Intervista a Piera Tortora, coordinatrice del progetto Sustainable ocean for all dell’Ocse: “Si rischiano effetti globali catastrofici e irreversibili”.
Quali sono le leggi dell’ecologia per la sopravvivenza della specie umana
Abbandonare la visione antropocentrica e rispettare le leggi dell’ecologia è l’unico modo per salvaguardare il futuro della nostra specie, e di tutte le altre. L’editoriale del presidente di Sea Shepherd Paul Watson.
Sono cresciuto in un piccolo villaggio di pescatori nella baia di Passamaquoddy, nella provincia canadese del Nuovo Brunswick e ricordo ancora chiaramente come andavano le cose negli anni Cinquanta. Oggi le cose non sono com’erano allora. Non parlo del progresso tecnologico, industriale o scientifico. Mi riferisco allo stato di salute e alla stabilità degli ecosistemi. Quello che una volta era forte, ora è fragile. Ciò che una volta era ricco di diversità, oggi è molto più povero.
Sono stato fortunato, o forse condannato, a ricordare quasi tutto. Vedo le immagini del passato ancora nitide. Infatti per me è stato difficile adattarmi a questo declino. Vedo le conchiglie sulle spiagge che ora non ci sono più, i granchietti sotto gli scogli che ora sono scomparsi, i banchi di pesci, i branchi di delfini e le spiagge senza plastica.
Ho iniziato a viaggiare per il mondo nel 1967. Ho fatto l’autostop e viaggiato in treno attraversando il Canada, sono entrato nella marina mercantile norvegese, ho attraversato l’oceano Pacifico e l’oceano Indiano, ho viaggiato per il Giappone, l’Iran, il Mozambico e il Sudafrica, ho lavorato come guida turistica in Turchia e in Siria, ho co-fondato Greenpeace nel 1972 e nel 1977 ho fondato Sea Shepherd Conservation Society.
Molte delle cose che ho visto allora non esistono più o sono state gravemente danneggiate, cambiate e ridotte. Negli anni Sessanta non compravamo l’acqua in bottiglie di plastica. Negli anni Sessanta la parola “sostenibile” non veniva mai usata in un contesto ambientale e, a parte Rachel Carson, pochissimi avevano la visione del futuro, di dove stavamo andando e di cosa stavamo facendo.
Ma lentamente, la consapevolezza si è fatta strada tra le menti di sempre più persone. La gente ha iniziato a capire cosa volesse dire la parola “ecologia”. Abbiamo assistito alla nascita della Giornata della Terra e alla prima Conferenza sull’ambiente umano nel 1972 a Stoccolma, in Svezia, che ho seguito come giornalista.
La visione di cosa stiamo facendo divenne gradualmente sempre più diffusa e chi la capiva doveva pagare il prezzo di essere etichettato come radicale, militante e con un nuovo termine: ecoterrorista. Il vero “crimine” dell’ecoterrorismo non era appiccare incendi per provocare danni agli impianti sciistici, abbattere una linea elettrica o praticare il tree spiking (conficcare lunghi chiodi negli alberi per difenderli dalle motoseghe, ndt). Queste cose sono solo scatti dettati dalla disperazione e dalla frustrazione. Il vero crimine è il pensiero, la comprensione e l’immaginazione. In altre parole, il mettere in discussione il paradigma economico, societario e politico moderno.
La parola ecoterrorismo dovrebbe essere usata più correttamente per la distruzione causata dal progresso, come il disastro di Bhopal, in India, nello stabilimento della Union Carbide, o il disastro della Deepwater Horizon nel golfo del Messico.
Le tre leggi dell’ecologia
Negli anni Settanta, insieme al defunto Robert Hunter e con Roberta Hunter, Patrick Moore, David Garrick e Rod Marining, abbiamo studiato e scritto le tre leggi dell’ecologia. Quello di cui ci siamo resi conto è che queste leggi sono essenziali per la sopravvivenza della biodiversità del Pianeta e dell’umanità. Abbiamo capito che nessuna specie potrebbe sopravvivere al di fuori di queste tre basilari e fondamentali leggi ecologiche.
La legge della diversità: la forza di un ecosistema dipende dalla diversità delle specie al suo interno.
La legge dell’interdipendenza: tutte le specie sono interdipendenti tra loro.
La legge delle risorse limitate: vi sono limiti alla crescita e alla capacità portante dell’ambiente.
