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Iran, otto studiosi di ghepardi sono stati condannati per spionaggio
I ricercatori, che secondo l’accusa avrebbero usato le fototrappole a fini di spionaggio, hanno ricevuto condanne fino a 10 anni. Organizzazioni internazionali chiedono però un processo equo.
Quasi due anni fa, tra il 24 e il 25 gennaio 2018, le forze dell’ordine iraniane arrestarono otto persone, Houman Jowkar, Sepideh Kashani, Niloufar Bayani, Amirhossein Khaleghi Hamidi, Sam Radjabi, Taher Ghadirian, Kavous Seyed Emami e Morad Tahbaz. Tutti membri di un’organizzazione conservazionista con sede a Teheran, la Persian wildlife heritage foundation (Pwhf), che si dedica principalmente alla tutela del raro ghepardo asiatico (Acinonyx jubatus venaticus). I ricercatori furono arrestati con l’accusa di spionaggio e pochi giorni fa un tribunale di Teheran ha emesso un verdetto di colpevolezza, con gravi condanne.
“Members of the Persian Wildlife Heritage Foundation have languished behind bars for over 550 days while #Iran authorities have blatantly failed to provide a shred of evidence about their alleged crime.” https://t.co/jxbMNjMX2G
— Sarah Leah Whitson (@sarahleah1) 6 agosto 2019
Il responso del tribunale
Morad Tahbaz, fondatore della Pwhf, e Niloufar Bayani sono stati condannati a ben dieci anni di carcere, Houman Jowkar e Taher Ghadirian a otto anni, Sepideh Kashani, Amirhossein Khaleghi Hamidi e Sam Radjabi dovranno scontare sei anni, mentre Abdolreza Kouhpayeh quattro. Secondo l’accusa i ricercatori avrebbero usato le trappole fotografiche, impiegate per il monitoraggio dei ghepardi e di altre specie minacciate, per spiare il programma missilistico balistico della nazione per conto di stati rivali.
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Un processo ingiusto
Secondo quanto riferito da un giornalista dell’Iran International, canale televisivo in lingua persiana con sede nel Regno Unito, i verdetti sarebbero stati presentati agli imputati senza che i loro avvocati fossero presenti. Sembra inoltre che l’accusa non sia riuscita a produrre prove per provare la colpevolezza degli imputati.
Storia di un calvario
Gli otto ambientalisti, che hanno dedicato la loro vita alla conservazione della natura e che hanno sempre professato la loro innocenza, sono in stato di fermo dall’inizio del 2018, sotto la “custodia” delle Guardie rivoluzionarie iraniane, la forza militare più potente dell’Iran. I ricercatori arrestati erano nove, ma uno di loro, Kavous Seyed Emami, professore universitario iraniano-canadese, morì il 10 febbraio 2018 durante la detenzione in circostanze sconosciute. Le autorità iraniane sostengono si sia suicidato, ma, nonostante le richieste della famiglia, non hanno mai permesso di condurre un’indagine indipendente.
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Un caso nebuloso
Delle udienze, condotte a porte chiuse, si conoscono pochi dettagli. Il Centro per i diritti umani in Iran ha messo in dubbio l’integrità del processo, mentre Amnesty International ha affermato che ci sono prove di torture psicologiche e fisiche cui sarebbero stati sottoposti gli imputati per strappare loro una confessione forzata.
Le proteste del mondo scientifico
Nel novembre 2018 più di 340 scienziati provenienti da 70 paesi in tutto il mondo, tra cui l’ambasciatore delle Nazioni Unite per la pace, Jane Goodall, hanno firmato una lettera che esprimeva il sostegno per gli otto ricercatori detenuti. Un anno dopo, alla notizia della sentenza, diverse istituzioni globali di conservazione hanno espresso la loro preoccupazione. “Le notizie che giungono dall’Iran sono inquietanti, soprattutto perché si sa così poco sui procedimenti giudiziari che sono stati seguiti – si legge in una nota pubblicata dalla Iucn -. Sosteniamo coloro che dedicano la propria vita alla causa della conservazione della natura e ci uniamo alle voci di tutto il mondo che chiedono una revisione trasparente ed equa di questa situazione”.
.@UNEP statement on the sentencing of environmentalists in Iran. https://t.co/ZmPUIuiKtB
— Inger Andersen (@andersen_inger) 22 novembre 2019
Ambientalisti (e ghepardi) in pericolo
I difensori dell’ambiente sono minacciati in molte aree del pianeta, dal Brasile alla Romania, anche in Iran questa tendenza sembra essere in aumento. Secondo Amnesty International nel 2018 sarebbero stati arrestati 63 attivisti ambientali nel Paese.
Un tempo il ghepardo asiatico popolava buona parte del continente, dall’Arabia Saudita all’India, mentre oggi la specie sopravvive solo in Iran. Si stima che ne rimangano appena cinquanta esemplari. L’arresto dei ricercatori potrebbe assestare un ulteriore e decisivo colpo a questa specie e condannarla a seguire la via dell’estinzione, già intrapresa da altri grandi felini asiatici, come la tigre del Caspio (Panthera tigris virgata). “I ricercatori attualmente in carcere sono alcuni dei principali studiosi di fauna selvatica in Iran – ha detto al National Geographic Sarah Durant, studiosa di ghepardi e professoressa di Scienze della conservazione alla Zoological society di Londra -. La loro prigionia ha seriamente ostacolato la conservazione del ghepardo asiatico”.
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