazioni civiche per dire basta veleni e per chiedere giustizia ambientale, bonifiche e tutela della salute.
La docu-inchiesta di Rosy Battaglia racconta una storia di resilienza, una battaglia per la giustizia ambientale, lunga sei anni, portata avanti da chi non ha fatto finta di niente in nome di un futuro migliore per le nuove generazioni. A testimoniare la volontà collettiva di riscatto e di bonifica di un territorio come quello di Brescia, l’opera è stata realizzata grazie a 174 produttori dal basso, cittadini e associazioni, tra cui il coordinamento Basta Veleni di Brescia, con il crowdfunding, oltre al contributo di Cittadini reattivi, dell’associazione Familiari e Vittime dell’amianto AFeVA di Casale Monferrato, con il Patrocinio e il contributo straordinario del comune di Casale Monferrato. Per dire basta ai veleni.
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