Secondo i dati preliminari il 2023 è stato un anno anomalo, in cui l’assorbimento netto della CO2 da parte degli ecosistemi terrestri si è quasi azzerato.
Incendi senza precedenti stanno devastando l’Artico
Le immagini satellitari mostrano i roghi che, nelle ultime settimane, stanno bruciando il Circolo polare artico e la foresta boreale con gravi conseguenze per gli habitat e il clima.
Erano almeno 10mila anni che le foreste del Circolo polare artico non ardevano a questa velocità. Le elevate e anomale temperature registrate nell’Artico nelle ultime settimane hanno provocato, tra giugno e luglio, lo scoppio di numerosi gravi incendi che stanno distruggendo foreste e torbiere, provocando una catastrofe ecologica e contribuendo all’immissione di enormi quantità di CO2 nell’atmosfera. La grande portata dei roghi è testimoniata dalle immagini satellitari pubblicate da Pierre Markuse, esperto tedesco di fotografia satellitare.
Apocalisse artica
Le immagini riprese dal satellite Sentinel mostrano i roghi scoppiati in Groenlandia, Siberia, Alaska e Canada, con ampi pennacchi di fumo che si sollevano dalla tundra, in vaste aree di terra disabitata e selvaggia.
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Una catastrofe climatica
Oltre a danneggiare gravemente gli ecosistemi artici e la fauna e la flora che li popolano, gli incendi stanno provocando l’emissione di molta CO2, esacerbando ulteriormente la crisi climatica globale. I roghi scoppiati tra il primo giugno e il 21 luglio, secondo quanto riferito da Mark Parrington, scienziato del Copernicus atmosphere monitoring service (Cams), hanno causato il rilascio di circa cento milioni di tonnellate di CO2, una quantità più o meno equivalente alle emissioni complessive del Belgio nel 2017.
I think it’s fair to say July Arctic Circle #wildfires are now at unprecedented levels having surpassed previous highest #Copernicus GFAS estimated July total CO2 emission (2004/2005), & last month’s 50 megatonnes (https://t.co/pGPoLaz2Q0
), and still increasing @DrTELS pic.twitter.com/c1usbimzG7— Mark Parrington (@m_parrington) 22 luglio 2019
Una situazione senza precedenti
In questo breve lasso di tempo, riferiscono gli scienziati, è stato rilasciato in atmosfera l’intero quantitativo di biossido di carbonio emesso tra il 2010 e il 2018 da tutti gli incendi scoppiati nell’Artico. “Penso che sia giusto dire che gli incendi che hanno colpito il Circolo polare artico a luglio hanno raggiunto livelli senza precedenti”, ha twittato Parrington. “Dall’inizio di giugno il Cams ha monitorato oltre cento incendi intensi e di lunga durata nel Circolo polare artico – si legge in un comunicato dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm). – La parte settentrionale del mondo si sta riscaldando più velocemente del resto pianeta e questo calore sta seccando le foreste rendendole più vulnerabili agli incendi”.
Pericolo avvelenamento
Nonostante le fiamme siano divampate nelle selvagge e disabitate distese artiche, anche le persone sono minacciate dai loro effetti. “Gli incendi boschivi emettono diversi tipi di sostanze inquinanti – ha messo in guardia il Cams – molte delle quali possono influire sulla nostra salute. Il vento può trasportare l’inquinamento a migliaia di chilometri di distanza dalla sua fonte, influenzando la qualità dell’aria in tutto il mondo”.
Alaska tra le fiamme
I roghi in Alaska, favoriti dalle temperature straordinariamente elevate, sono ancora fuori controllo e stanno incenerendo ampie aree di foresta. I quasi 260 incendi, la maggior parte dei quali innescati dai fulmini, hanno bruciato circa 900mila ettari di territorio, soprattutto nel nord dello stato. “È insolito vedere fuochi di tale portata e durata a queste latitudini a giugno”, ha dichiarato Parrington. Le fiamme hanno raggiunto anche la penisola di Kenai, situata sulla costa meridionale dell’Alaska. L’incendio non sembra in espansione e viene monitorato dai vigili del fuoco per assicurarsi che non minacci le linee elettriche e altre infrastrutture.
Record-breaking heat in #Alaska has exacerbated clusters of wildfires burning throughout the state. https://t.co/8zqVC5JAjx #NASA #MODIS #fire pic.twitter.com/64zL7gYETx — NASA Earth (@NASAEarth) 11 luglio 2019
Perché gli incendi durano così tanto
L’estensione e la durata degli incendi fanno supporre che stiano andando a fuoco non solo le foreste, ma anche le torbiere, ovvero i più grandi depositi naturali di carbonio sul pianeta. In questi ambienti si forma e si deposita la torba, combustibile fossile derivato dalla parziale carbonizzazione di detriti e depositi vegetali in acqua. In condizioni naturali la torba, composta in prevalenza da acqua, è in grado di impedire la propagazione degli incendi boschivi. Ma l’uomo ha saccheggiato le torbiere per i suoi scopi prosciugandole e poche cose in natura sono infiammabili come la torba asciutta. Gli incendi delle torbiere, a differenza di quelli boschivi che si esauriscono entro pochi giorni al massimo, possono ardere incessantemente per settimane e, addirittura, mesi. Gli incendi che bruciano le torbiere provocano inoltre il rilascio di grandi quantità di CO2. Spegnere gli incendi che stanno devastando ampie zone dell’Artico è pressoché impossibile, poiché scoppiati in aree remote e inaccessibili. L’unica speranza è riposta nella pioggia.
Visualizza questo post su InstagramImagine an area about the size of Switzerland on fire. That’s what’s happening in the Siberian forest right now. #SaveSiberianForests in our stories. . . . #forests #forestfires #climateemergency #burning #hot #heatwave #destruction #Russia #Siberia #Arctic #climatebreakdown #climatechange #fire #onfire #trees #nature #beauty #green #help
Permafrost a rischio
Gli incendi stanno inoltre accelerando lo scioglimento del permafrost, il grande strato di ghiaccio che copre buona parte dell’Artico, già provato dal riscaldamento globale. La fusione del permafrost avrebbe conseguenze catastrofiche: intrappolate al suo interno si trovano infatti miliardi di tonnellate di gas serra. Secondo uno studio pubblicato lo scorso aprile su Nature, nei terreni ghiacciati dell’emisfero settentrionale sono immagazzinati quasi 1.600 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio di quanto ne contiene l’atmosfera. È inoltre probabile che nei ghiacci artici si celino antichi virus che potrebbero tornare a minacciare uomini e animali.
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