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Congo, indagine dell’Onu conferma gli abusi sui nativi da parte dei guardaparco finanziati dal Wwf
Il progetto del Wwf, volto alla trasformazione dell’area di Messok Dja in parco nazionale, ha causato ai pigmei Baka “traumi e sofferenze”.
L’area di Messok Dja, nella Repubblica Democratica del Congo, fa parte della foresta transfrontaliera Dja-Odzala-Minkebe, che si estende tra Camerun, Congo e Gabon, ed è uno dei lembi di foresta più antichi rimasti nel bacino del Congo. L’area ospita una ricca biodiversità, che comprende la più grande popolazione di elefanti del Paese, numerose specie di primati, tra cui gorilla di pianura occidentali e scimpanzé, e il raro uccello picatarte collogrigio (Picathartes oreas).
In questo luogo quasi incontaminato vivono anche circa ottomila persone, di cui circa trecento indigeni Baka, tribù di pigmei cacciatori-raccoglitori che dipende dalla foresta per la propria sussistenza. Il futuro dei Baka è però minacciato dal progetto del Wwf di trasformazione dell’area di Messok Dja in un parco nazionale. Nell’area protetta non ci sarebbe infatti più posto per i nativi, vittime di abusi e violazioni dei diritti umani da parte dei guardaparco.
L’indagine dell’Onu
Nel 2018 Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, aveva formalmente denunciato i soprusi contro i nativi da parte delle squadre anti-bracconaggio sostenute e finanziate dal Wwf. Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) aveva allora avviato un’indagine.
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Violenze e soprusi ai danni dei Baka
Gli investigatori dell’Onu, secondo quanto riportato dal Guardian che è entrato in possesso di una copia dei risultati preliminari dell’indagine, avrebbero raccolto numerose prove che testimoniano gli abusi da parte dei guardaparco cui sono stati sottoposti i nativi. Dal rapporto è emerso che i Baka sono vittime di pestaggi, sfratti sommari dai loro accampamenti nella foresta, distruzione di proprietà e confisca del cibo. Si parla anche di torture e stupri nelle prigioni dove vengono incarcerati i Baka.
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Una donna ha riferito che il marito, arrestato dai guardaparco a Messok Dja, e poi imprigionato con la falsa accusa di bracconaggio, è stato vittima di gravi maltrattamenti in prigione ed è morto appena dopo il rilascio. Inoltre, in base alle testimonianze raccolte dagli investigatori dell’Onu, i guardaparco tratterebbero i nativi come subumani, umiliandoli e costringendoli ad azioni degradanti.
Violazione del diritto internazionale
Il progetto di creazione del parco nazionale Messok Dja, ha commentato Survival, “è stato portato avanti senza ottenere il consenso delle popolazioni indigene, violando così il diritto internazionale e le stesse politiche del Wwf”, presumendo che il progetto di conservazione avrebbe avuto ricadute positive anche sui nativi. Le comunità locali si sono invece mostrate fin da subito contrarie al progetto, ma le loro rimostranze sono state ignorate e non è stato fatto nulla per renderle partecipi del progetto.
“Non hanno chiesto la nostra opinione – ha affermato una donna Baka – ci hanno dato un ordine. Ci hanno detto: Questo è il parco e non potete più entrarci. Non è più la nostra foresta. L’hanno presa con la forza e non ci è più permesso entrare”.
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Il monito di Survival
“Siamo di fronte a un atto d’accusa devastante che dovrebbe segnare la fine del modello della “conservazione fortezza” promosso dal Wwf, responsabile di aver provocato così tanti danni sia alle persone che all’ambiente in tutta l’Africa – ha dichiarato Stephen Corry, direttore generale di Survival International -. Trent’anni fa abbiamo detto al Wwf che i suoi progetti nel bacino del Congo rischiavano di privare i popoli indigeni delle loro terre e della loro autosufficienza, e di ridurli in povertà. L’abbiamo ripetuto molte volte, ma il nostro monito è sempre caduto inascoltato. Il Wwf è implicato in un furto di terra e in gravi violazioni di diritti umani su larga scala”.
