Articolo pubblicato il 14 maggio 2019 e aggiornato il 3 febbraio 2021
31 ottobre 2019, termina l’incarico dell’italiano Mario Draghi come presidente della Banca centrale europea (Bce). Un mandato iniziato a novembre del 2011, quando diversi paesi del Vecchio continente (Italia compresa) erano nel pieno della crisi del debito sovrano, e nessuno poteva ancora immaginare un terremoto come la Brexit. 2 febbraio 2021, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo convoca al Quirinale per il giorno successivo per discutere con lui su un futuro “governo di alto profilo”. Facciamo un passo indietro per ricordare chi è Mario Draghi e cosa ha fatto per la stabilità economica europea.
Prima della Bce, la Banca d’Italia
Con una laurea in Economia all’università la Sapienza di Roma e un PhD al Mit di Boston nel curriculum, Mario Draghi inizia la sua carriera nel mondo accademico, ricoprendo al tempo stesso i primi incarichi di prestigio nelle istituzioni: direttore esecutivo nel Cda della Banca mondiale dal 1984 al 1990, poi direttore generale del Tesoro fino al 2001, quindi presidente dello European economic and financial committee. Nel 2002 si mette al servizio di una delle più grandi banche d’affari del mondo, Goldman Sachs.
Nel 2005, il grande salto. Il nome di Antonio Fazio, che aveva guidato la Banca d’Italia durante la delicata transizione dalla lira all’euro, salta fuori nelle intercettazioni sulla controversa acquisizione di Banca Antonveneta. Fazio rassegna le dimissioni e a prendere il suo posto è proprio Mario Draghi. Il suo è il primo mandato ad avere un termine prefissato, pari a sei anni rinnovabili solo una volta. Nell’aprile 2006 diventa anche presidente del Financial stability forum, l’ente che riunisce esperti e istituzioni per promuovere la stabilità finanziaria internazionale (poi rimpiazzato dal Financial stability board).
Gli anni di Mario Draghi alla Bce
L’incarico per cui tutti noi lo conosciamo, quello di numero uno della Banca centrale europea, inizia il 24 giugno 2011. In quel periodo, nella stanza dei bottoni comunitaria, la reputazione dell’Italia non è delle migliori: insieme a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, il nostro paese è uno di quei Piigs affossati dal debito, tanto da essere ritenuti una minaccia per la tenuta economica del Vecchio Continente. Ma la fama di Draghi riesce a vincere lo scetticismo di francesi e tedeschi. Al suo posto, alla Banca d’Italia, siederà Antonio Visco.
In effetti, il suo mandato all’Eurotower inizia coi fuochi d’artificio. Il 5 agosto Silvio Berlusconi, all’epoca presidente del Consiglio, riceve una lettera riservata a firma proprio del neo-presidente e del suo predecessore Jean-Claude Trichet. “Il Consiglio direttivo ritiene che l’Italia debba con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali”, recita la missiva, che propone all’esecutivo di Roma un elenco di misure urgenti. È uno dei passaggi più delicati di una crisi che porta, a novembre, all’insediamento del governo tecnico guidato da Mario Monti.
Il 2011 e il 2012 sono gli anni più duri per la tenuta dell’euro. Ed è in questa fase, il 26 luglio 2012, che Mario Draghi pronuncia parole destinate a restare scolpite nella storia dell’Unione. “Entro il suo mandato la Bce preserverà l’euro, costi quel che costi (whatever it takes). E, credetemi, sarà abbastanza”.
La moneta unica alla fine ne esce in piedi grazie a una serie di misure: le operazioni di rifinanziamento al mercato bancario varate dalla Bce (Ltro); le riforme delle politiche economiche nazionali sancite dal fiscal compact (l’accordo con cui gli stati si impegnano a contenere il loro debito pubblico); e i tagli ai tassi d’interesse, che riducono il costo del denaro e rendono più vantaggioso l’accesso ai finanziamenti. Il prezzo da pagare soprattutto per le economie più traballanti, Grecia in primis, sono le dure politiche di austerità che impongono pesantissimi sacrifici alla popolazione.
