Dove sono andate per portare una petizione contro il riscaldamento globale e per la protezione dei migranti climatici.
“I governi cambiano, ma le persone restano”. Le battaglie dei giovani per il clima di cui nessuno parla
Dall’Italia al Sudafrica passando per Thailandia e Uganda: chi sono i giovani attivisti che lottano per il clima.
Alcuni si sono uniti ai Fridays for future, il movimento internazionale di protesta degli studenti, e hanno deciso di scioperare, altri hanno seguito strade diverse; alcuni protestano contro la plastica, altri contro l’uso di combustibili fossili. Tutti però sono accomunati dallo stesso scopo: salvare la Terra. Facciamo un giro del mondo per scoprire chi sono i ragazzi, oltre alla svedese Greta Thunberg, che stanno lottando per il clima. Tra di loro, anche alcuni italiani.
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Chi sono i giovani che stanno cercando di cambiare il mondo
Italia, Miriam, 16 anni
Miriam Martinelli ha 16 anni e ha carisma da vendere. È una degli esponenti dei Fridays for Future di Milano ed è anche la sua voce che si sente chiamare i cori durante gli scioperi. Capelli lunghi e occhiali tondi, frequenta un istituto agrario. Sogna di laurearsi e di entrare in politica. E di sicuro l’attitudine non le manca. Il primo febbraio è scesa in piazza per la prima volta e da lì non ha più smesso. “Continuerò fino a quando le leggi non cambieranno” afferma con sicurezza.
“Ho capito che se volevo cambiare il mondo dovevo cambiare prima io”Miriam, 16 anni
“I mezzi di informazione cercano solo dei personaggi, ma non ascoltano”, risponde così a chi dice che manca un leader italiano in cui identificarsi. In casa fa quello che può, come tutti: sta attenta alla raccolta differenziata, si sta impegnando per diventare vegetariana, si sposta solo con i mezzi pubblici e cerca di tenere il riscaldamento il più basso possibile. Piccole azioni quotidiane che fanno la differenza, perché per cambiare il mondo dobbiamo cambiare prima le nostre abitudini.
Italia, Alice, 10 anni
10 anni e un cartello colorato con scritto “save the world”, salviamo il mondo. Così Alice Imbastari ha conquistato il cuore e le menti degli abitanti di Nettuno, nel Lazio. Da febbraio di quest’anno, ogni venerdì pomeriggio, si reca sulla spiaggia della sua città e raccoglie i rifiuti che trova. Un modo semplice ed efficace per fare la sua parte nel mondo. Per tre anni ha vissuto nel Regno Unito con i suoi genitori, dove ha sentito parlare per la prima volta di Greta Thunberg. “Io ho sempre amato la natura, le piante e gli animali. Infatti, voglio diventare una veterinaria. Greta parla proprio di quello che interessa a me, mi sembrava una cosa bella quella che stava facendo”.
“Il pianeta va a male come la frutta”Alice, 10 anni
Così una volta tornata in Italia ha cercato un modo, a misura di quarta elementare, per aiutarla, perché come dice Greta, “non si è mai troppo piccoli per fare la differenza”. Inizialmente erano solo lei e i genitori a pulire la spiaggia, ma poi la sua passione ha contagiato anche i suoi compagni di scuola e i bagnanti creando una vera e propria squadra di sorveglianza per quella spiaggia. La sua intraprendenza l’ha portata ad aprire il primo sciopero generale di Fridays for future a Roma il 15 marzo scorso e a parlare al Cortile di San Francesco il 20 settembre, evento di incontro e dialogo dei protagonisti della società civile, dell’economia, del mondo della religione, della cultura e dell’informazione, tenutosi ad Assisi.
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Stati Uniti, Xiye, 17 anni
Abbiamo incontrato la diciassettenne Xiye Bastida durante lo sciopero di New York del 20 settembre. Originaria del Messico, è una dei volti dei Fridays for future americani e ha preso parte agli scioperi fin dagli inizi del movimento, chiedendo uno stop all’uso di combustibili fossili, una transizione giusta verso le energie rinnovabili e più giustizia per le comunità in prima linea.
“Non vi stiamo dicendo, ‘è stata colpa vostra’. Stiamo dicendo che siamo consapevoli di quello che sta succedendo e abbiamo bisogno di voi”Xiye Bastida, 17 anni
È entusiasta di come si è svolta la giornata di venerdì scorso e del fatto che fosse una protesta multigenerazionale. “Abbiamo bisogno degli adulti, loro hanno il potere di voto”, ci ha raccontato, “possono usare la democrazia per salvare il nostro futuro”. Sabato 21, in occasione del Youth climate summit, ha parlato alle Nazioni Unite al fianco di Greta Thunberg.