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In pericolo lo stile di vita dei Baka
Nonostante il parco non sia ancora stato effettivamente istituito, i nativi sono già stati espulsi dai loro territori e il loro stile di vita è stato alterato. “Da quando i guardaparco sono arrivati, più di dieci anni fa, i Baka subiscono ogni tipo di violenza e hanno paura di addentrarsi nella foresta per cacciare o raccogliere frutti – ci ha spiegato Fiore Longo, antropologa e ricercatrice di Survival International -. Rischiano di essere picchiati, torturati o uccisi con l’accusa di bracconaggio. I Baka, ad esempio, sono già stati costretti ad abbandonare la loro millenaria tradizione del molongo, che implica di restare nel cuore della foresta per lunghi periodi, cosa ora impossibile a causa del parco. Sono costretti a vivere stabilmente in accampamenti ai margini della strada, praticando uno stile di vita a loro estraneo”.
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Il ruolo del governo
Abbiamo inoltre chiesto alla ricercatrice che sta seguendo da vicino il caso, qual è il ruolo del governo congolese nei soprusi ai danni delle popolazioni indigene. “Pur avendo approvato una legge che tutela i diritti dei popoli indigeni, il governo del Congo ha firmato con il Wwf degli accordi per la conservazione di alcune foreste in cui non si accenna minimamente ai diritti umani. Il governo ha quindi un’enorme responsabilità – ha affermato Fiore Longo -. Ma da una ong occidentale, finanziata anche con i soldi dei contribuenti europei e americani, ci si aspetterebbe quantomeno il rispetto dei diritti umani previsto in questi paesi”.
Diritti umani ignorati
Nel 2005 il Wwf ha firmato un accordo quinquennale che prevedeva il sostegno tecnico e finanziario all’area Etic (Espace TRIDOM Interzone Congo), ovvero alla parte congolese dell’area transfrontaliera di foresta che include anche il Messok Dja. “Tale accordo stabiliva i termini della collaborazione tra il Wwf e l’amministrazione congolese per l’implementazione di attività di sostegno alla conservazione e alla gestione sostenibile della biodiversità dell’area. Alla scadenza dell’accordo, la ong ha continuato ad operare nell’area senza nessun accordo fino al 2016, quando finalmente è stato sottoscritto un nuovo impegno – ha dichiarato l’antropologa di Survival International -. Questo nuovo accordo definisce diversi impegni, sia da parte del Wwf che del governo congolese e descrive le modalità della loro collaborazione. Secondo un rapporto del Forest People Programme, commissionato dal Wwf stesso, quello che incredibilmente manca in questo accordo è un qualsiasi riferimento ai diritti delle comunità locali, alle linee guida del Wwf o a qualsiasi fattore relativo al rispetto dei diritti umani”.
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La difesa del Wwf
L’organizzazione ambientalista, ha riferito il Guardian, si è difesa sostenendo che i casi di violazione dei diritti umani sarebbero “incidenti isolati” e che non esistono restrizioni legali che impediscono a Baka di frequentare le foreste. “Siamo sconvolti dalle osservazioni e dalle accuse del rapporto – si legge in una nota diffusa dal Wwf -. Sebbene sia vitale che le foreste di Messok Dja siano protette dalle crescenti pressioni ambientali, questo non può avvenire a discapito delle popolazioni indigene. Sappiamo che il modo migliore per proteggere molti degli ecosistemi critici del pianeta è lavorare con le comunità che vi abitano”.
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Il Wwf ha inoltre affermato che negli ultimi mesi si è impegnato per coinvolgere maggiormente i nativi e garantire che il loro stile di vita non sia minacciato a causa degli sforzi di conservazione. “Siamo particolarmente angosciati dalle preoccupazioni circa le relazioni tra i ranger impiegati nella Repubblica Democratica del Congo e le comunità locali. Qualsiasi violazione delle nostre politiche è inaccettabile e prenderemo tutte le misure necessarie”.
Un inefficace modello di conservazione
Il rapporto dell’Undp critica tuttavia proprio il modello di conservazione adottato in Africa centrale, che tende a escludere le popolazioni indigene dai progetti e a trattarle come una minaccia. È invece ormai ampiamente dimostrato che i nativi sono, nella maggior parte dei casi, i migliori custodi della natura e che le aree del pianeta caratterizzate da una maggiore biodiversità sono abitate proprio da comunità indigene. Violare i diritti dei nativi e privarli dei loro mezzi di sostentamento non aiuterà pertanto a preservare la foresta pluviale e la sua preziosa fauna selvatica.
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