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Il fondo sovrano norvegese taglia i ponti con 134 compagnie petrolifere
Il fondo sovrano norvegese mantiene le promesse e smette di investire in petrolio e gas. Ma con diverse eccezioni, che lasciano dubbiosi gli ambientalisti.
Nel 2015 aveva dismesso tutti i suoi investimenti nel carbone, alla fine del 2017 aveva promesso di fare lo stesso anche con gli altri combustibili fossili. Ora arriva anche il via libera del governo: dopo il voto del Parlamento, il fondo sovrano norvegese dirà addio alle aziende impegnate nell’esplorazione di petrolio e gas naturale. Con qualche significativa eccezione, che fa storcere il naso alle associazioni ambientaliste.
Come funziona il fondo sovrano norvegese, gigantesco ed “etico”
Con il suo trilione di dollari di asset in gestione (885 miliardi di euro) investiti in novemila imprese, il Government Pension Fund Global è il fondo sovrano più ricco al mondo. Ironicamente, le sue fortune derivano proprio dal petrolio, tant’è che un tempo il suo nome era Petroleum Fund of Norway. Quando negli anni Sessanta vennero scoperti diversi giacimenti nel mare del nord, infatti, la Norvegia avviò le attività estrattive e raccolse tutti i loro proventi nel fondo, per farli fruttare.
In un certo senso, il fondo sovrano norvegese ha ispirato il movimento della finanza sostenibile, perché da sempre la sua gestione è stata improntata su una grande prudenza e sul rispetto di alcuni principi etici. Nel corso degli anni sono stati depennati i produttori di mine antiuomo, bombe a grappolo, armamenti nucleari, tabacco. Qualche mese fa è arrivato anche l’impegno a combattere la plastica negli oceani.
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A tenere le sue redini è la banca centrale (Norges Bank), che consulta un comitato etico formato da esperti di diritti umani, economia, ambiente e diritto. Ogni decisione va poi sottoposta al governo e al Parlamento di Oslo.
BIG NEWS: Today, Norway recommended the Norwegian Sovereign Wealth Fund, worth $1 trillion, to divest more than $7.5 billion of holdings from upstream oil and gas industries. https://t.co/MT21RJIGUy pic.twitter.com/8y1DiBKSUp
— 350 dot org (@350) 8 marzo 2019
Il petrolio non conviene più nemmeno al portafoglio
La scelta di sbarrare la porta al settore oil&gas, però, con l’etica c’entra poco. “L’obiettivo è quello di ridurre la vulnerabilità delle nostre risorse comuni al costante calo dei prezzi del petrolio”, ha affermato la ministra delle finanze Siv Jensen, che dunque ha posto la questione in termini di pura e semplice opportunità economica. Sarà coinvolto l’1,2 per cento delle partecipazioni azionarie del fondo, il cui valore supera i 5 miliardi di euro. Dopo la decisione della banca centrale e il semaforo verde del governo, per la piena ufficialità manca soltanto il voto del Parlamento.
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Un addio al petrolio con molti “ma”
Il Government Pension Fund Global dismetterà quindi i titoli di 134 diverse compagnie petrolifere, incluse Tullow Oil, Premier Oil, Soco International, Ophir Energy e Nostrum Oil & Gas. Senza dubbio la scelta ha un valore economico e simbolico notevole, ma da molti è stata giudicata fin troppo timida, perché lascia aperto uno spiraglio non da poco: nel portafoglio di investimenti rimarranno tutte quelle compagnie che, parallelamente ai combustibili fossili, lavorano anche con le energie rinnovabili. Compresi colossi globali come Shell e Bp.
Una politica che, sottolinea il Guardian, ha ricevuto un’accoglienza decisamente tiepida da parte delle associazioni ambientaliste. “Questo parziale disinvestimento da oil&gas è il benvenuto – chiarisce Charlie Kronick, di Greenpeace UK –, ma non è abbastanza per mitigare l’esposizione della Norvegia all’andamento dei prezzi di petrolio e gas naturale e dalle più ampie conseguenze di carattere finanziario dei cambiamenti climatici. Si tratta comunque di un segnale chiaro: le aziende che scommettono sull’espansione del proprio business di gas e petrolio costituiscono un rischio inaccettabile, non solo per il clima ma anche per gli investitori”.
Immagine in apertura © AnneCN / Flickr
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