Uganda, Leah, 15 anni
It’s not too late to stand up for #ClimateAction. Stand up today and be part of a caring generation. @GretaThunberg #ClimateStrike #ClimateCrisis pic.twitter.com/xZZVZh0sz8 — Leah Namugerwa (@NamugerwaLeah) September 15, 2019
Leah Namugerwa, 15 anni, ha le idee chiare. Originaria del distretto di Mukono, Uganda, negli anni ha visto il paesaggio intorno a casa sua mutare drasticamente. La foresta che si estendeva sulle colline circostanti è andata via via diminuendo per far posto alle abitazioni. Ma lei ha detto basta: “Se gli adulti non prendono l’iniziativa, lo farò io”. E così ha organizzato manifestazioni e proteste, anche se inizialmente nemmeno i genitori la prendevano sul serio.
“Perché dovrei restare in silenzio a non fare niente? I giovani devono parlare di ciò che sta loro a cuore, perché i governi cambiano, ma le persone restano.”Leah, 15 anni
Poi qualcosa è cambiato e suo padre ha iniziato ad accompagnarla ad ogni evento. Leah ha creato due progetti diversi, ma ugualmente potenti: uno per riforestare la zona dove abita e uno per ridurre l’uso di sacchetti di plastica. Il primo, rappresentato sotto l’hashtag #birthdaytrees, vuole portare i giovani ugandesi a piantare degli alberi nel giorno del loro compleanno, perché “sprechiamo tanto cibo per festeggiare, ma non celebriamo mai la Terra”. Così, per dare il buon esempio, il giorno del suo compleanno è scesa in strada e ha piantato 200 alberi, invitando altri a fare lo stesso.
We’re girls from Uganda we celebrate our birthdays by planting trees. I’ve free tree samplings for everyone who would like to celebrate his/her birthday like I do. #Birthdaytrees pic.twitter.com/N0SyBSkiSA
— Leah Namugerwa (@NamugerwaLeah) September 24, 2019
Il secondo progetto invece vuole ridurre il numero di buste di plastica utilizzate, considerate uno dei maggiori contributori all’inquinamento dell’Uganda. Anche grazie al suo intervento, nel paese è aumentato l’interesse verso l’ambiente: “ha semplificato il messaggio e l’ha reso comprensibile a tutti” hanno dichiarato i suoi concittadini, entusiasti delle due iniziative.
Thailandia, Lilly, 12 anni
Cresciuta in una famiglia da sempre attenta all’ambiente, Ralyn Satidtanasarn, detta Lilly, si sente una bambina in guerra contro il mondo. A otto anni è rimasta shockata dalla quantità di plastica presente sulle spiagge thailandesi e ha deciso di fare qualcosa. Inizialmente pensava di essere troppo giovane, ma poi ha sentito parlare di Greta. Così si è unita al gruppo I’m a trash hero, sono un eroe dell’immondizia, e ha iniziato a raccogliere i rifiuti abbandonati. “Quando utilizzavo il mio paddle, remavo letteralmente in mezzo ai rifiuti” ha raccontato Lilly. Ed è da qui che è partita la sua battaglia.
“Cerco di essere ottimista, ma dentro sono furiosa: il nostro mondo sta scomparendo”Lilly, 12 anni
Anche lei aveva iniziato con gli scioperi fuori dal parlamento, ma i politici non le prestavano attenzione. Non si è fatta scoraggiare però. “Se il governo non mi ascolta, bisogna parlare direttamente con chi distribuisce i sacchetti”. E così dopo qualche mese, è arrivata la prima vittoria: la Central, marchio della grande distribuzione thailandese, ha acconsentito a non distribuire sacchetti usa e getta una volta alla settimana e altre catene si sono impegnate a fare lo stesso entro il 2020. La mamma, ex militante ecologica, è rimasta piacevolmente sorpresa dalla forza della figlia: “inizialmente pensavo fosse un capriccio, ma dovreste vedere la sua determinazione con i vostri occhi”.
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Bolivia, Adriana, 19 anni
Adriana Salazar (19, La Paz), law student and member of the Aymara indigenous community.
“The kids, the indigenous communities, pregnant women, they’ll see the effects while the higher classes will avoid the worst of it.” pic.twitter.com/K0AdrQgWiS
— Flannery (@falnn) September 21, 2019
Adriana Salazar è una studentessa di legge che sta chiedendo ai governi del mondo di riconoscere formalmente i diritti della Terra. Ha 19 anni e arriva da una piccola comunità indigena delle Ande. Qui, i contadini non sono riusciti a sopravvivere alla siccità del 2016 e si sono dovuti spostare nelle vicine città, già sovraffollate. Dopo il periodo di siccità, la sua comunità è stata colpita prima da una forte ondata di gelo che ha completamente distrutto i raccolti e poi, più recentemente, dai fuochi dell’Amazzonia. “Non so in che mondo vivranno i mei figli”, dice.
