I cambiamenti climatici sono un rischio per milioni di persone. Ma le donne sono le più esposte alle conseguenze negative di questo fenomeno. Alcune semplici considerazioni di Italian Climate Network ci aiutano a percepirne la portata globale.
Ormai è un dato acquisito che i cambiamenti climatici siano un fattore di rischio per la vita e i diritti fondamentali di milioni di persone con modalità che riflettono le disuguaglianze sociali ed economiche all’interno delle loro società. Meno evidente è il fatto che siano le donne ad essere fra i gruppi più esposti alle conseguenze di questo fenomeno e alcune semplici considerazioni aiutano a percepirne la portata globale.
Le donne e il caso emblematico del lago Ciad
Basti dire che nei paesi in via di sviluppo le donne rappresentano non solo il 43 per cento della forza lavoro agricola, con punte fino al 70 per cento nei paesi dell’Africa subsahariana, ma anche le figure cui per ragioni culturali sono demandati altri ruoli strategici nelle dinamiche sociali. Le responsabilità che tradizionalmente sono riservate alle donne spaziano dalla preparazione del cibo all’educazione dei figli: sono le donne a occuparsi prevalentemente dell’agricoltura e dell’allevamento di sussistenza, coltivando piccoli appezzamenti di terreno vicini ai villaggi; sono sempre le donne a fruire delle risorse idriche di prossimità e a gestire la cascata di utilizzi dell’acqua in ambito domestico, dall’alimentazione all’igiene. A questo proposito valga l’esempio del lago Ciad, nell’Africa centro-settentrionale, che ha subito una drammatica riduzione di superficie costringendo le donne delle tribù nomadi dell’area a percorsi sempre più lunghi per l’approvvigionamento d’acqua.
Le donne sono più esposte alla povertà
Il discorso non riguarda solo l’acqua e l’agricoltura, ma si estende ai disastri naturali che con una frequenza verosimilmente maggiore stanno interessando varie parti del mondo. Le conseguenze di un’alluvione, per esempio, generano conseguenze socio-economiche, dalla scarsità alimentare alle emergenze sanitarie, cui le donne sono più esposte. In altre parole, le donne sono più esposte alla povertà e meno reattive di fronte alle sue conseguenze di quanto non lo siano gli uomini per via del carico dei figli e della minore considerazione professionale. Questo vale in assoluto, anche quando certi eventi si verificano in paesi avanzati. Lo dimostra il caso dell’uragano Katrina che nel 2005 ha messo in risalto l’impreparazione perfino degli Stati Uniti di fronte a una catastrofe meteorologica, lasciando dietro di sé non solo una scia di distruzioni ma anche un enorme disagio sociale specie sul fronte femminile e in modo ancor più sensibile tra la comunità afroamericana.
Uno studio di Jacquelyn Litt, titolare della cattedra degli Studi sulle donne e sul genere presso la Rutgers University, in New Jersey, ha dimostrato come la povertà abbia registrato un’impennata in tale senso dopo il cataclisma, sottolineando come più della metà delle famiglie in condizione di povertà fossero composte da madri single. Conclusioni, queste, che possono essere proiettate su qualsiasi altra città del mondo esposta ai rischi correlati all’innalzamento del livello dei mari come conseguenza dei cambiamenti climatici.
Le donne nella filiera alimentare
Tornando al caso delle comunità agricole, che rappresentano la realtà più diffusa tra quelle esposte al rischio climatico, va considerato come le donne, pur avendo ruolo fondamentale nei processi della produzione alimentare, si vedono di fatto negato l’accesso a qualsivoglia strumento di credito di adeguamento tecnologico che potrebbe migliorarne la condizione. I possibili rimedi sono evidenti ma non per questo di facile attuazione. Valorizzando le capacità produttive delle donne a favore di un’agricoltura sostenibile, non solo si lavorerebbe per il futuro ambientale della Terra, ma si andrebbe verso la piena fruizione dei loro diritti individuali combattendo povertà e malnutrizione. Inoltre, quando coinvolte nei processi decisionali sulle questioni climatiche le donne hanno dimostrato di poter fare la differenza. Grazie alla loro conoscenza ed esperienza nella gestione delle risorse naturali sono in grado di strutturare una valida risposta ai disastri ambientali sia nella messa in sicurezza della popolazione che nella ricostruzione post disastro e nel reperimento di nuove risorse di immediata necessità.
La questione di genere nel quadro delle Nazioni Unite
Il riconoscimento di queste dinamiche ha portato le Nazioni Unite ad aprire una specifica riflessione su genere e cambiamenti climatici all’interno della Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ovvero sul ruolo che le donne possono avere tanto nell’adattamento al riscaldamento globale in atto, quanto nella mitigazione di questi fenomeni nel medio-lungo periodo. Con la creazione nel luglio 2011 di UN Women, ovvero di un gruppo di lavoro specificamente orientato all’equità di genere, le Nazioni Unite promuovono e sostengono l’incorporazione della prospettiva di genere in politiche e piani di azione nazionali riguardanti sviluppo sostenibile e cambiamenti climatici.
On the last day of #CSW62, we all wait expectantly to learn the resolutions towards a better life for #ruralwomen and girls.
Ciò che emerge dal dibattito internazionale è un’ampia serie di azioni, dal coinvolgimento delle donne nei processi decisionali che possono influire sul clima a livello locale e globale, alla promozione finanziaria e tecnologica di iniziative imprenditoriali femminili, dall’agricoltura all’artigianato, che possano incentivare la stabilità sociale, a partire dal sua componente di base, la famiglia, e di conseguenza la qualità ambientale. È così che il discorso s’inserisce nel più ampio argomento del “women’s empowerment” – locuzione adottata tal quale nel lessico internazionale – facendogli compiere un salto di qualità, dalla sfera dei diritti umani a quella ancor più ampia della tutela ambientale planetaria.
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