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Ermete Realacci. Trump ha attivato i nostri anticorpi e ci ha uniti sul fronte della sostenibilità
Per le imprese, i territori e la finanza, puntare sull’ambiente e sulla qualità è la scelta vincente. Intervistiamo Ermete Realacci, presidente di Symbola.
Ambiente, qualità, sostenibilità, energie rinnovabili, cultura. Sono questi i motori del nostro futuro, in Italia e nel mondo. Lo dicono i numeri, lo dice l’economia. E chi non ci crede, come Donald Trump, non farà altro che unirci in un fronte comune. Ne è fermamente convinto Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola e presidente onorario di Legambiente, a capo della commissione Ambiente, Territorio e Lavori pubblici della Camera ed esponente del Partito democratico. Di tutti questi argomenti, e di molto altro, si parlerà dal 4 all’8 luglio tra Macerata e Treia, per il Festival della Soft Economy seguito dal seminario estivo di Symbola.
Fondazione Symbola parla di cultura, made in Italy, qualità, bellezza. Un aspetto molto interessante è che a tutto ciò attribuisce dei numeri, un peso economico. Come mai avete scelto quest’approccio?
È un aspetto fondamentale. Se vuoi fare affermare un’idea, anche nuova, hai bisogno di tre cose. Hai bisogno di una visione, perché, riprendendo una frase di Seneca, “non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare”. Poi servono i numeri, l’ancoraggio per mettere in campo l’idea: dai nostri rapporti emerge sempre la volontà di dimostrare che “essere buoni”, cioè puntare su scelte valoriali (green economy, cultura…), ha un’efficacia anche economica. Infine, servono le storie: tutto questo deve diventare un racconto, una suggestione replicabile.
Questo approccio richiede in primo luogo una grande curiosità per quello che accade. Poi, richiede grande rigore: quando ci si confronta con i numeri, è difficile acquisire credibilità ed è facilissimo perderla. A questo noi siamo molto attenti. Galileo diceva “Misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è”, ed è proprio quello che cerchiamo di fare: misuriamo ciò che apparentemente non si presta a essere misurato.
Le scelte che fanno bene al Pianeta e alle persone, dunque, fanno bene anche all’economia. Questo è un messaggio importante per i capitali privati, chiamati a sostenere iniziative che tradizionalmente potevano essere ritenute appannaggio del pubblico.
È un messaggio per i capitali e le imprese, che contrasta altri tipi di opzioni. Parlando dei cambiamenti climatici, ad esempio, oggi saremmo più deboli se non fosse chiaro che le fonti rinnovabili e le innovazioni green già oggi sono competitive e in futuro lo saranno ancora di più. Negli Usa l’uscita di Trump dall’Accordo di Parigi – che, a mio avviso, potrebbe essere addirittura una cura omeopatica che ha effetti positivi – ha trovato l’opposizione delle grandi imprese ma soprattutto degli Stati, anche repubblicani. Tra di loro c’è la California, che da sola ha un pil superiore all’Italia e alla Francia ed è lo Stato che punta di più sulle politiche ambientali.
Questo ragionamento è valido in diversi settori. Pensiamo a come cambierà il mondo dell’automobile. L’amministratore delegato di General Motors – che in termini di capitalizzazione è stata superata dalla Tesla, che pure ha vendite decisamente più basse – ha detto che nei prossimi cinque anni l’auto cambierà più che negli ultimi cinquanta. L’India, che ha superato la Cina per numero di abitanti, dal 2032 venderà solo auto elettriche.
In questo scenario, come si colloca l’Italia?
L’Itala ha una chance in più. Noi abbiamo un’economia che in alcune sue parti, senza politiche pubbliche, è orientata alla produzione della qualità e della bellezza. Carlo Maria Cipolla diceva che la missione dell’Italia è produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo. Questo tipo di economia è per sua natura meno impattante in termini di consumi energetici, uso di materie prime e così via.
Per fare un esempio, siamo un paese povero di materie prime. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, le eccellenze (come Milano e la provincia di Treviso) vanno di pari passo con zone di grande arretratezza, come alcune regioni del Sud e la Liguria. Ma nel recupero di materiali l’Italia è la prima d’Europa. Mettendo insieme tutti i cicli produttivi, orni anno recuperiamo 47 milioni di tonnellate di materiali (metalli, plastica, vetro e così via), più della Germania. Ciò significa consumare 17 milioni di tonnellate di petrolio in meno ed emettere 60 milioni di tonnellate di Co2 in meno. È stata la povertà di materie prime, e non la spinta esterna delle politiche, a spingere tante filiere produttive verso il recupero. Se la politica riesce a leggere questi fenomeni e aiutarli, l’Italia è formidabile.
Ma a livello politico si sta muovendo qualcosa?
