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India, la tribù dei Chenchu rischia lo sfratto dalla riserva delle tigri
Le autorità indiane vorrebbero allontanare gli indigeni dalla propria terra in nome della conservazione delle tigri, autorizzando però l’avvio di attività esplorative per la ricerca di uranio.
Nella Riserva delle tigri di Amrabad, nello stato di Telengana, nell’India meridionale, la vegetazione è fitta e intricata e in certi punti non filtra un refolo di vento. Qui, da millenni, la nativa tribù dei Chenchu condivide l’esistenza con la fauna selvatica e, in particolare, con uno dei predatori più maestosi e potenti del pianeta, la tigre del Bengala (Panthera tigris tigris). Si stima che nella riserva vivano circa ventitré tigri, il cui numero globale è in lieve aumento, ma che restano comunque estremamente minacciate da numerosi fattori, in particolare dall’incontrollato sviluppo infrastrutturale in corso in Asia.
Un antico legame
Il rapporto tra i nativi e le tigri è antico e radicato nell’immaginario popolare, e i chenchu sanno che, quando camminano nella foresta, la tigre potrebbe essere appostata a pochi metri ad osservarli con i suoi enigmatici occhi gialli. Eppure oggi i chenchu rischiano di essere cacciati dalla riserva di Amrabad, dalla terra che hanno sempre abitato, perché le autorità sostengono che la loro presenza sia dannosa per i grandi felini.
Non c’è posto per i chenchu, ma per i cercatori di uranio sì
La denuncia arriva da Survival, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, che da sempre sostiene che i nativi sono, intrinsecamente, i migliori custodi degli ecosistemi che abitano e della biodiversità che vi risiede. A rendere ancora più ambiguo il provvedimento c’è l’approvazione, da parte dei funzionari indiani, per l’esplorazione per la ricerca di uranio all’interno della stessa riserva.
L’appello dei chenchu
La tribù ha lanciato un appello attraverso una lettera aperta, in cui chiede di restare nelle proprie terre e continuare a prendersi cura dell’ambiente, come ha sempre fatto. “Il Dipartimento alle foreste vuole sfrattarci da qui ma noi non vogliamo andare da nessun altra parte – si legge nella lettera. – Noi proteggiamo la nostra foresta. Andar via sarebbe come mettere un pesce fuor d’acqua: morirebbe. Ma ora il governo, in nome del profitto, sta separando i chenchu dalla foresta, ed è come separare un figlio dalla madre.”
Una foresta in vendita
Secondo i nativi e gli attivisti per i diritti civili, la conservazione delle tigri sarebbe dunque solo una copertura per poter liberare il campo per le compagnie minerarie. “Il governo sta vendendo la foresta – sostengono i chenchu – se andremo nelle pianure, diventeremo dipendenti dall’alcool, berremo e moriremo. In futuro i chenchu esisteranno solo in fotografia o nei video”.
La versione del governo
Le autorità indiane sostengono però che gli sfratti forzati dei popoli tribali (che, ricorda Survival, “sono illegali secondo la legge nazionale e internazionale”), sono necessari per salvaguardare le tigri e che ogni presenza umana nelle riserve è dannosa per i grandi felini. Questa affermazione è però contraddetta dal fatto che, in molte riserve delle tigri, ai turisti paganti è consentito entrare anche in grandi gruppi, con un impatto probabilmente maggiore di quello dei nativi che ritengono la fauna “la nostra vita: senza non possiamo vivere”.
Un danno per i nativi e per le tigri
“Questo è il colmo dell’ipocrisia: le autorità sfrattano le tribù che hanno gestito questo ambiente per millenni, con il pretesto che la popolazione delle tigri ne risentirà se gli indigeni resteranno, e poi permettono l’ingresso ai prospettori di uranio”, ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival International. Secondo Corry l’allontanamento dei chenchu danneggerebbe anche la conservazione e la sopravvivenza stessa delle tigri, “è una truffa, i turisti della riserva di Amrabad dovrebbero rendersi conto che stanno sostenendo un sistema che potrebbe portare allo sfratto dei popoli tribali dalle loro terre ancestrali, e che un giorno le miniere di uranio potrebbero prendere il loro posto”.
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