![In Brasile è andata a fuoco un’area grande come l’Italia, in appena un anno](https://cdn.lifegate.it/2VHH2RYG9gjlNtSdZRW825l4F6g=/470x315/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2025/01/brasile-incendi-pantanal.jpg, https://cdn.lifegate.it/LTahZk6XPYJbdyciqnsgKts5bCo=/940x630/smart/https://www.lifegate.it/app/uploads/2025/01/brasile-incendi-pantanal.jpg 2x)
Tra gennaio e 2024 gli incendi in Brasile si sono estesi su 308mila kmq, di cui il 58 per cento in Amazzonia. L’aumento è del 79 per cento sul 2023.
Per salvare gli oceani, LifeGate si è tuffata a capofitto in un progetto dedicato alla raccolta dei rifiuti nei nostri mari.
Cos’è l’oceano? Una domanda a cui rispondere è tanto semplice quanto complicato. È l’acqua che ricopre tre quarti del nostro pianeta e che ospita milioni di specie, molte delle quali ancora sconosciute. Non è soltanto questo, però. Le parole del pianista Ludovico Einaudi potrebbero essere d’aiuto: è così che il noto compositore italiano descrive il suo album capolavoro Le onde.
Se fosse una storia sarebbe ambientata sul lungomare di una spiaggia lunghissima. Una spiaggia senza inizio e senza fine. La storia di un uomo che cammina lungo questa riva e forse non incontra mai nessuno. Il suo sguardo si sofferma ogni tanto ad osservare qualche oggetto o frammento portato dal mare, le impronte di un granchio, un gabbiano solitario. Il paesaggio è sempre la sabbia, il cielo, qualche nuvola il mare. Cambiano solo le onde, sempre uguali e sempre diverse, più piccole, più grandi, più corte, più lunghe.
Se la musica di Einaudi è terapeutica, altrettanto lo è il suono dell’oceano. È una sinfonia che si intona alla perfezione con il battito del nostro cuore, come se la Terra l’avesse composta appositamente per farci sentire meglio. Per farci sentire a casa. Per qualcuno l’oceano è tutto: come per gli abitanti di Kiribati che senza non possono stare, ma ne potrebbero morire. Per altri è una missione: come per gli attivisti di Sea Shepherd, che solcano i mari sui loro vascelli per difenderli da chi li minaccia. Per i surfisti è adrenalina; per i pescatori è salvezza. Per tutti noi, è vita.
È per questo che l’8 giugno si festeggia la Giornata mondiale degli oceani. A proporne la nascita è stato il governo canadese nel 1992, al Summit della Terra tenutosi quell’anno a Rio de Janeiro. Dal 2008 la ricorrenza è riconosciuta dalle Nazioni Unite (Onu). L’obiettivo della Giornata è ricordarci che sono gli oceani a fare da collante tra le nazioni e i popoli della Terra, ma avvertirci che stanno soffocando perché li consideriamo la soffitta dove accantonare tutto quello che non ci serve più. Ogni anno produciamo più di 300 milioni di tonnellate di plastica: di queste, almeno 8 milioni finiscono in mare. Se non cambieremo stile di vita, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci.
La concentrazione di microplastiche nel mar Mediterraneo è tra le più alte al mondo – 1,2 milioni per chilometro quadrato. L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) le ha trovate in 121 specie di pesci, dato confermato da un altro studio condotto sui grandi pelagici, primo fra tutti il pescespada: il 18 per cento degli esemplari aveva rifiuti plastici nel tratto gastrointestinale.
Non c’è da stupirsi, perché ogni giorno nel Mediterraneo finiscono 731 tonnellate di plastica – cifra che potrebbe più che raddoppiare entro il 2025 – e di queste, 90 sono prodotte dall’Italia che è il terzo paese più inquinante del bacino. In base ai dati del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), sui fondali si troverebbero, in alcuni tratti, fino a 100mila pezzi di plastica per chilometro quadrato.
La posta in gioco è alta: il mar Mediterraneo è un ecosistema straordinario, dove la ricchezza di specie per area è circa 10 volte superiore alla media mondiale. In totale sono circa 17mila tra cui tartaruga liuto, caretta caretta, balenottera comune, capodoglio, cavalluccio marino, foca monaca, squalo toro, pesce trombetta… L’elenco è lunghissimo.
Certamente bisogna agire a monte, lavorando sulla corretta gestione dei rifiuti e sull’educazione dei turisti. È importante, però, anche impegnarsi a pulire dove già si ha sporcato: per questo in occasione della Giornata mondiale degli oceani 2018 è nata l’iniziativa LifeGate PlasticLess®, lanciata con Volvo Car Italia, a cui hanno aderito tante altre aziende. L’obiettivo del progetto è posizionare il maggior numero possibile di dispostivi mangia-plastica nei porti e nei circoli nautici d’Europa; veri e propri “cestini della spazzatura” per il mare in grado di raccogliere i detriti galleggianti, comprese le microplastiche da 5 a 2 millimetri di diametro e le microfibre da 0,3 mm. Finora ne sono stati installati trenta, ma la mappa è in costante aggiornamento.
Mai come in questo caso possiamo dire che tante gocce formano un oceano. Il nostro paese è stato il primo a fermare la produzione e la messa in commercio di cotton fioc di plastica e dal 2020 saranno banditi anche i cosmetici contenenti microplastiche. All’interno dell’Unione europea, la plastica monouso sarà vietata dal 2021 mentre tutti gli imballaggi dovranno essere riciclabili entro il 2030. Nel Mediterraneo cresce anche il numero di aree marine protette: in Sicilia e Sardegna ne sono recentemente nate due.
Ora spetta a ognuno di noi accettare la sfida e tuffarsi a capofitto in quest’impresa perché, come diceva Madre Teresa di Calcutta, “ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano, ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe”. Ed è proprio vero: se le leggi cambiano non è soltanto perché è necessario, ma anche perché sono i cittadini a chiederlo. Ed evitare di abbandonare una busta di plastica in spiaggia non è un’azione priva di conseguenze, al contrario può salvare una vita. Quella di una tartaruga che sta percorrendo migliaia di chilometri per raggiungere la spiaggia dove deporrà le proprie uova, per esempio. O quella di un cavalluccio marino che, ancorato ai coralli, resiste alla corrente insieme alla compagna che amerà per sempre.
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