“La Terra deve essere riconosciuta come un soggetto giuridico, non come un oggetto”Adriana, 19 anni
Ma Adriana non si rassegna. All’università si impegna, studia e spera un giorno di poter fare la differenza. E la sta già facendo: da qualche tempo si sta adoperando per raccogliere più denaro per il Green Climate Fund, il cui scopo è sostenere gli sforzi dei Paesi in via di sviluppo nel rispondere alla sfida del surriscaldamento globale, limitando le emissioni di gas serra o favorendo politiche di adattamento.
India, Nikhil, 24 anni
Nikhil Kalmegh ha fatto dell’informazione climatica la sua battaglia. A marzo, è sceso nelle strade della sua città, Mumbai, insieme ai suoi amici, e ha iniziato ad educare le persone circa gli effetti dei cambiamenti climatici. Il suo interesse è partito da un rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, che esortava le nazioni a frenare le emissioni di Co2. Venerdì scorso ha parlato al Kalsekar college a Mumbra e si è detto piuttosto sorpreso dalla mancanza di azioni concrete contro la crisi climatica: “l’Accordo di Parigi è stato firmato nel 2015, ma sembra che nessun politico stia facendo il benché minimo sforzo per rispettarlo”.
“Dobbiamo parlare di questo argomento perché le persone conoscono il problema, ma non ne comprendono la gravità”Nikhil, 24 anni
Nikhil vede i cambiamenti climatici colpire quotidianamente la sua vita e sa che i primi a scomparire saranno gli agricoltori: “c’è una perenne crisi dell’acqua e siamo costretti a comprare quella potabile; le persone muoiono ogni giorno per via dell’inquinamento dell’aria e nessuno fa niente”. Vuole che l’India dichiari l’emergenza climatica al più presto: “Avremo una possibilità solo se il governo farà della crisi climatica la sua priorità e fermerà la deforestazione in nome del progresso”. Venerdì 27 parteciperà al terzo sciopero mondiale per il clima e sta cercando di radunare più persone possibili per poter finalmente spingere il governo ad agire.
Sudafrica, Ruby e Ayaka, 18 e 17 anni
Ruby Sampson e Ayakha Melithafa sono due ragazze di Città del Capo che vedono gli impatti della crisi climatica su base giornaliera. “Viviamo come si vivrà ovunque quando la crisi climatica colpirà”. Periodi di siccità che sembrano non finire mai e uno stress idrico che ha pesanti conseguenze sulla salute delle comunità. Ayaka ha vissuto quello di cui parla sulla propria pelle: “l’acqua del nostro rubinetto era contaminata. Mio fratello l’ha bevuta per sbaglio e si è ammalato”. Per un certo periodo non hanno avuto acqua potabile in casa ed erano costretti a razionare quella che riuscivano a recuperare. “Vedo quanto tutto questo incida sulla vita delle persone di colore”, racconta, “ma a volte, quando si parla di cambiamenti climatici, non sanno come dar voce ai loro problemi. Spero di essere questo per loro: una voce”.
“Voi morirete di vecchiaia, noi moriremo di cambiamento climatico”Ruby e Ayaka, 18 e 17 anni
Ruby ha avuto un’esperienza simile: insieme alla sua famiglia hanno viaggiato in oltre 36 paesi dell’Africa ed è rimasta sconvolta da quello che ha visto. “Non si tratta più di salvare gli orsi, si tratta di salvare noi” dice. Insieme hanno fondato il Youth and pan african climate alliance, l’alleanza dei giovani pan-africani per il clima, nella speranza di unificare tutti i piccoli gruppi di attivisti. Fino ad oggi sono riuscite a raggiungere 37 scuole e insieme chiedono a gran voce di cessare l’uso di combustibili fossili, di petrolio e di gas. Esattamente come i giovani del Fridays for future. Loro non saltano le lezioni però, “non è etico: i nostri genitori hanno fatto grossi sacrifici per garantirci un’istruzione”.
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Durante il Youth Climate Summit, tenutosi a New York venerdì 21 settembre, sedici ragazzi proveniente da ogni parte del mondo hanno proposto una petizione al Comitato dell’Onu sui diritti dell’infanzia per considerare le cinque potenze economiche mondiali responsabili della mancanza di azioni concrete contro la crisi climatica. Tra i firmatari figura anche Ayakha Melithafa.
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