L’aumento della popolazione di una specie porta a un maggiore uso delle risorse da parte della specie stessa. Questo porta alla riduzione della diversità di altre specie che, a sua volta, porta a una minore interdipendenza tra le specie. Ad esempio, una continua riduzione delle popolazioni di fitoplancton nei mari sta portando al declino di altre specie e ha causato un calo del 40 per cento della produzione di ossigeno dal 1950. La diminuzione delle popolazioni di balena ha contribuito a questo calo dal momento che gli escrementi delle balene sono una grande fonte di sostanze nutritive (in particolare ferro e azoto) per il fitoplancton.
Il Pianeta semplicemente non può sopportare 7,5 miliardi di persone (numero in crescita) che divorano principalmente la carne di animali morti. Ogni anno la macellazione di 65 miliardi di animali genera più gas a effetto serra della totalità del settore dei trasporti. E la pesca industriale sta svuotando gli oceani e causando un declino inedito della biodiversità negli ecosistemi marini.
Il collasso degli ecosistemi
I sistemi ecologici stanno collassando in tutto il mondo, dalle barriere coralline alle foreste pluviali, perché l’uomo sta sfruttando le risorse ben oltre la capacità degli ecosistemi di creare e rinnovare le risorse naturali. Il declino degli ecosistemi sta portando anche al collasso delle strutture sociali dell’uomo, sfociando in conflitti globali sotto forma di guerre e violenze domestiche. Il terrorismo non è la causa dei problemi della società, è semplicemente un sintomo. Gli esseri umani sono compromessi da paradigmi medievali come il predominio territoriale, i desideri gerarchici e le credenze superstiziose unite a comportamenti primitivi come l’avidità e la paura.
Il villaggio di pescatori in cui ho vissuto da bambino non è più un villaggio di pescatori. La relativa innocenza delle nostre vite da bambini degli anni Cinquanta e Sessanta non esiste più. La selva africana, la tundra artica, la riserva marina delle isole Galapagos, la Grande barriera corallina, le foreste pluviali amazzoniche in cui ho viaggiato, non sono più com’erano in passato.
Il declino dell’empatia umana
Gli esseri umani hanno quest’abilità incredibile di adattarsi al declino. È una caratteristica che si è dimostrata estremamente utile quando vivevamo come cacciatori-raccoglitori. Ci siamo adattati alla mancanza di cibo, ai cambiamenti climatici e al mondo che si evolveva intorno a noi. Oggi stiamo cercando di adattarci alla distruzione provocata da noi stessi e questo adattamento si sta traducendo in un maggiore controllo da parte dei governi e delle multinazionali e in una dipendenza dalle tecnologie industriali.
Non abbiamo più l’empatia di una volta. Mi ricordo chiaramente i fatti del 23 ottobre 1958. Avevo sette anni nel giorno del disastro della miniera Springhill, in Nuova Scozia. 75 persone morirono e 99 vennero salvate. Ricordo di aver pianto per il destino di persone che non conoscevo e ricordo il mio entusiasmo ogni volta che un minatore veniva riportato in superficie vivo. Ora non ho più quella capacità. Forse l’ho persa diventando adulto, o forse è perché la società non ha più spazio per questo tipo di emozioni.
Si era verificato un disastro e piangevamo per persone che non conoscevamo. L’anno scorso quasi cento persone sono state uccise brutalmente a pochi chilometri da dove vivevo a Nizza, in Francia, per mano di un folle che le ha investite con un camion. Pochi giorni dopo un prete è stato decapitato in Francia. Ogni settimana che passa porta con sé storie di uccisioni di massa in Medio Oriente, in Africa, in America e non solo. È un festival del dolore mondiale fatto di caos e violenza, che però è accolto per lo più con compiacenza e con un seguito di post di Facebook che dicono “preghiamo per Parigi, Orlando, Nizza, Beirut o Istanbul”, in una litania di adattamento alla tragedia autoindulgente, per poi dimenticare il tutto velocemente.
Questo non è il mondo della mia infanzia. Noi ricordavamo gli orrori della Seconda guerra mondiale con vera emozione. Mi ricordo di quando parlavo con i veterani delle due guerre mondiali e sentivo il loro dolore. Oggi è solo un fatto a breve termine che fa notizia, in un mondo che cerca di fuggire attraverso i film, i personaggi famosi, i videogiochi e un fervore religioso sempre più fanatico.
Stiamo divorando le risorse
La realtà è questa. La popolazione umana aumenta e con sé anche il consumo delle risorse. Ma dato che le risorse sono limitate e il tasso di energie rinnovabili è minore della domanda, questo porta a un solo risultato: il collasso della disponibilità delle risorse. E visto che stiamo letteralmente rubando le risorse ad altre specie, questo porterà al declino delle specie e degli habitat, che a sua volta porterà a una ulteriore diminuzione delle risorse.
