
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Cosa c’è dietro a un semplice hambuger? Centinaia di migliaia di chilometri di foreste in Brasile e Bolivia che non ci sono più, tanto per cominciare.
La catena di ristoranti fast food Burger King compra soia che distrugge le foreste del Sudamerica per sfamare mucche e maiali che finiscono nei panini venduti in tutto il mondo. Le piantagioni di soia in questione sono immense e in costante espansione e danneggiano le foreste tropicali, come l’Amazzonia, in Brasile e in Bolivia. L’accusa è stata lanciata dall’organizzazione Mighty Earth che lavora attraverso campagne internazionali per proteggere l’ambiente. Questa si chiama The ultimate mistery meat e cerca di svelare il collegamento tra gli hamburger che vengono comprati e mangiati nei fast food di Burger King e di altre catene e la distruzione di foreste vergini che alimenta il fenomeno del riscaldamento globale.
What’s @BurgerKing hiding in its mystery meat? Deforestation! RT to tell BK to stop buying from suppliers driving #deforestation. pic.twitter.com/oQJTuyhDfu
— Mighty (@StandMighty) 26 febbraio 2017
Attraverso l’utilizzo di droni, immagini satellitari e ricerche sul campo, il rapporto mostra i metodi – dalle ruspe agli incendi dolosi – che i fornitori quali Cargill e Bunge usano per radere al suolo le foreste e far spazio alle piantagioni di soia. La distruzione si concentrerebbe soprattutto nelle foreste del bassopiano boliviano e nel Cerrado brasiliano, un’area di savana tropicale caratterizzata da una biodiversità ricchissima. Anzi, spesso il Cerrado viene definito come il luogo più ricco al mondo per biodiversità.
“Il collegamento è piuttosto chiaro. Bunge e Cargill forniscono cereali a Burger King e altri grandi rivenditori di carne. McDonald’s, Subway e Kentucky fried chicken non sono perfetti ma stanno facendo molto di più per proteggere le foreste”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Mighty Earth Glenn Hurowitz. “Se Burger King non risponde immediatamente alle persone che vogliono sapere da dove arriva il cibo, allora queste dovrebbero rivolgersi ad altri per i loro acquisti”.
Lo scorso anno 7.989 chilometri quadrati (quasi 800mila ettari, una superficie grande quasi quanto l’Umbria) di terreni sono stati deforestati in Brasile, con un incremento del 29 per cento rispetto al 2015 quando erano stati 6.207 chilometri quadrati. Stessa sorte negativa ha subìto la Bolivia che nel 2016 ha visto sparire 3.508 chilometri quadrati di foresta (più di una Valle d’Aosta) rispetto a una media negli anni Duemila di 2.700 chilometri quadrati andati letteralmente in fumo. Ovviamente la soia non è la sola responsabile di questo disastro, ma le industrie legate al cibo controllano buona parte del destino delle foreste sudamericane.
Burger King, in particolare, può fare molto secondo il rapporto di Mighty Earth. La catena ha più di 15mila ristoranti sparsi in circa 100 Paesi nel mondo ed è stata acquisita nel 2010 dalla società d’investimenti brasiliana multimiliardaria 3G Capital per 3,8 miliardi di dollari (circa 3,6 miliardi di euro). La 3G Capital, tra le altre cose, possiede anche la Kraft Heinz Company che produce ketchup, formaggio e altri prodotti alimentari pronti e usati dai fast food, con un giro d’affari intorno ai 10 miliardi di dollari. Per questo, è fondamentale che Burger King sfrutti la sua influenza in modo positivo facendo pressione sulla società a cui appartiene e verso i fornitori come Cargill per spingerli verso l’adozione di politiche contrarie alla deforestazione e allo sfruttamento di risorse naturali provenienti dai polmoni del Pianeta. La stessa Cargill – che lavora con circa 15mila contadini che coltivano soia – ha voluto dire la sua interpellata dal quotidiano britannico Guardian, che ha ripreso la notizia del rapporto, affermando di voler dimezzare il suo impatto sulle foreste tra il 2020 e il 2030.
L’organizzazione Mighty Earth ha deciso di lanciare una petizione contro i “re della deforestazione” e far sì che una moratoria sull’espansione delle piantagioni di soia venga adottata da tutta l’America Latina oltre a “sostenere l’espansione dell’agricoltura sostenibile”.
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