Qualcosa sta succedendo. Pensiamo al ruolo formidabile che hanno avuto il credito d’imposta, l’ecobonus e il sismabonus nel cambiare volto all’edilizia. Di sicuro c’è stata un’influenza forte della crisi, ma resta il fatto che è diventata maggioritaria la riqualificazione, spesso legata alla sicurezza e all’efficienza energetica. L’anno scorso il credito d’imposta e l’ecobonus hanno mosso investimenti per 28,2 miliardi di euro e prodotto oltre 400mila posti di lavoro, considerando anche l’indotto. Il sismabonus è la prima vera importante misura di prevenzione antisismica in Italia e arriva a dare incentivi fino all’85 per cento. Se funzionerà, saremo di fronte a una formidabile leva per avere imprese più innovative e trasparenti (per ottenere questi crediti non si può far ricorso al lavoro nero), mettendo in moto settori che sono stati molto colpiti dalla crisi.
Di tutto questo parleremo al seminario di Treia, che abbiamo intitolato “Il senso dell’Italia per il futuro” perché non c’è un solo futuro possibile. Io spero che venga approvata una legge, di cui sono il primo firmatario, sulla valorizzazione dei piccoli comuni; questa è già una delle chiavi di lettura del nostro territorio. Un altro banco di prova importante sarà la ricostruzione della vastissima area dell’Appennino centrale colpita dallo sciame sismico. Bisogna affrontare tutto questo in termini tecnologici ed economici, ma anche avendo un’idea di futuro. Quell’area può diventare una metafora di un’Italia che produce impresa e lavoro attingendo forza dalla storia, dalla natura, dalla cultura.
Si parla molto del rapporto tra Italia e Cina, un rapporto che ha radici storiche e che può risultare strategico dal punto di vista ambientale, visto che il governo cinese – a differenza dell’amministrazione Trump – sta investendo in modo preponderante nelle energie pulite. Quale valore aggiunto può dare l’Italia alla Cina e viceversa?
Alla Cop21 di Parigi e alla Cop22 di Marrakech mi ha colpito la grande determinazione con cui la Cina, anche attraverso la sfida del clima, si candidava a un ruolo di primo piano del mondo. Da patriota ed europeo, avevo sofferto quando prima del G20 del settembre scorso, in maniera spettacolare e solenne, Obama e Xi Jinping avevano ratificato l’Accordo di Parigi. E l’avevano fatto senza l’Europa. È chiaro che dietro la loro stretta di mano c’erano molte letture. Probabilmente si aspettavano entrambi che vincesse Clinton; di sicuro erano convinti del fatto che il tema del clima non fosse più aggirabile. Questa è una sfida economica e tecnologica: chi acquisisce la leaership si appresta a guidare il mondo. Dietro quella stretta di mano c’era anche un asse Pacifico da cui veniva messa ai margini l’Europa, la stessa che decenni prima aveva permesso al protocollo di Kyoto di diventare realtà.
Lì si era capito che la Cina, in questa partita, è un protagonista positivo. Nel progetto della nuova Via della Seta l’Italia può trovare un suo ruolo, in virtù di un legame con la Cina che storicamente è molto forte. Alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi cinesi, così come al Millennium Center di Pechino, sono raffigurati solo due occidentali: Marco Polo e Padre Matteo Ricci. Insomma, ci sono tanti legami di cui l’Italia può beneficiare, tanto più ora che la Cina sta dalla parte giusta della barricata.
Paradossalmente, l’uscita di Trump dall’Accordo di Parigi attiva negli anticorpi, tanto negli Usa quanto in un’Europa che sembrava un po’ assopita. L’Europa che abbiamo visto al G7 di Taormina, l’Europa di Merkel, di Macron, di Gentiloni, è un’Europa che ritrova la sua anima proprio nella sfida ambientale. Con grande forza, Merkel ha dichiarato “Non possiamo più fare affidamento sugli altri, noi europei prendiamo in mano il nostro destino” e la chiave di questo è la sfida ambientale. Parole simili sono arrivate anche dal presidente francese Macron. È un periodo interessante, in cui attaccare fili tra vari mondi e varie culture è determinante per rendere migliore il futuro.
Insomma, questo clima internazionale potrebbe essere un ostacolo ma anche uno stimolo?
Magari tra qualche anno potremo addirittura pensare che Trump, in fin dei conti, ci abbia dato una mano! Lui stesso facilmente si scontrerà contro il muro dell’economia, perché non è certo con le miniere di carbone che l’America tornerà a essere grande; nel frattempo, attiverà sinenergie molto importanti. Lo stesso meccanismo vale per le sfide che l’Italia ha davanti. Dobbiamo lavorare affinché il trauma del terremoto possa aiutare l’Italia a trovare un’anima e a pensare a un futuro migliore.
Foto in apertura © Fondazione Symbola
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