Alla conferenza sul clima di Parigi (Cop 21), ho chiesto di porre fine ai sussidi statali per la pesca industriale in tutto il mondo e una moratoria di almeno 50 anni sulla pesca commerciale. Questa proposta non è stata ascoltata durante una conferenza che non ha neanche preso in considerazione il ruolo fondamentale degli oceani nell’affrontare i cambiamenti climatici. La mia opinione sulla Cop 21 è che i governi non stavano cercando soluzioni. Stavano cercando soluzioni apparenti. E di sicuro non volevano ascoltarle da persone come me. Loro vogliono soluzioni che portano con sé lavoro e profitto. Non vogliono nessun tipo di sacrificio economico.
Inoltre, credo che la maggior parte dell’umanità – e di sicuro chi ne è alla guida – non capisca la vera gravità della situazione. Esistono sei punti di vista sui cambiamenti climatici:
1. Negazione
2. Accettazione, con l’idea che siano uno sviluppo positivo
3. Accettazione, con l’idea che la scienza e la tecnologia ci salveranno
4. Accettazione, ma con il rifiuto di riconoscere tutte le conseguenze
5. Apatia
6. Accettazione, con la determinazione di trovare soluzioni vere
Chi nega i cambiamenti climatici ha interessi personali per farlo ed è mosso principalmente dall’avidità o dall’ignoranza. Patrick Moore, un mio ex collega di Greenpeace, vede i cambiamenti climatici come un’opportunità per avere stagioni di crescita più lunghe e tempo più bello (vive in Canada e non credo ci abbia pensato a fondo). Altri, come Elon Musk, vedono la nostra salvezza nella scienza, abbandonando il nostro Pianeta o sviluppando ecosistemi artificiali sulla Terra. Molti leader del mondo responsabili riconoscono il problema ma sono politicamente troppo impotenti per affrontarlo con soluzioni realistiche, perché quelle soluzioni non sarebbero politicamente popolari. E, come per ogni cosa, la maggior parte del mondo è indifferente e troppo concentrata a divertirsi (il mondo industrializzato) o sopravvivere (il mondo sottosviluppato).
Sulla strada che stiamo percorrendo ora, il futuro è piuttosto prevedibile. Più guerre per le risorse, più povertà, più concentrazione della ricchezza in mano a pochi privilegiati, più malattie, più conflitti civili e, con il declino di biodiversità, più fame a livello globale e pestilenze.
Noi esistiamo grazie alla biodiversità
Il ricco tessuto di tutte le nostre culture e dei nostri traguardi nella scienza e nell’arte è intrecciato con la biodiversità. Se le api scompaiono, scompaiono anche le nostre colture. Se le foreste diminuiscono, noi diminuiamo. Se il fitoplancton muore, noi moriamo! Se le piante erbacee muoiono, anche noi moriamo!
Noi esistiamo grazie al contributo geoingegneristico di milioni di specie diverse che fanno funzionare il sistema ecologico necessario per la nostra sopravvivenza. Dai batteri alle balene, dalle alghe alle sequoie. Se danneggiamo le fondamenta di questo sistema di sopravvivenza, tutto ciò che abbiamo creato scomparirà. E noi scompariremo.
La guerra che abbiamo dichiarato alla natura è una guerra contro noi stessi
Abbiamo commesso l’errore di aver dichiarato guerra alla natura e, grazie alle nostre tecnologie, sembra che vinceremo questa guerra. Ma, siccome siamo parte della natura, in questo processo finiremo per autodistruggerci. Il nostro nemico siamo noi stessi e stiamo lentamente diventando coscienti di questo fatto indiscutibile. Ci stiamo distruggendo nell’inutile sforzo di salvare l’immagine di quello che crediamo di essere.
In questa guerra stiamo massacrando milioni di specie (attraverso lo sfruttamento diretto o indiretto) e riducendo i loro numeri a livelli pericolosamente bassi, mentre i numeri dell’umanità raggiungono livelli pericolosamente alti. Stiamo combattendo questa guerra contro la natura con prodotti chimici, con strumenti industriali, aumentando sempre di più le tecnologie di estrazione (come il fracking) e la repressione di chiunque vi si opponga.
