Pubblicate nella notte le nuove bozze di lavoro alla Cop29 di Baku, compresa quella sulla finanza climatica. Strada ancora in salita.
Cosa c’entrano i cambiamenti climatici con gli eventi estremi dell’estate 2018
Un’estate apocalittica: scopriamo qual è il collegamento tra riscaldamento globale e fenomeni estremi dell’estate 2018, dagli incendi nell’Artico alla siccità nel Regno Unito, dal tifone Mangkhut all’uragano Florence.
Questo articolo è servito da spunto per l’intervista che Simone Molteni, direttore scientifico di LifeGate, ha rilasciato a Nadia Toffa e che è andata in onda nella puntata de Le iene di mercoledì 17 ottobre alle 21:20 su Italia 1.
L’effetto serra potrebbe diventare un ricordo lontano. Eppure, non c’è alcun motivo per festeggiare: quello che rischiamo è l’effetto serra “bollente”, con l’aumento delle temperature ben al di sopra del limite auspicato dall’Accordo di Parigi sul clima. È un pericolo testimoniato dai fenomeni meteorologici estremi dell’estate 2018: “Nel nostro continente le anomalie di temperatura non sono mai state così alte, e tutta l’Europa centro-settentrionale ha vissuto una stagione secchissima”, spiega Paolo Corazzon di 3Bmeteo.com.
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Se nel Regno Unito gli agricoltori hanno protetto i capi di bestiame con la crema da sole, in Lapponia le renne hanno cercato refrigerio immergendosi nei ruscelli accanto ai bagnanti increduli. Non c’è molto da ridere, però: incendi e cicloni hanno lasciato il nostro pianeta ferito e condurlo alla guarigione non sarà facile. Per riuscirci è necessario prima di tutto capire quali sono le cause di quanto è accaduto, in particolare qual è stato il ruolo del riscaldamento globale nella genesi e nell’evoluzione dei fenomeni che abbiamo selezionato.
- Lo scioglimento della calotta più antica dell’Artico
- L’uragano Florence
- Il tifone Mangkhut
- L’ondata di calore nel Regno Unito
- Gli incendi
Nell’Artico si è fratturata la calotta di ghiaccio più antica e spessa
Quest’estate si è rotta per la prima volta la calotta glaciale più antica e spessa dell’Artico, in una zona polare che fino a quel momento era rimasta compatta anche nei mesi più caldi dell’anno. È successo per colpa delle temperature eccezionalmente alte e dei venti tiepidi che hanno soffiato sulla regione. L’Artico si sta riscaldando due volte più velocemente rispetto al resto del mondo e, stando alla Noaa (l’Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica degli Stati Uniti), il ghiaccio si sta sciogliendo alla massima velocità registrata nel corso di 1.500 anni.
Perché “abbiamo lasciato la porta del frigorifero aperta”
Se lo scioglimento dei ghiacci è l’effetto più evidente del riscaldamento globale, l’Artico è il luogo dove i cambiamenti climatici hanno conseguenze lapalissiane poiché si innesca un circolo vizioso: più il ghiaccio si scioglie, più la superficie oceanica diventa blu scuro e non è più in grado di riflettere i raggi solari, che quindi vengono assorbiti dall’acqua; quest’ultima si riscalda e lo scioglimento accelera. Gli esperti della Noaa hanno confermato che le attività umane contribuiscono all’aumento delle temperature. “L’Artico è sempre stato il frigorifero del pianeta, ma abbiamo lasciato la porta del frigo aperta”, ammonisce Jeremy Mathis, direttore del relativo programma di ricerca.
L’uragano Florence
L’uragano Florence ha raggiunto la Carolina del Nord, negli Stati Uniti, il 14 settembre. Ha interessato anche la Carolina del Sud, la Florida e la Virginia e provocato più di 40 vittime. Anche se prima dell’impatto l’uragano aveva perso potenza, i venti hanno soffiato a 150 chilometri orari e sono scesi oltre 600 millimetri di pioggia. Secondo Moody’s analytics, società di consulenza finanziaria, i danni economici potrebbero ammontare a 22 miliardi di dollari (quasi 19 miliardi di euro).
Ha portato piogge più abbondanti quindi inondazioni catastrofiche
Studiando Florence, un team di scienziati ha cercato per la prima volta in tempo reale di capire come i cambiamenti climatici modifichino le caratteristiche di un uragano. Ha così scoperto che a causa del riscaldamento globale il diametro del ciclone si è allungato di 80 chilometri e le piogge sono aumentate del 50 per cento. Il motivo sarebbe da rintracciare nel fatto che la temperatura della superficie oceanica è aumentata. L’acqua che si trova in superficie, quindi, evapora più velocemente caricando l’aria di umidità, che da un lato servirebbe ad alimentare l’uragano e dall’altro porterebbe a precipitazioni più abbondanti.
Il tifone Mangkhut
Nello stesso giorno in cui l’uragano Florence ha colpito gli Stati Uniti, il tifone Mangkhut si è abbattuto su Luzon, l’isola più grande dell’arcipelago delle Filippine, dove ha causato quasi cento vittime e la sospensione dell’elettricità per migliaia di abitazioni. Considerato l’equivalente di un uragano di categoria 5, la più alta, il tifone si è poi spostato sulla Cina; a Hong Kong un fenomeno così potente non si verificava dal 1983: le onde alte dodici metri hanno provocato gravi inondazioni sulla costa, il traffico marittimo e gli spostamenti aerei hanno subito forti rallentamenti.
