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Emmanuel Macron si presenta come “candidato anti-sistema” nonostante il passato da banchiere d’affari e ministro. Ecco chi è e cosa propone per la Francia.
Emmanuel Macron ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, con il 23,86 per cento dei consensi, sopravanzando la leader di estrema destra Marine Le Pen, che sfiderà al ballottaggio. Un risultato raggiunto proponendosi come candidato “nuovo” e “anti-sistema”: etichette che grazie ad un’abile campagna mediatica sono riuscite a “sfondare” nell’elettorato, nonostante la storia di Macron parli di un personaggio certamente ben integrato (e da tempo) nei centri di potere finanziari e politici della Francia.
Diplomato presso l’Institut d’études politiques (Iep) e presso l’Ecole nationale d’administration (la “scuola” che rappresenta uno dei trampolini abituali verso la funzione pubblica e la vita politica transalpina), il leader del movimento “En Marche!” – definito dallo stesso Macron “né di destra né di sinistra” – ha cominciato la propria carriera nell’amministrazione statale come vice-ispettore alle Finanze. Nel 2008, entra a far parte della Commissione Jacques Attali, una sorta di think tank voluto dall’allora presidente di destra Nicolas Sarkozy con l’obiettivo di individuare strategie utili a rilanciare la crescita economica del paese.
Una volta esaurito l’incarico, Emmanuel Macron cambia strada e accetta un posto nell’alta finanza. Entra così in Banque Rothschild, della quale diventa in breve un alto dirigente; nel 2012, concluderà un accordo da nove miliardi di euro tra la Nestlé e il gruppo Pfizer, rimasto negli annali della banca d’affari: come ricorda il quotidiano Le Monde, “il soprannome di ‘banchiere di Rothschild’ non lo abbandonerà più”. Anche per via degli stipendi galattici intascati nel corso dell’esperienza nella finanza: 2,4 milioni in soli 18 mesi, secondo le informazioni riferite dalla tv Bfm.
Nello stesso anno, torna nella funzione pubblica come uno dei principali consiglieri del neo eletto presidente della Repubblica François Hollande. Resterà di fatto al suo fianco per tutta la durata del mandato, dapprima come vice segretario generale dell’Eliseo, poi come ministro dell’Economia del secondo governo di Manuel Valls. Proprio tale impegno lo ha costretto duranta la campagna elettorale a difendersi dagli attacchi di chi ha sottolineato il ruolo di primo piano ricoperto nel quinquennio socialista. Il sindaco socialista di Parigi Anne Hidalgo ha persino dichiarato: “Macron è un uomo che si presenta come anti-sistema nonostante sia l’artefice di buona parte della politica economica adottata dal paese negli ultimi anni”. Che è costata (assieme ad altri fattori) la rinuncia alla candidatura per Hollande, la sconfitta alle primarie socialiste per l’ex premier Valls, ma che ha lasciato del tutto indenne Macron.
Quest’ultimo si è presentato alle elezioni presidenziali con un programma di stampo chiaramente social-liberale. In economia propone un mix fatto di tradizionali politiche di austerità draconiana e misure che invece puntano ad irrobustire gli investimenti pubblici. In perfetta ottica centrista, promette infatti da una parte di imporre enormi tagli al bilancio statale: ben 60 miliardi di euro nel corso del quinquennio, il che si tradurrà, tra le altre cose, nella soppressione di 120mila posti nella funzione pubblica francese (50mila a livello statale, 70mila negli enti locali). La sforbiciata non risparmierà neppure i fondi per la disoccupazione (-10 miliardi): il tutto dovrebbe portare la spesa pubblica a scendere dal 54,6 per cento del Pil al 52 per cento entro il 2022.
Al contempo, il programma di Macron prevede però un piano di investimenti da 50 miliardi. Di cui cinque nella sanità, altrettanti nella trasformazione dell’agricoltura e nella modernizzazione della pubblica amministrazione e quindici nella transizione ecologica.
Eppure proprio sul fronte ambientale le critiche al leader centrista non sono mancate. Da un lato, infatti, Macron ha annunciato misure contro i perturbatori endocrini e i pesticidi, un piano per l’efficienza energetica delle abitazioni private e il raggiungimento del traguardo del 50 per cento di mense biologiche in tutta la Francia.
Dall’altro, però, sul fronte nucleare la posizione appare in linea con quella adottata finora dai governi di Parigi: alcun piano di abbandono definitivo dell’atomo e anzi sostegno pieno al nuovo reattore in costruzione a Flamanville. Quando era ministro dell’Economia, inoltre, Macron aveva appoggiato con convinzione l’investimento del colosso pubblico Edf nei cantieri nucleari di Hinkley Point, nel Regno Unito, pari a 16 miliardi di euro per la sola “quota” francese. Ciò nonostante, la promessa è di diminuire al 50 per cento il peso del nucleare nel mix energetico transalpino, entro il 2025 (contro l’attuale 75 per cento). Ma per le ong la strategia non è compatibile con un vero sostegno alle fonti rinnovabili.
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