La rivoluzione del quantitative easing
Se il tracollo è scongiurato, è anche vero che dopo anni di austerità le economie europee sono stagnanti e l’inflazione si mantiene su tassi pericolosamente bassi. Bisogna infatti ricordare che un’inflazione moderata è fisiologica in un’economia sana, mentre la deflazione (cioè la discesa dei prezzi di beni e servizi) fa molti più danni nel lungo periodo.
Ecco allora arrivare il massiccio programma di quantitative easing, con cui la Bce riacquista i titoli di stato dalle banche a condizioni molto vantaggiose, immettendo liquidità che le banche stesse dovrebbero usare per concedere prestiti a famiglie e imprese. Per l’Unione europea, fino a pochi mesi prima, era un vero e proprio tabù. Ma Draghi prende spunto dalla Federal Reserve americana, mette all’opera la sua diplomazia per vincere parecchie resistenze (soprattutto da parte della Germania di Angela Merkel) e vara un piano massiccio che vale 1.100 miliardi di euro nel biennio 2015-2016. “Il politico numero uno dell’area euro è un banchiere centrale”, commenta l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) all’indomani dell’annuncio.
Il programma viene prolungato a più riprese, anche se con volumi minori, per poi esaurirsi alla fine del 2018. A conti fatti, la Bce ha acquistato titoli (e quindi immesso denaro nel sistema economico) per un valore di circa 2.600 miliardi di euro, una cifra stratosferica, che equivale a circa il 17 per cento del pil dell’Unione europea nel 2017. Nel frattempo, i tassi d’interesse non sono mai stati alzati. La Bce di recente ha fatto sapere che rimarranno fermi fino alla fine del 2019 e che, da settembre di quest’anno a marzo del 2021, erogherà nuovi finanziamenti a lungo termine alle banche (Trlro).
“Se sei alla ricerca del lavoro più difficile del mondo, ti basta andare a Francoforte”. È l’incipit di un editoriale di Bloomberg che, ad aprile 2019, titola “Non sarà facile sostituire Mario Draghi”. “All’Europa non mancano i talenti nelle banche centrali, ma nessuno dei papabili si avvicina al carisma e alle abilità dell’attuale numero uno. La difficile domanda che deve affrontare l’eurozona è: un presidente più ordinario sarà abbastanza forte da tenere insieme un’unione monetaria così litigiosa?” Un’opinione condivisa dalla maggior parte degli osservatori internazionali.
La Bce è riuscita a risollevare l’euro dalla crisi finanziaria e da quella del debito sovrano, sottolinea l’Economist, agguantando la ripresa tra il 2015 e il 2017. Ma non può permettersi di dormire sugli allori. Il 2019 è l’anno dell’addio di tre membri del comitato esecutivo su sei (oltre a Draghi, anche il capo economista Peter Praet e il francese Benoît Cœuré) e di otto membri del consiglio, in cui siedono i 19 governatori delle banche centrali dei singoli stati. E a fine maggio sono previste le elezioni europee, sulle quali incombe lo spettro della Brexit.
Quella del sostituto di Draghi è una scelta politica molto delicata, dove la posta in gioco è molto più alta rispetto a una semplice poltrona, ribadisce l’Economist. La possibilità che si piazzi appositamente un candidato debole, ben incasellato rispetto gli altri vertici dell’Unione, si tradurrebbe in un “disastro”, mette nero su bianco Bloomberg. Una qualsiasi decisione sbagliata in materia di politica economica infatti potrebbe far traballare la credibilità dell’istituto come guardiano dell’area euro, una credibilità conquistata nel tempo con grande fatica.
