Glifosato, un giudice federale degli Stati Uniti riconosce la pericolosità

Per la prima volta un giudice federale degli Stati Uniti si è pronunciato sul glifosato. Giudicandolo “un fattore sostanziale” nell’insorgenza dei linfomi.

Dopo numerosi giorni di camera di consiglio, un giudice federale degli Stati Uniti ha riconosciuto che il diserbante Roundup ha rappresentato “un fattore sostanziale” nell’insorgenza di un linfoma non Hodgkin in un cittadino californiano. Quest’ultimo, Edwin Hardeman, settantenne, ha utilizzato il prodotto a base di glifosato per trent’anni.

Il precedente di un tribunale della California

Si tratta della prima volta che un giudice federale si pronuncia su una questione simile. Nel 2018, era stato infatti un tribunale di livello inferiore – in California – a condannare la multinazionale che produce il Roundup, la Monsanto (oggi di proprietà di Bayer), a versare un risarcimento di 289 milioni di dollari a Dewayne Johnson, giardiniere affetto dalla stessa patologia. Indennizzo ridotto poi in secondo grado a 78 milioni.

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L’uso di pesticidi a base di glifosato è particolarmente diffuso in Europa © Sean Gallup/Getty Images

L’orientamento dei giudici statunitensi è d’altra parte in linea con i più recenti studi scientifici in materia. Nello scorso mese di febbraio, un gruppo di ricercatori delle università di Berkeley e Seattle, assieme alla Icahn School of Medicine di New York, ha pubblicato un’analisi sulla rivista scientifica ScienceDirect. Secondo la quale il rischio di linfomi cresce del 41% tra i lavoratori più esposti al glifosato.

Nel caso di Hardeman, quella che si è conclusa è infatti la prima parte del processo. Nel corso della quale i magistrati hanno valutato unicamente gli elementi scientifici apportati dalle due parti in causa. In una seconda fase – come riferito dal quotidiano francese Le Monde – verranno esaminate le eventuali pressioni esercitate dalla Monsanto al fine di influenzare le agenzie di controllo e gli scienziati, con l’obiettivo di nascondere la pericolosità del glifosato.

“Opinione pubblica manipolata sul glifosato”

“Siamo delusi dalla decisione, ma continuiamo a credere fermamente nel fatto che la scienza possa confermare che l’erbicida non è cancerogeno. Crediamo che gli elementi presentati per la seconda fase del processo dimostreranno l’appropriatezza della condotta della Monsanto”, ha commentato un portavoce del colosso dell’agrochimica.

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Gli avvocati di Hardeman hanno replicato convinti delle loro ragioni: “Ora potremo analizzare gli elementi che consentono di provare che la multinazionale non ha adottato un approccio responsabile e obiettivo nella valutazione della sicurezza del Roundup. È chiaro che l’azienda ha agito senza preoccuparsi di sapere se il prodotto fosse o meno suscettibile di provocare patologie tumorali, manipolando l’opinione pubblica e attaccando tutti coloro che manifestavano dubbi.

La sentenza finale che verrà pronunciata sarà fondamentale, dal momento che rappresenterà la giurisprudenza sulla quale si baseranno le migliaia di altri processi simili che sono stati intentati negli Stati Uniti.

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Manifestazioni di protesta contro l’uso del glifosato © John Thys/AFP/Getty Images

La Corte di giustizia dell’Unione europea impone l’accesso ai documenti della multinazionale

Nel frattempo, un altro giudizio di particolare importanza è stato pronunciato. Stavolta nel Vecchio Continente, dove la Corte di giustizia dell’Unione europea ha annullato una decisione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Riconoscendo “l’interesse pubblico ad accedere alle informazioni” in materia di ambiente come superiore rispetto agli interessi commerciali dell’azienda.

La sentenza è arrivata grazie ad una denuncia depositata nel marzo del 2016 da un gruppo di parlamentari europei del gruppo dei Verdi. I deputati avevano chiesto di poter accedere agli studi tossicologici forniti dalla Monsanto all’Efsa, sulla cui base quest’ultima aveva affermato che il glifosato non sarebbe cancerogeno. Contrariamente a quanto decretato dall’Organizzazione mondiale della sanità, che nel 2015 ha inserito la sostanza nell’elenco di quelle “probabilmente cancerogene”.

I parlamentari ecologisti avevano però ottenuto soltanto una parte degli studi, dopo un lungo braccio di ferro. L’Efsa aveva affermato infatti che «la divulgazione delle informazioni potrebbe nuocere seriamente agli interessi commerciali e finanziari dell’impresa”. Il tribunale, al contrario, ha ritenuto che i cittadini hanno diritto ad accedere a tutte le informazioni. Michèle Rivasi , eurodeputata del gruppo del Verdi, ha giudicato la decisione della Corte di giustizia “una vittoria della trasparenza, essenziale per il lavoro degli scienziati”.

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