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Le sfide che attendono George Weah, l’attaccante del Milan che diventa presidente della Liberia
George Weah centra forse la sua vittoria più storica: l’ex attaccante del Milan è infatti ufficialmente il nuovo presidente della Liberia, la sua patria. Ha appena vinto il ballottaggio del 26 dicembre conquistando il 61,5 % dei consensi. È andato alla urne il 56% dei 2,2 milioni di liberiani aventi diritto al voto: un’affluenza piuttosto alta che
George Weah centra forse la sua vittoria più storica: l’ex attaccante del Milan è infatti ufficialmente il nuovo presidente della Liberia, la sua patria. Ha appena vinto il ballottaggio del 26 dicembre conquistando il 61,5 % dei consensi. È andato alla urne il 56% dei 2,2 milioni di liberiani aventi diritto al voto: un’affluenza piuttosto alta che rimarca l’importanza di questa prima transizione da un governo democratico a un altro in 70 anni in Liberia, il `Paese degli uomini liberi´, dove si riversarono migliaia di schiavi deportati negli Usa e poi liberati nel XIX secolo.
“È con profonda emozione che voglio ringraziare il popolo liberiano per avermi onorato votandomi. È una grande speranza” ha scritto nel pomeriggio della proclamazione il 51enne di Monrovia, riuscito a trionfare dopo un processo elettorale cominciato lo scorso ottobre e slittato, il 7 novembre, con un turno rinviato per irregolarità.
Il 22 gennaio 2018 l’ex Pallone d’Oro riceverà lo scettro del governo della Liberia da Ellen Johson-Sirleaf, presidente uscente e premio Nobel per la pace nel 2011.
George Weah: dal calcio alla politica
Classe 1966, George Weah è sempre stato legato alla sua terra, l’Africa. Tanto che, terminata la carriera da calciatore, ha intrapreso subito quella di politico in Liberia, una corsa a ostacoli verso questa storica campagna elettorale che lo ha portato a vincere le elezioni nel suo Paese natio.
La sua popolarità internazionale è ovviamente legata alla sua carriera calcistica in Europa e in Italia, e alle sue modestissime origini (in Liberia è soprannominato “ragazzo del ghetto”), argomento tra i più ricorrenti nelle sue campagne elettorali e che ha fatto sì che molte persone si siano identificate in lui. D’altro canto però è anche per questo stato bersaglio di critiche. Dicono che non aveva studiato, che non era qualificato, ma lui è un uomo che ha realizzato un sogno.
Nella sua carriera da calciatore, George Weah ha vestito le maglie di Monaco, Psg, Milan, Chelsea, Manchester City e Marsiglia. Con i rossoneri è stato protagonista di cinque stagioni roboanti, dal 1995 al 2000, in cui ha raccolto due scudetti, 147 presenze e 58 reti in tutte le competizioni. L’ex Psg e Marsiglia ha anche sollevato il Pallone d’Oro nel 1995, unico calciatore africano a poter esibire il trofeo, posizionandosi allora davanti a Jurgen Klinsmann e Jari Litmanen. Nel 1999 fu scelto dall’Istituto tedesco di statistica del calcio Iffhs come calciatore africano del secolo.
Ma da oggi forse George Weah non guarderà più a quelli sportivi come i più grandi successi della sua vita. La presidenza della Liberia, Paese dove è nato e punto di partenza e arrivo della sua straordinaria parabola, è il momento più grande.
Dodici anni fa The Analyst, uno dei più diffusi quotidiani in Liberia, a pochi giorni dal voto titolava sulla sua prima pagina: “Qualification vs Popularity (competenza vs popolarità)”. Lui, che non era neanche riuscito a finire il liceo per seguire la carriera da calciatore dopo la chiamata di Arsene Wenger (attuale allenatore dell’Arsenal) al Monaco, incarnava la popolarità. Ma allora, in un Paese uscito da più di dieci anni di guerra civile con la confinante Sierra Leone e 250mila morti interrati, non bastò: vinse la Sirleaf, meno “pop” ma laureata ad Harvard e appoggiata da tutte le istituzioni internazionali.
Questa volta invece il ballottaggio non ha dato scampo allo sfidante, Joseph Boakai, da due mandati vicepresidente e braccio destro della Sirleaf (la quale, tuttavia, in campagna elettorale non lo ha mai sostenuto in modo netto).
La vita di Weah, un racconto epico in tre atti
L’inizio: nella contea di Grand Kru, una delle più povere del Paese nel centro della Liberia. I genitori non erano in grado di prendersi cura di lui e lo lasciarono ai nonni che vivevano a Clara Town, uno dei peggiori slum di Monrovia, la capitale della Liberia.
Al contrario dei suoi coetanei sfoga la sua rabbia sui campetti da calcio e ad emergere ci mette poco. Dalla modesta lega liberiana passa in Camerun fino a Monaco, Francia, e poi l’Italia, il Milan.
