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La fame crea guerra, la guerra crea fame
In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, l’ong Azione contro la fame traccia, numeri alla mano, le linee del legame bilaterale tra guerra e fame. Un circolo vizioso che deve essere rotto.
La guerra crea fame e la fame scatena conflitti. I dati allarmanti del rapporto Guerra e Fame di Azione conto la fame confermano un legame strettissimo e devastante tra le due dinamiche. Se i governi e le istituzioni sovranazionali non riusciranno a ridurre i conflitti e a garantire il rispetto dei principi stabiliti dal diritto internazionale umanitario vedremo crescere ulteriormente il numero di persone che soffrono la fame, vanificando i progressi faticosamente conquistati in questi ultimi quindici anni.
L’esperienza di Azione contro la fame in circa 50 Paesi del mondo ha fornito numerose prove del rapporto bilaterale tra guerra e fame: da una parte le guerre distruggono mercati e mezzi di sostentamento e producono spostamenti massicci di popolazione, che innescano un elevato rischio di insicurezza alimentare; dall’altra, l’insicurezza alimentare e la competizione per le risorse naturali o il cibo è all’origine di gran parte dei conflitti attivi oggi nel mondo.
Le cifre di questo legame parlano chiaro:
- 1 Paese su 4 nel mondo ha un conflitto in corso
- 6 persone su 10 che soffrono la fame vivono in un Paese in conflitto
- 122 dei 151 milioni di bambini colpiti da malnutrizione cronica vivono in un Paese in conflitto
- In 24 paesi su 46 con conflitti attivi, la prevalenza di malnutrizione acuta è superiore al 30 per cento
- Il 77 per cento dei conflitti ha all’origine l’insicurezza alimentare della popolazione
- Nel 2017 è stato superato il record di sfollati dalla seconda guerra mondiale, con 66 milioni di persone. Più della metà sono sfollati a causa della violenza, una cifra che si è raddoppiata tra il 2007 e il 2015.
Un circolo vizioso
La violenza, specialmente nelle guerre moderne che colpiscono in modo massiccio la popolazione civile, provoca spostamenti di massa di persone che fuggono con ciò che è rimasto, abbandonano i loro mezzi di sostentamento e si concentrano in luoghi con acqua e servizi igienici precari dove dipendono dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Il numero di sfollati a causa della violenza è raddoppiato tra il 2007 e il 2015 e si calcola che una persona sfollata trascorra in media più di 17 anni nei campi profughi o presso le popolazioni ospitanti, creando per di più tensioni e concorrenza per le risorse naturali o l’occupazione.
Leggi anche: Indice globale della fame 2018, Daniela Bernacchi di Cesvi racconta il legame con le migrazioni
Nelle guerre le colture vengono abbandonate, i periodi di semina e raccolta saltano, l’offerta ai mercati viene interrotta, così come le vie di trasporto e approvvigionamento: tutto questo ha un impatto feroce sulla popolazione. A sua volta, l’aumento dei prezzi del cibo e delle materie prime ha scatenato molti dei conflitti attuali. In diversi contesti, come nel Sahel, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, la siccità e la competizione per i pascoli sempre più asciutti hanno generato tensioni tra le popolazioni pastorali, fino a sfociare in veri e propri conflitti.
Ed esiste una dimensione del problema che non dobbiamo dimenticare: l’uso crescente della fame come arma di guerra, attraverso l’assedio sistematico di civili, l’attacco alle infrastrutture di base per l’acqua e il sostentamento, il blocco degli aiuti umanitari. Si tratta di una tendenza in aumento in conflitti sempre più spesso combattuti da gruppi armati con poche risorse militari, che trovano quindi nella fame un’arma di guerra molto economica e praticabile.
Testimonianze dalle peggiori crisi umanitarie al mondo
Il rapporto analizza 13 casi concreti di aree e Paesi in conflitto, tra cui alcuni particolarmente significativi, come quello in Yemen, dove la guerra civile dal 2014 fino a oggi ha causato oltre 16mila vittime e dove 22 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari. Purtroppo l’accesso all’assistenza di base, come cibo o medicine, è complesso e limitato a causa dell’embargo e delle restrizioni imposte al Paese. Raggiungere le vittime con gli aiuti umanitari è quindi difficilissimo e non vengono rispettati i corridoi umanitari.
Bra e sua madre, Salouna, sono arrivate nel centro di stabilizzazione di Hayis dopo diversi mesi di cammino, da quando sono fuggite a causa degli scontri nella loro città, Taiz. Bra ha 9 mesi e pesa a malapena 4 chili, il peso di un neonato. “È stato molto difficile trovare cibo e per questo siamo venute qua. Ma abbiamo bisogno di aiuto”, sussurra Saloua. La metà dei bambini yemeniti soffre di malnutrizione cronica: non ha accesso alle sostanze nutritive di cui i loro corpi hanno bisogno per crescere, riducendo la loro capacità di apprendere e prosperare.
La malnutrizione mette direttamente in pericolo la vita delle persone, indebolendo anche il sistema immunitario. In Yemen, le persone muoiono a causa di malattie normalmente curabili come il colera o la polmonite. Le madri che allattano, i bambini e gli anziani sono particolarmente vulnerabili.
Il team di Azione contro la fame, composto da 320 persone, sta lavorando in Yemen con enormi difficoltà: dopo quasi quattro anni di guerra e nonostante tutti gli sforzi per porre fine allo sfollamento, alla fame e alle malattie, lo Yemen rimane il teatro della peggiore crisi umanitaria al mondo.
Una soluzione politica
Il 24 maggio le Nazioni Unite hanno adottato la risoluzione 2417, invitando tutte le parti in conflitto a conformarsi al diritto umanitario internazionale, che vieta gli attacchi contro i civili e contro le infrastrutture civili critiche – incluse fattorie, mercati, sistemi idrici e altri elementi essenziali per produrre e distribuire alimenti. La risoluzione incita anche il Segretario Generale ad allertare il Consiglio di Sicurezza in quei contesti dove un conflitto minaccia la sicurezza alimentare.
Speriamo che questa risoluzione porti l’impegno politico ai massimi livelli, evitando il deteriorarsi di gravi crisi alimentari, perché per rompere il circolo vizioso tra guerra e fame è necessario un approccio globale che garantisca la stretta aderenza al diritto internazionale umanitario, la responsabilità per la non conformità ad esso e la mobilitazione ai massimi livelli nel caso di uso della fame come arma di guerra. Speriamo che questa risoluzione porti l’impegno politico ai massimi livelli, evitando il deteriorarsi di gravi crisi alimentari. Soprattutto, speriamo che alle dichiarazioni seguano i fatti.
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