L’anno che sta per concludersi fa ben sperare per il futuro dell’energia solare. I dati globali sul fotovoltaico crescono, gli esempi positivi si moltiplicano. Sebbene resti molto lavoro da fare, seguire il sole ci manterrà sulla strada giusta.
Qualcuno sta continuando a emettere il gas che causa il buco dell’ozono
Una ricerca pubblicata su Nature afferma che le emissioni del gas messo al bando nel 2010 per proteggere lo strato d’ozono, hanno ricominciato a crescere. E non se ne conosce il motivo.
Non dovrebbe essere presente nella stratosfera, o comunque la sua concentrazione non dovrebbe certo salire, dato che la produzione è vietata dal 2010. Si tratta del triclorofluorometano o Cfc-11, gas impiegato negli aerosol o nei solventi e vietato dal protocollo di Montreal e che negli anni ha contribuito ad alimentare quello conosciuto come “buco” dell’ozono. Il gas continua però ad essere presente nell’atmosfera, con concentrazioni via via più elevate, misurate a partire dal 2012.
Lo rendono noto i ricercatori della Noaa (Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica) che in uno studio pubblicato su Nature, spiegano che la riduzione della concentrazione di Cfc-11 misurata è stata costante dal 2002 al 2012, ma che ha subito un deciso rallentamento (di quasi la metà) a partire dallo stesso anno. Aumento che si è registrato per lo più nell’emisfero meridionale, che in quello settentrionale, cosa che fa supporre ci possa essere stata una ripresa della produzione in Asia, ma non esistono ovviamente conferme.
“Gli attuali modelli scientifici mostrano che lo strato di ozono rimane sulla buona strada per il recupero entro la metà del secolo, ma il continuo aumento delle emissioni globali di Cfc-11 metterà a repentaglio tali progressi”, ha scritto l’Agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite in una nota. “Finché gli scienziati rimarranno vigili, la nuova produzione o l’emissione di sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono non passeranno inosservate”.
Perché il cloro è pericoloso per l’ozono
Tutta la classe dei clorofluorocarburi una volta rilasciati in atmosfera vanno ad interagire con le molecole di ozono (O3): il cloro reagisce con l’ozono sottraendogli una molecola d’ossigeno e formando così monossido di cloro (ClO) con liberazione di ossigeno (O2). La molecola di monossido di cloro, a sua volta, si scinde una volta in contatto con l’ossigeno, liberando nuovamente il cloro. E il ciclo ricomincia, causando appunto il decadimento graduale dello strato di ozono.
L’ozono stava tornando ai livelli normali
È stato per anni l’esempio di come le politiche a favore dell’ambiente potessero effettivamente risolvere un problema fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie sul pianeta. Con una scelta condivisa si mise al bando la causa, scientifcamente provata, per il bene comune.
Lo scorso gennaio era stata la stessa Nasa ad annunciare che le misurazioni dimostravano come la riduzione del cloro in atmosfera, avesse ridotto di circa il 20 per cento il decadimento dell’ozono durante l’inverno antartico, rispetto ai livelli misurati nel 2005, anno in cui si iniziarano le misurazioni satellitari. Insomma, il bando funzionava.
Ma oggi pare che le leggi del profitto, o forse della scarsa conoscenza scientifica, continuino ad avere la meglio. “Se queste emissioni continuano senza sosta, avranno il potenziale per rallentare il recupero dello strato di ozono”, scrive l’Agenzia. Sarà quindi necessario identificarne le cause, e adottare le misure necessarie quanto prima.
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