Qui si apre il secondo capitolo della sua vita fatto di successi e milioni in tutta Europa. Sono 60 le presenze in campo con la maglia della nazionale liberiana, con una totale di 22 reti. La sua carriera di calciatore si è chiusa nel 2002 negli Emirati, dove ha giocato una stagione con l’Al-Jazira Club. Il ritiro nel 2002, gli anni in America (sua grande passione dopo l’Italia) dove investe le sue fortune in immobili, ma soprattutto in istruzione, laureandosi in gestione d’impresa alla DeVry University in Florida.
E ora il terzo atto, il ritorno in patria e l’inizio del grande sforzo politico ormai coronato: la presidenza della Liberia.
Mentre Weah giocava in Europa, la Liberia era insanguinata dalla guerra civile, che ha provocato 250.000 morti. Finita la carriera da calciatore, Weah non cerca altri ruoli e altri soldi come allenatore o dirigente. Si riprecipita in Liberia e si impegna in politica fondando il partito Congresso per il Cambiamento Democratico. Le elezioni del 2005 lo vedono sconfitto, ma durante la campagna elettorale gli attestati di stima tra lui e l’avversaria non mancano, fino all’invito reciproco a entrare uno nel governo dell’altro. Secondo gli analisti, all’epoca è stato un peccato che i due candidati più presentabili e sgombri dai sospetti di corruzione, male endemico della politica africana, si siano presentati separati.
La Liberia tra dittature militari, esecuzioni in videotape e generali cannibali
La Liberia, Africa Occidentale, circa 4milioni e 700 mila abitanti, è uscita nel 2003 dalla seconda ondata di una lunga guerra civile tra l’esercito e i ribelli del Lurd (Liberiani Uniti per la Riconciliazione e la Democrazia). Si sono succeduti episodi raccapriccianti. La dittatura di Samuel Doe, dal 1980 al 1990, si è conclusa con un’efferata esecuzione ripresa in diretta su videotape, con il signore della guerra Prince Johnson che, mentre sorseggia una birra, ordina di tagliargli le orecchie. Ha preso il suo posto Charles Taylor, che ha addirittura fatto peggio, macchiandosi di crimini umanitari. E un viaggio degli inviati di Vice ha rivelato l’esistenza di pratiche di cannibalismo rituale tra i militari.
L’impegno con l’Unicef
Come ambasciatore Unicef George Weah ha viaggiato per tutta la Liberia con un pallone in mano per convincere gli ex bambini-soldato a reintegrarsi in società.
Certo i passi non erano più quelli della “pantera nera” di una volta, ma numeri ed oratoria lo hanno trasformato in un eroe da seguire ed emulare. Gli anni delle sconfitte politiche, dove è riuscito solo a conquistare un seggio da senatore, sono probabilmente serviti a Weah per capire che le alleanze contano proprio come i compagni di squadra in un campo da calcio.
L’ombra del dittatore Charles Taylor, incriminato per crimini contro l’umanità
Così al terzo tentativo ha deciso di puntare forte, scegliendo di affiancarsi a Jewel Howard Taylor, moglie di Charles Taylor, ex presidente della Liberia incriminato a 50 anni di reclusione dalla Corte dell’Aja per crimini contro l’umanità commessi durante la guerra civile degli anni Novanta.
Una scelta che ha spinto i detrattori ad accusarlo di essere la marionetta di un “sanguinario” pur di diventare presidente. Accusa rinfocolatasi dopo che all’inizio di quest’anno, Taylor, dal carcere di Durham in Inghilterra dove sta scontando la sua condanna, in videoconferenza è apparso a un comizio politico sostenendo la candidatura di Weah e della moglie. Un’alleanza, secondo gli analisti, che però è stata a quanto pare decisiva per assicurare la vittoria a “King George”.
Elettricità nelle case, materie prime e Pil da risollevare: le sfide che attendono Weah in Liberia
Le promesse del neopresidente Weah dovranno trasformarsi in realtà per risollevare un Paese che si trova alla 177ª posizione su 188 dell’Indice dello Sviluppo Umano dell’Onu.
Sotto i mandati della presidente Ellen Johnson-Sirleaf, prima donna capo di Stato di un Paese africano e vincitrice di un Nobel per la pace, è stato ottenuto il ritiro della missione di pace dell’Onu dalla Liberia lì dal 2003 al 2016, e di tutte le sanzioni che l’Onu aveva imposto al Paese per il conflitto, ottenendo importanti risultati nel processo di stabilizzazione nazionale, già elogiati dall’allora segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
Ora, Weah nel suo programma ha promesso istruzione gratuita dall’asilo alle superiori, nonché l’accelerazione nella creazione di posti di lavoro.
L’assenza di elettricità è uno dei primi servizi basici su cui lavorare. L’economia locale è fortemente basata sulle rimesse dei liberiani che vivono all’estero, oltre il 25% del Pil nazionale, inoltre l’abbassamento dei prezzi di acciaio e gomma, le principali materie prime esportate, hanno fiaccato ulteriormente la già debole economia locale. A cui va aggiunta l’epidemia di ebola che ha colpito il Paese tra il 2014 ed il 2016 con circa 5mila morti. Tra le sfide che si trova ad affrontare Weah anche la difficile composizione di un governo di unità nazionale su base etnica, per garantire un’inclusione di tutte le diverse etnie presenti nel Paese ed evitare che latenti focolai possano riaccendersi.
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