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La grande cecità, ovvero l’incapacità dell’arte di raccontare i cambiamenti climatici
Secondo lo scrittore Amitav Ghosh la cultura contemporanea è incapace di narrare il dramma del riscaldamento globale, dando prova di un fallimento dell’immaginazione.
L’arte ha da sempre il compito di raccontare le più grandi minacce che il genere umano deve affrontare, denunciando gli orrori delle guerre, i soprusi sociali, la fame e la miseria. Pensiamo al dipinto Guernica di Picasso, alle opere di Goya, ai romanzi di Dickens, Steinbeck e Pasolini. Perché allora l’arte non si occupa della più grande minaccia alla sopravvivenza della nostra specie, ovvero i cambiamenti climatici? Da questa domanda è nato il saggio La grande cecità, il cambiamento climatico e l’impensabile, dell’antropologo e scrittore di origine bengalese Amitav Ghosh, edito da Neri Pozza editore.
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Una storia personale
Per Ghosh i cambiamenti climatici non sono un argomento astratto, da trattare con distacco accademico, sono invece concreti e strettamente legati con la sua storia personale. “I miei antenati sono stati rifugiati ambientali molto prima che si coniasse tale definizione”, ha scritto, raccontando come, intorno al 1850, il fiume Padma in Bangladesh “deviò improvvisamente dal suo corso”, sommergendo il villaggio dei suoi avi. “Quando penso alle circostanze che hanno modellato la mia vita, ricordo la furia degli elementi che sradicò i miei antenati dalla loro terra d’origine costringendoli a una serie di viaggi che hanno preceduto, e reso possibili, i miei”. La vita stessa dello scrittore è stata messa in pericolo da un evento climatico estremo. Nel 1978, mentre si trovava a Delhi, assistette all’abbattersi di un tornado (il primo a colpire la città in tutta la sua storia metereologica) che causò 30 morti e 300 feriti.
Il pianeta ci sta parlando
L’“incontro” con il tornado fu in qualche modo epifanico per Ghosh, egli si rese conto della presenza e della prossimità, usando le sue parole, di interlocutori non-umani. “La mia consapevolezza dell’incalzante prossimità di presenze non-umane è maturata attraverso momenti di riconoscimento provocati dall’ambiente che mi circondava”. Tale riconoscimento ha generato la convinzione che “gli esseri umani non sono mai stati soli, che siamo sempre stati circondati da una molteplicità di creature che condividono con noi capacità che credevamo precipuamente nostre: volontà, pensiero e coscienza”. Lo scrittore si chiede inoltre se il riconoscimento del non-umano sia stato in qualche modo suggerito da entità, come le foreste o il pianeta stesso, capaci di inserirsi nei nostri processi di pensiero. Ghosh fa notare che il non-umano, un tempo molto presente in letteratura, è stato quasi rimosso dal romanzo moderno, “proprio quando l’attività umana cominciava a modificare l’atmosfera terrestre, l’immaginazione letteraria cominciò a concentrarsi esclusivamente sull’umano”.
Il difficile rapporto tra letteratura e cambiamenti climatici
Secondo Ghosh non è un caso che alla fine del Novecento la letteratura abbia preso una certa strada proprio in concomitanza con l’aumento delle emissioni. “Oggi, proprio quando si è capito che il surriscaldamento globale è in ogni senso un problema collettivo, l’umanità si trova alla mercé di una cultura dominante che ha estromesso l’idea di collettività dalla politica, dall’economia e anche dalla letteratura”. Ghosh osserva che il tema del riscaldamento globale viene trattato in maniera davvero marginale dalle più autorevoli riviste letterarie in lingua inglese, e quando è presente si tratta quasi sempre di saggistica. I cambiamenti climatici vengono al massimo relegati nella letteratura di genere, come la fantascienza, “è come se nell’immaginazione letteraria il cambiamento climatico fosse in qualche modo imparentato con gli extraterrestri o con i viaggi interplanetari”, scrive Ghosh.
La crisi dell’immaginazione
Lo scrittore indiano ritiene che il riscaldamento globale dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo, constatando che invece non è così. I cambiamenti climatici, e la cecità della letteratura dinnanzi ad essi, sono il frutto, secondo Ghosh, di un fallimento immaginativo e culturale, la crisi climatica è dunque anche una crisi della cultura e dell’immaginazione. “Sono arrivato a convincermi che le sfide che i cambiamenti climatici pongono agli scrittori contemporanei, per quanto specifiche sotto certi aspetti, siano anche dovute a qualcosa di più antico e profondo; e derivino in ultima analisi dalla griglia di forme e convenzioni letterarie che hanno modellato l’immaginario narrativo proprio nel periodo in cui l’accumularsi di anidride carbonica nell’atmosfera stava riscrivendo il destino della terra”.
La cultura dei cambiamenti climatici
Lo sfacelo ambientale e la cultura sarebbero dunque strettamente collegati, anzi, la seconda sarebbe la causa dell’attuale situazione. “La cultura induce desideri – di mezzi di trasporto, elettrodomestici, un certo tipo di giardini e case – che sono fra i principali motori dell’economia basata sui combustibili fossili. […] Questa cultura è intimamente legata alla più ampia storia dell’imperialismo e del capitalismo che hanno plasmato il mondo”. In particolare Ghosh ritiene che gli scrittori siano reticenti ad affrontare il tema dei cambiamenti climatici perché questi riguardano direttamente i nostri stili di vita e il modo in cui essi “ci rendono complici degli occultamenti messi in campo dalla cultura in cui siamo immersi. […] Tutti noi, poco o tanto, abbiamo contribuito al surriscaldamento globale, è un misterioso prodotto delle nostre stesse mani che ora torna a minacciarci”.
L’improbabile diventa probabile
La crescente frequenza di fenomeni atmosferici, come alluvioni, tempeste siccità, ondate di calore, un tempo ritenuti improbabili, caratterizzerà sempre più la nostra epoca. “Nulla è remoto nell’era del surriscaldamento globale, non c’è luogo in cui le consuete aspettative della vita borghese non siano messe in discussione”. Il perduto status di improbabile rappresenta, secondo Ghosh, un’altra sfida dei cambiamenti climatici all’immaginazione letteraria. Non è infatti facile collocare eventi climatici che dovrebbero essere sporadici nell’universo prosaico della letteratura seria.
Come la storia ci giudicherà
Il saggio si conclude ipotizzando come potrebbero essere ricordate un giorno le arti e la letteratura del nostro tempo. Ghosh ritiene che potrebbero essere ricordate non per il loro coraggio, bensì per la loro “connivenza con la Grande cecità”. Saranno dunque giudicate complici di un sistema insostenibile che ha prodotto l’esplosione del tasso di emissioni che ha alterato significativamente il pianeta. Ora non ci resta che toglierci la benda e guardare negli occhi i cambiamenti climatici e imparare nuovamente a convivere con gli altri esseri viventi, sperando che l’arte e la letteratura possano esprimere questa visione del mondo, al tempo stesso nuova e antica.
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