Negli ultimi due secoli abbiamo lasciato sulla nostra scia centinaia di miliardi di corpi. Abbiamo torturato, assassinato, abusato e sprecato troppe vite e annientato specie intere. Abbiamo trasformato ecosistemi ricchi di diversità in terre desolate e senza vita, inquinando i mari, l’aria e il suolo con prodotti chimici, metalli pesanti, plastica, radiazioni e scarichi industriali.
Una volta eravamo terrorizzati dalla possibilità di disastri come Chernobyl o Fukushima. Ma questi incidenti sono accaduti e noi ci siamo adattati e li abbiamo accettati. Ora siamo tranquilli.
In questo momento, i mezzi di comunicazione ignorano, i politici negano e il pubblico sembra non interessarsi alle conseguenze spaventose di Fukushima che si stanno verificando davanti ai nostri occhi, che teniamo saldamente chiusi. Fukushima è l’orrore ambientale più grande che abbiamo mai scatenato nella storia dei reati ecologici. Eppure è come se non fosse mai accaduto.
Nel frattempo, stiamo diventando una specie sociopatica. Stiamo perdendo la capacità di esprimere empatia e compassione. Idolatriamo soldati, cacciatori e sviluppatori di risorse senza pensare alle vittime che causano. Ci deliziamo con fantasie violente, salutando come eroi gli assassini fantasiosi bidimensionali. Il nostro atteggiamento è diventato così darwiniano che i deboli (le altre specie) devono soccombere affinché i forti (noi) sopravvivano. Ma dimentichiamo che il darwinismo riconosce le leggi dell’ecologia e, quando si tratta della legge della natura, non possiamo scegliere, perché alla fine è la natura che controlla noi, non il contrario.
Le conseguenze delle nostre azioni non si verificheranno tra molti secoli, ma entro questo secolo. Gli ecosistemi marini stanno collassando, adesso! Il Pianeta si sta scaldando, adesso! Il fitoplancton è in declino, adesso! Per non usare mezzi termini: il Pianeta sta morendo adesso e lo stiamo uccidendo noi!
Se ignoriamo le leggi dell’ecologia non ci sarà sopravvivenza
Secondo la mia esperienza e da ciò che vedo, c’è solo un modo per evitare di finire vittima delle conseguenze dell’aver ignorato le leggi dell’ecologia: dobbiamo liberarci della mentalità antropocentrica e adottare un’idea biocentrica del mondo naturale. Possiamo farlo perché abbiamo insegnanti magnifici nelle comunità indigene di tutto il mondo, che hanno stili di vita biocentrici da migliaia di anni, esattamente come tutta la nostra specie faceva in passato. Dobbiamo imparare a vivere in armonia con le altre specie.
Dobbiamo introdurre una moratoria sulla pesca, sul disboscamento e l’agricoltura su scala industriale. Abbiamo bisogno di smettere di produrre beni che non hanno un valore reale, come tutti gli oggetti in plastica usati per lo svago e l’eccesso. Dobbiamo porre fine alla produzione di massa della plastica che sta soffocando tutti i nostri mari. Dobbiamo smettere di avvelenare il suolo e gettare tossine in mare. Dobbiamo abolire le pratiche culturali che distruggono la vita per il solo scopo di farci divertire. Di certo non sarà facile, ma vogliamo davvero che l’epitaffio della nostra specie sia “Beh, avevamo bisogno dei posti di lavoro”?
Soluzioni impossibili per problemi impossibili
Senza ecologia non c’è economia. Non sono pessimista e non sono mai stato incline a pensieri pessimistici. Le soluzioni esistono e vediamo intorno a noi persone coraggiose, compassionevoli e con immaginazione, che lavorano per un mondo migliore, dedicandosi alla protezione delle specie e degli habitat, trovando alternative agricole biologiche e sviluppando forme di produzione di energia più sostenibili. Innovatori, pensatori, attivisti, artisti, leader ed educatori. Queste persone sono in mezzo a noi e sono sempre di più.
Si dice spesso che i problemi sono troppo grandi e le soluzioni impossibili. Io non ci credo. La soluzione a un problema impossibile è trovare una soluzione impossibile. Si può fare. Nel 1972, l’idea che Nelson Mandela potesse un giorno diventare il presidente del Sudafrica era impensabile e impossibile. Eppure l’impossibile è diventato possibile. Non è mai facile ma è possibile e le possibilità si raggiungono attraverso il coraggio, l’immaginazione, la passione e l’amore.
