Il caso Khashoggi. La storia del giornalista ucciso nel consolato saudita a Istanbul

Il 2 ottobre 2018 Jamal Khashoggi è morto nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, in Turchia. Tutti gli sviluppi sul caso del giornalista saudita.

Jamal Khashoggi, giornalista dell’Arabia Saudita, 59 anni, è stato ucciso il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul, in Turchia. Uno dei massimi esperti della situazione politica del suo stato di nascita, il reporter dal 2017 si era trasferito negli Stati Uniti per sfuggire alla censura e alle restrizioni imposte dal principe erede al trono designato Mohammad bin Salman (Mbs) e da suo padre, re Salman, detentori del potere a Riad. Dopo alcune notizie discordanti sulla sua scomparsa, anche il governo dell’Arabia Saudita ha ammesso il suo coinvolgimento nella morte di Khashoggi, ma molti punti oscuri restano nell’uccisione del giornalista.

Ambasciata saudita a Istanbul
Un uomo esce dall’ambasciata dell’Arabia Saudita dove è stato ucciso Jamal Khashoggi © Stringer Getty Images

La carriera di Jamal Khashoggi

Dopo un inizio di carriera in vari giornali nazionali dell’Arabia Saudita, Jamal Khashoggi si era fatto conoscere ai lettori internazionali con alcune interviste fatte a Osama bin Laden negli anni Ottanta, quando il futuro mandante dell’attentato dell’11 settembre era in lotta contro l’invasione russa in Afghanistan. Nel corso degli anni il giornalista aveva più volte abbandonato il paese natale dopo che i suoi articoli erano stati reputati offensivi verso la famiglia reale saudita, ma aveva sempre fatto ritorno a Riad, capitale dello stato mediorientale. Critiche contro l’applicazione eccessiva dei dettami dell’islam nelle leggi saudite, richiesta di maggiori libertà per le donne arabe e ultimamente una valutazione negativa dell’intervento militare dell’Arabia Saudita in Yemen, erano costate a Khashoggi molte minacce che l’avevano convinto nel settembre del 2017 a trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti.

Qui, aveva continuato a scrivere editoriali di accusa contro il re Salman e il figlio sulle pagine del Washington Post. I suoi articoli erano conosciuti soprattutto fra gli esperti di Medio Oriente fino al 2 ottobre 2018 quando Khashoggi è entrato nel consolato dell’Arabia Saudita di Istanbul per richiedere un documento che attestasse il divorzio dalla sua prima moglie, senza uscirne più.

I lati oscuri della morte di Jamal Khashoggi

Il giornalista saudita, infatti, aveva intenzione di sposarsi con la nuova compagna turca Hatice Cengiz e per questo aveva richiesto alcuni certificati al consolato del suo paese a Istanbul. Recatosi nell’edificio il 2 ottobre verso le ore 13, Khashoggi non ha più fatto ritorno dalla compagna che lo aspettava fuori dal palazzo. All’inizio l’Arabia Saudita aveva affermato che il reporter era uscito dal consolato, ma le riprese fatte dalle telecamere puntate sulla strada adiacente non confermano questo avvenimento.

Dopo molte sollecitazioni da parte dei mezzi d’informazione internazionali, anche il presidente americano Donald Trump si è interessato all’argomento. Attento a non incrinare i rapporti con il re Salman e con Mbs, fedele alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, il presidente Trump ha richiesto maggiori informazioni su quanto avvenuto al governo turco. La polizia locale è entrata nel consolato scoprendo tracce di sangue in una stanza che hanno poi portato alla conferma dell’uccisione di Khashoggi in quell’edificio. A quanto pare, quindici uomini dell’esercito saudita avrebbero aspettato il giornalista all’interno del palazzo per ucciderlo. Poi avrebbero fatto a pezzi il corpo e avrebbero gettato i resti in un bosco fuori Istanbul. Al momento la versione ufficiale del governo saudita racconta di una colluttazione fra Khashoggi e un funzionario che è costata la vita al reporter, anche se la polizia turca è convinta si tratti di un omicidio preterintenzionale.

Manifestazione per Jamal Khashoggi
Un uomo mostra una foto del giornalista Jamal Khashoggi – Chris McGrath Getty Images

 

I poteri del principe Mbs

Il ruolo del principe Mbs è al centro di molte analisi su quanto accaduto. Figlio prediletto del re ed erede al trono, il 33enne, che ricopre anche il ruolo di vice primo ministro, era ben visto dai politici occidentali fino alla morte di Khashoggi. Nonostante le leggi sempre più restrittive contro i dissidenti in Arabia Saudita e i conflitti, militari e diplomatici, in Yemen, Qatar e Libano, Mbs ha goduto di buoni rapporti con la comunità internazionale grazie alle relazioni economiche con Trump per il petrolio e alla decisione di non interferire con la situazione di Israele. Inoltre il principe si era costruito un’immagine da personaggio innovativo e moderno, per quanto possibile in Medio Oriente: di recente aveva parlato di concessioni alle donne, come la possibilità di andare al cinema e guidare. In realtà però Mbs voleva solo mantenere il potere e Amnesty International ha parlato di gravi interferenze del governo nella vita privata dei cittadini sauditi. L’avversione verso i contestatori è proprio ciò che avrebbe portato il governo dell’Arabia Saudita a voler far tacere per sempre il giornalista Jamal Khashoggi.

Difficilmente Mbs andrà incontro a sanzioni nel suo paese e forse verrà solo destituito e sostituito con uno dei suoi fratelli o cugini. Si aspetta ora una presa di posizione netta da parte della comunità internazionale contro la famiglia reale saudita, anche se, come dimostrano le parole sorprendentemente caute di Trump, molti paesi non vogliono destabilizzare ancora di più la situazione in Medio Oriente. Intanto però molte aziende, dalla Ford a Uber, hanno deciso di non partecipare a un evento di economia e tecnologia organizzato la settimana prossima a Riad e soprannominato la “Davos del deserto“. Il sito della manifestazione è stato hackerato con un fotomontaggio del principe Mbs con in mano un’ascia e Khashoggi inginocchiato davanti a lui. La morte del giornalista ha aperto una porta sulla reale situazione in Arabia Saudita e sui rapporti con l’Occidente, proprio come molti articoli di Khashoggi erano riusciti a fare quando lui era ancora in vita.

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