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Persino il raggiungimento di un accordo di pace può causare la deforestazione: è solo uno dei dati sconvolgenti presentati da Global forest watch. Ma la soluzione è a portata di mano.
Nel 2017 abbiamo perso una foresta grande quanto un campo da calcio al secondo. Si arriva complessivamente a 29,4 milioni di ettari distrutti, superficie paragonabile a quella del nostro paese.
Lo ha rivelato Global forest watch, piattaforma del World resources institute che sfrutta Google maps per monitorare lo stato di salute della vegetazione mondiale, collaborando con l’Università del Maryland. La perdita di alberi non è dovuta soltanto alla deforestazione, ma anche a cause naturali tra cui gli incendi. Va precisato, però, che fenomeni meteorologici estremi come gli uragani – che hanno gravemente danneggiato i Caraibi – sono più frequenti a causa dei cambiamenti climatici.
Le zone tropicali, le più soggette alla deforestazione, hanno perso in totale 15,8 milioni di ettari di superficie alberata: l’equivalente del Bangladesh. E non è nemmeno il dato peggiore degli ultimi 16 anni. La Colombia, che nel 2018 ha annunciato la creazione di una delle aree protette più grandi al mondo, è stata la nazione ad aver sofferto di più: rispetto al 2016 la perdita di foreste è aumentata del 46 per cento, soprattutto nelle regioni sul confine della foresta amazzonica. Paradossalmente, questo drammatico incremento è dovuto soprattutto al fatto che le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) hanno abbandonato, in seguito all’accordo di pace con il governo, foreste che prima erano sotto il loro controllo garantendone l’impenetrabilità.
Per la Repubblica Democratica del Congo il 2017 è stato addirittura l’anno peggiore dall’inizio dei rilevamenti nel 2001, principalmente a causa dell’agricoltura e della produzione di carbone. Buone notizie arrivano invece dall’Indonesia, che ha visto una riduzione nella perdita di foreste vergini del 60 per cento, con punte dell’88 per cento nelle aree che dal 2016 sono protette da attività che rischiano di alterare le qualità idrologiche della torba.
The @UMD_GLAD #2017TreeCoverLoss data just released on @globalforests shows 2017 was the second-worst year on record for tropical tree cover loss. Learn more https://t.co/VflUhwd2QJ pic.twitter.com/6kgxy5tv7q
— Global Forest Watch (@globalforests) 27 giugno 2018
Si stima che solo il 15 per cento delle foreste esistenti prima della civiltà umana sia ancora intatto. “Perché stanno scomparendo non è un mistero: ampie zone continuano ad essere disboscate per coltivare soia e olio di palma, per il legname o l’allevamento”, ha spiegato Frances Seymour, del World resources institute, al quotidiano britannico Guardian. “In molti casi la deforestazione è illegale e collegata alla corruzione”.
Oltre a danneggiare la fauna selvatica, è evidente che tagliare alberi ci priva di alleati importanti nella lotta ai cambiamenti climatici: tutelando le foreste, infatti, si possono risparmiare fino a 7 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno, una cifra da capogiro. Per proteggerle c’è bisogno di aiuto, ma sappiamo già da chi potrebbe arrivare: i popoli indigeni. Per questo la loro presenza è spesso ritenuta scomoda da chi nutre interesse economici, al punto da mettere in pericolo la loro stessa vita: i dati di Global forest watch dimostrano che dove vivono, la perdita di foreste si dimezza.
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