È stato più intenso
Dalla fine degli anni Settanta ad oggi, l’intensità dei tifoni che interessano l’Oriente e il Sudest asiatico è aumentata del 12-15 per cento: lo hanno rivelato i ricercatori dell’Università della California a San Diego nello studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience. Questo significa che il potenziale distruttivo di tali fenomeni è cresciuto del 50 per cento. Come nel caso degli uragani, la colpa è del calore liberato dagli oceani che costituisce una preziosa fonte di energia. “Quello che vogliamo dire è che i tifoni saranno sempre più potenti per colpa del riscaldamento globale”, ha spiegato Wei Mei, uno degli autori della ricerca.
L’estate rovente nel Regno Unito
Quella del 2018 è stata l’estate più calda di sempre in Inghilterra, oltre che una delle più asciutte. C’è stata una temperatura media di 17,2 gradi centigradi che ha superato di 0,2 gradi il precedente record del 1976: lo ha riferito il Met office, l’ufficio meteorologico nazionale. Il Regno Unito nel suo complesso ha goduto di molto sole, ma ha sofferto al tempo stesso della più lunga ondata di calore in 42 anni, tanto che a luglio la Gran Bretagna vista dal satellite non era più verde bensì marrone. In alcun casi gli allevatori hanno protetto il bestiame con la crema da sole.
Diventerà la normalità
Estati così calde diventeranno la normalità nel Regno Unito, secondo il Met office: le temperature del 2018 sono l’emblema dei cambiamenti climatici in atto sul nostro pianeta. Lo conferma l’Environmental audit committee, organo di consulenza per il governo britannico, che ha lanciato l’allarme: le ondate di calore saranno più frequenti nel paese ed entro il 2050 causeranno settemila morti l’anno, soprattutto fra gli anziani; del resto la popolazione non è preparata e molti edifici sono progettati per trattenere l’aria calda all’interno. Come il clima sta cambiando, anche le abitudini degli esseri umani dovranno farlo.
Gli incendi
Nel Nordeuropa
Quest’estate Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia sono state colpite da una forte ondata di calore, che ha determinato temperature da record: a Drag, villaggio a nord di Oslo, è stato raggiunto un picco di 33,7 gradi. Al caldo si è sommata la siccità: l’insieme di questi due fattori ha scatenato più di 50 incendi, di cui ben dodici al di là del Circolo polare artico. In Svezia è diminuita la superficie dei pascoli invernali, mettendo a rischio la sopravvivenza delle renne.
In Grecia
Si ritiene che abbiano avuto origine dolosa, ma che sia stata l’aridità del terreno ad alimentarli: nel mese di luglio numerosi incendi hanno devastato la regione dell’Attica, in Grecia centro-meridionale, provocando almeno 91 vittime e centinaia di feriti. Sono bruciati boschi e terreni coltivati intorno ad Atene; migliaia di case sono andate distrutte. Le testimonianze di chi è sopravvissuto sono strazianti; nei loro occhi le fiamme che divorano ogni cosa e nei loro cuori il ricordo di chi non c’è più.
Nel Nordamerica
Stessa sorte è toccata agli Stati Uniti, dove sono divampati almeno sessanta incendi che non hanno risparmiato neppure la gelida Alaska; in California la situazione era talmente grave che il parco Yosemite è rimasto chiuso al pubblico per tre settimane. In Canada il termometro è arrivato a segnare 36,6 gradi centigradi, la temperatura più alta degli ultimi 147 anni: il caldo eccezionale ha colto la popolazione impreparata e quasi 600 incendi hanno reso l’aria più irrespirabile che a Pechino.
Saranno sempre più numerosi e distruttivi
Uno studio condotto dall’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr) ha dimostrato il collegamento tra siccità, conseguenza del riscaldamento globale, e aumento delle superfici coinvolte dagli incendi boschivi, nell’area mediterranea in particolare. “Sebbene la maggior parte dei roghi sia innescata da attività umane – dolose e non – abbiamo constatato che le condizioni climatiche influenzano la propagazione e quindi l’estensione dell’incendio”, ha spiegato Antonello Provenzale, direttore dell’Igg-Cnr. È proprio il caso della Grecia: sebbene sia altamente probabile che il fuoco sia stato appiccato volontariamente, la secchezza del terreno e l’accumulo di biomassa hanno funto da acceleratore.
Non è troppo tardi per impedire che il mondo diventi inospitale
Ci stiamo dirigendo verso un futuro – più vicino di quanto pensiamo – in cui manifestazioni come quelle descritte non verranno più definite straordinarie, semplicemente perché saranno ordinarie. Vogliamo davvero che i nostri figli e nipoti vivano su un pianeta del tutto inospitale? Che la natura, invece di essere per loro una seconda madre, compagna di giochi e di viaggi, si ribelli alla loro presenza? Probabilmente no.
Ed è la natura stessa che ha voluto metterci in guardia quest’estate, dandoci la possibilità di agire e invitandoci a non perdere tempo. Il momento di spostarsi in bicicletta, di scegliere elettricità proveniente da fonti rinnovabili, di ridurre il consumo di carne, è arrivato. Ed è giunta per i governi di tutto il mondo l’ora di assumersi le proprie responsabilità, rinunciare ai combustibili fossili, costruire città verdi, tutelare le foreste e la fauna. Non è troppo tardi: l’appuntamento è a dicembre per la Cop 24.
Foto in apertura © Joe Raedle/Getty Images
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