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Il presidente francese François Hollande non si ripresenterà alle prossime elezioni. Il bilancio dei suoi 5 anni all’Eliseo.
François Hollande ha fatto sapere che non si ripresenterà alle prossime elezioni presidenziali. Il capo dello stato francese, la cui popolarità è ormai a livelli decisamente bassi, getta dunque la spugna: è la prima volta che un presidente in carica decide di non ricandidarsi. Il politico socialista lo fa mentre la maggior parte dei sondaggi lo accredita di consensi estremamente bassi: tra il 7,5 e il 10 per cento.
Dopo l’annuncio, numerose testate transalpine hanno tracciato i loro bilanci del quinquennato. Il momento forse più alto della presidenza è arrivato alla metà del mese di dicembre del 2015, quando è stato raggiunto l’Accordo di Parigi, al termine della ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. E ciò non soltanto per l’obiettivo in sé, quanto per la capacità che ha avuto il governo francese di catalizzare l’attenzione mondiale sull’evento. Imponendo la questione climatica come una priorità assoluta alla comunità internazionale.
Se alla Francia di Hollande va attribuito il merito di aver giocato un ruolo decisivo nel corso della Cop 21, e più in generale sul tema della lotta ai cambiamenti climatici, il bilancio in termini di politica ambientale interna appare ben meno entusiasmante. Per quanto riguarda il nucleare, ad esempio, ci si attendeva la chiusura delle centrali più vecchie del paese: in particolare quella di Fessenheim, giudicata tra le più a rischio dalle associazioni ambientaliste. Inoltre, i governi di Jean-Marc Ayrault e di Manuel Valls, che si sono susseguiti sotto la presidenza di Hollande, hanno tutti perseguito con decisione l’obiettivo di costruire un nuovo reattore Epr sulle rive della Manica, a Flamanville, nonostante i costi altissimi, i ritardi e i problemi finanziari del costruttore Areva.
Va detto però che, almeno sulla carta, la Francia si è impegnata a ridurre al 50 per cento la porzione di energia prodotta dai siti nucleari, entro il 2025 (contro il 77 per cento del 2014). La decisione faceva parte del programma col quale Hollande era stato eletto. Il termine è stato fissato nella legge sulla transizione energetica approvata ad agosto del 2015, ma i ritardi accumulati nello sviluppo energie rinnovabili rendono molto difficile raggiungere l’obiettivo.
Il quinquennato di Hollande sarà inoltre ricordato per le forti opposizione ad una serie di grandi progetti, su tutti l’aeroporto di Notre Dame des Landes, nella Loira Atlantica, e la diga di Sivens, nei pressi della quale ha perso la vita il militante ecologista Remy Fraisse.
Senza dimenticare che le ong hanno puntato il dito contro la Francia anche sul tema del carbone, ricordando che nonostante gli impegni in materia ambientale, due aziende di stato – Edf e Gdf Suez (ribattezzata di recente Engie) – possiedono ancora ben quarantasei centrali in tutto il mondo.
Anche sulle questioni economiche la presidenza Hollande sembra aver deluso i francesi. Nell’aprile del 2014 il numero uno dell’Eliseo aveva annunciato che avrebbe condizionato la propria candidatura all’inversione della curva della disoccupazione. In quel momento 3,6 milioni di persone in Francia risultavano senza lavoro. Cifra che ha continuato a crescere fino al febbraio scorso, toccando i 3,85 milioni. I dati degli ultimi mesi appaiono più incoraggianti, ma non sono bastati a risollevare l’immagine del presidente.
La crescita economica, inoltre, resta debole. Dopo i tre trimestri di recessione tra il 2012 e il 2013 e altre sei mesi stagnanti, il pil francese è ripartito nel 2014 e nel 2015. Ma nel secondo trimestre di quest’anno è nuovamente sceso in territorio negativo, toccando poi un deludente +0,2 per cento nel terzo trimestre.
Sul fronte sociale, non può certamente essere dimenticata la decisione di introdurre il “matrimonio per tutti”, che ha allargato le nozze alle persone omosessuali, suscitando l’ira delle destre. Hollande ha inoltre fatto adottare una legge che ha aperto le porte all’eutanasia, instaurando di fatto il diritto al suicidio assistito.
https://www.youtube.com/watch?v=ig7Rwvwl1T8
È stato invece il campo socialista a spaccarsi sulla proposta, avanzata in seguito agli attentati di Parigi del novembre 2015, di introdurre la perdita della cittadinanza nella Costituzione, estendendola anche ai “bi-nazionali” (coloro cioè che sono nati francesi: oggi la pena può essere comminata solo a chi ha acquisito la nazionalità successivamente). La forte opposizione all’interno della propria stessa maggioranza, che ha giudicato la scelta sostanzialmente inutile ai fini della lotta al terrorismo, lo ha convinto a rinunciare alla fine di marzo. Dopo mesi di logorio politico.
Lo scontro più importante con i sindacati è arrivato senz’altro al momento della presentazione della riforma del codice del lavoro. Una legge proposta dal ministro Myriam El Khomri, che ha segnato il divorzio tra Hollande e i rappresentanti dei lavoratori. Tutte le sigle, anche le più moderate, hanno contrastato con forza il “jobs act francese”, che facilita il licenziamento di tipo economico e flessibilizza le 35 ore di lavoro settimanali (che furono introdotte della presidenza socialista di François Mitterrand).
https://www.youtube.com/watch?v=aY2uOr6TyfQ
In tema di politica estera, infine, il quinquennato di Hollande è stato segnato dalle numerose crisi internazionali. Il ritiro dall’Afghanistan, previsto nel programma nel 2012, è rapidamente passato in secondo piano. Nel gennaio 2013 la Francia ha lanciato un’offensiva militare nel Mali, per contrastare l’avanzata del gruppo integralista islamico Aqmi, operazione terminata nel luglio del 2014.
Quindi, nel dicembre del 2013, le truppe transalpine sono sbarcate nella Repubblica centrafricana, in appoggio al presidente François Bozizé, minacciato dalla ribellione Seleka. Dopo gli attentati di Parigi, inoltre, l’aviazione francese è stata dispiegata in Siria per combattere a fianco della coalizione internazionale che lotta contro l’organizzazione Stato Islamico.
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