Europe’s faltering economy and fractious politics are complicating the region’s biggest personnel question in years: Who will replace Mario Draghi as president of the European Central Bank? https://t.co/NHZadmNyoP
Sotto la presidenza di Mario Draghi, la Bce ha compiuto alcune scelte storiche. Ma nonostante tutto, nonostante i tassi ai minimi e nonostante i 2.600 miliardi di euro iniettati nel sistema, l’economia del Vecchio Continente ancora non si risolleva. Il successore di Draghi è chiamato quindi a inventarsi qualcosa di nuovo per rassicurare i mercati. Il che non è certo facile, visto che gli stati membri devono esprimersi all’unanimità su qualsiasi cambiamento del mandato della Bce. Complice la dilagante ondata di sovranismo, è lecito attendersi che ciascuno lotti per tutelare i propri interessi: se Spagna e Grecia incolpano la Bce delle durissime politiche di austerità, la Germania non le ha mai perdonato il quantitative easing e il taglio dei tassi di interesse. Questo potrebbe esacerbare le fratture interne al consiglio, che però – ribadisce l’Economist – ha il compito di dettare le linee guida per l’Unione nel suo insieme, non certo di rincorrere il consenso degli elettori di questo o quel territorio.
Christine Lagarde prende il posto di Draghi come presidente della Bce
Mentre il mandato di Draghi si avvicina alla sua scadenza, la pressione politica sulla Bce si fa sempre più forte. Il nuovo presidente ha davanti a sé il compito di a riportare l’inflazione verso i suoi valori-obiettivo, scongiurare la recessione e al tempo stesso convincere i governi nazionali a premere sull’acceleratore delle riforme bancarie e fiscali; in caso contrario, la politica monetaria rischia di restare isolata. Tutto questo, cercando di tenere a bada gli interessi politici divergenti. Se l’unica vera istituzione economica europea finirà per vacillare, conclude l’Economist, lo farà anche l’intera eurozona.
Questa responsabilità di tutto rispetto viene affidata a Christine Lagarde, francese, già presidente del Fondo monetario internazionale (Fmi) dal 2011 al 2019. A pochi mesi dal suo insediamento, Lagarde si trova anche a fare i conti con la pandemia da coronavirus che scompagina i piani e spinge l’Unione europea a mettere in pista un colossale piano di sostegno all’economia, il Next Generation Eu (noto anche come recovery fund). Uno strumento che “deve diventare operativo senza indugio”, esorta la governatrice, rimarcando i rischi a cui è esposta l’economia a causa del perdurare dei contagi e delle severe misure di lockdown.
Mario Draghi convocato al Quirinale
Dopo la crisi di governo di fine gennaio 2021, non esiste più una maggioranza disposta a sostenere un nuovo governo politico guidato dal dimissionario Giuseppe Conte. È la conclusione a cui è giunto il presidente della Camera Roberto Fico, a cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva affidato un mandato esplorativo. L’opzione di indire nuove elezioni, sostiene Mattarella con dovizia di argomentazioni, sarebbe un “esercizio di democrazia” purtroppo non conciliabile con l’emergenza sanitaria in corso. “Avverto, pertanto, il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica”.
#Mattarella: Conto di conferire al più presto un incarico per formare un #Governo che faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili che ho ricordato
Nell’attesa di conoscere l’esito dell’incontro, tra giornali e social media circola una lettera aperta pubblicata da Draghi sul Financial Times a fine marzo 2020, una delle fasi più convulse e drammatiche dell’emergenza Covid-19. “La sfida che dobbiamo affrontare è quella di agire con forza e velocità sufficienti per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di inadempienze che lasciano danni irreversibili”, scrive. Sottolineando come spetti ai governi sostenere l’economia anche mediante un “significativo incremento del debito pubblico“, come è sempre accaduto in situazioni di grave emergenza, guerre in primis.
“La domanda chiave non è se lo Stato debba fare un buon uso del proprio bilancio, ma come”, continua. Più ancora di assistere a posteriori chi ha perso il lavoro, bisogna evitare che ciò accada. Serve quindi liquidità per le aziende di qualsiasi dimensione e per gli imprenditori, e serve in fretta, senza pastoie burocratiche. “Le banche devono rapidamente prestare soldi a costo zero alle imprese preparate a salvare i posti di lavoro”, con il fondamentale sostegno da parte degli stati.
Si tratta di uno shock straordinario per proporzioni e per caratteristiche, conclude, ma per certi versi l’Europa è attrezzata per affrontarlo perché coniuga un sistema finanziario capillare a un solido apparato pubblico. Ma per vincere questa sfida servono due cose: velocità e un cambio di mentalità. Dichiarazioni che molti paragonano a un programma di governo.
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