Anni fa ho imparato dal popolo dei Mohawk che dobbiamo vivere le nostre vite tenendo conto delle conseguenze che ogni azione ha sulle generazioni future di ogni specie. Se amiamo i nostri figli e i nostri nipoti dobbiamo riconoscere che il loro mondo non sarà il nostro mondo. Il loro mondo sarà irriconoscibile rispetto a quello della nostra infanzia. Ogni bambino nato nel Ventunesimo secolo sta affrontando delle sfide che nessun’altra persona ha mai affrontato in tutta la storia della nostra specie: da nuovi patogeni che fuoriescono dal permafrost (l’anno scorso un virus dell’antrace presente nella carcassa di una renna riemersa dai ghiacci in scioglimento ha ucciso 1.500 renne e fatto ricoverare 13 persone in Russia), a eruzioni di metano che aprono giganteschi crateri nella terra in Siberia, l’estinzione di massa di piante e animali, l’inquinamento, sempre più guerre, la violenza irrazionale sotto forma di terrorismo individuale, religioso e statale, fino al collasso di interi ecosistemi.
Il principio di Cassandra
Questo non è allarmismo dettato dalla paura e dal pessimismo. È semplicemente un’osservazione realistica delle conseguenze del nostro ignorare deliberatamente le leggi dell’ecologia. Io lo chiamo il principio di Cassandra. Cassandra era la profetessa dell’antica città di Troia e la sua maledizione era la capacità di vedere il futuro senza che nessuno credesse alle sue profezie. Nessuno la ascoltava e veniva ridicolizzata. Ma aveva ragione. Tutto quello che aveva previsto è poi accaduto e Troia finì distrutta.
Anni fa un critico mediatico mi etichettò come una Cassandra pessimista. Gli risposi: “Forse sì, ma non dimenticate la cosa più importante: Cassandra aveva ragione”. Nel corso degli anni ho fatto delle previsioni (che furono ridicolizzate e rifiutate) che si sono avverate. Nel 1982 ho predetto pubblicamente il collasso dell’industria ittica del merluzzo nell’area nordatlantica. Ed è accaduto dieci anni dopo. Nel 1978, nella rivista Defenders, ho predetto che le popolazioni di elefante africano si sarebbero dimezzate. Mi sbagliavo. Le popolazioni si sono ridotte di due terzi. Nel 1984, ho predetto danni ecologici prodotti dall’industria del salmone, come la diffusione di virus alle popolazioni di salmone selvaggio. Ogni previsione si basava sull’osservazione con riferimento alle leggi dell’ecologia e ogni previsione venne scartata. Ogni previsione si è avverata.
Non è cambiato nulla. Oggi prevedo la morte degli ecosistemi delle barriere coralline in tutto il mondo entro il 2025, il totale collasso delle operazioni di pesca commerciale mondiali entro il 2030 e l’emergenza di malattie virali più aggressive nei prossimi decenni. Non ci vuole una lungimiranza straordinaria per prevedere che la guerra sarà l’affare principale nei prossimi cinquant’anni, così come l’ascesa di governi sempre più autoritari.
Di recente, Rod Marining, un vecchio amico con cui ho fondato Greenpeace, mi ha detto: “La trasformazione della coscienza umana su vasta scala non può avvenire se non con la presenza di due fattori. Il primo è una minaccia chiara di morte e quindi un pericolo per la sopravvivenza della nostra specie. Il secondo è la minaccia della perdita del lavoro o dei beni delle persone. Quando ci sono questi due fattori l’umanità inizia a cambiare il proprio pensiero dalla sera alla mattina”.
Ho visto il nostro futuro scritto nei nostri comportamenti. E non è un futuro piacevole. Anzi, non è proprio un futuro. I quattro cavalieri dell’apocalisse sono arrivati. Mentre la morte cavalca il cavallo diafano, i quattro cavalli, della pestilenza, della carestia, della guerra e del terrorismo, corrono a gran velocità verso di noi, mentre noi gli voltiamo le spalle. E quando ci travolgeranno, forse distoglieremo lo sguardo dalla nostra ultima futile distrazione per ritrovarci nella polvere dell’apocalisse ecologica.
Ma vedo anche una possibilità di salvezza. E questo può avvenire ascoltando le parole e osservando le azioni delle popolazioni indigene, guardando i nostri figli negli occhi, uscendo dal cerchio dell’antropocentrismo, capendo che facciamo parte di un continuum, rifiutandoci di prendere parte all’illusione antropocentrica, accogliendo il biocentrismo e cercando di capire appieno le leggi dell’ecologia e il fatto che queste leggi non possono e non devono essere ignorate se vogliamo sopravvivere.
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