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Cos’è il microcredito di Yunus, come funziona e come ha cambiato il mondo
Dalla Grameen Bank di Muhammad Yunus all’Europa dei nostri giorni, il microcredito ormai è una realtà che sostiene imprenditoria e inclusione sociale.
In principio fu Muhammad Yunus. Era il 1974, il Bangladesh era stato colpito da una violenta inondazione seguita da una grave carestia e Yunus fece un prestito di 27 dollari a un gruppo di donne della città di Jobra, vicino all’università dove insegnava. Le donne producevano cesti in bambù, ma erano costrette a venderli a un prezzo talmente basso da riuscire a malapena a ripagare la materia prima. Con la piccola somma ricevuta riuscirono a dare uno slancio alla propria attività e ripagare il loro debito con perfetta puntualità. Era nato così il microcredito, che avrebbe letteralmente rivoluzionato la vita di intere zone rurali del Sud del mondo.
La parabola di Grameen Bank
Sono passati 42 anni. La figlia di quel pionieristico esperimento si chiama Grameen Bank e in India e Bangladesh è conosciuta come come “la banca dei poveri” perché è nata per garantire alla popolazione locale l’accesso al credito, concedendo micro-prestiti senza richiedere garanzie collaterali. Con oltre 2.500 filiali, Grameen Bank ad oggi è presente in 81.393 villaggi del Bangladesh e serve più di 8,8 milioni di clienti: per il 96,5 per cento si tratta di donne. Stando agli ultimi dati disponibili, pubblicati a ottobre 2016, in questi 42 anni l’istituto ha erogato micro-prestiti per un volume complessivo di 19,9 miliardi di dollari. E il tasso medio di recupero è sorprendente, soprattutto se si considera il fatto che che i beneficiari sono soggetti tagliati fuori dai circuiti bancari tradizionali: il 98,96 per cento dei prestiti viene regolarmente restituito.
Muhammad Yunus (insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2006) non è più a capo della “sua” banca dal 2011, quando è stato costretto dalla banca centrale bengalese ad andare in pensione. La ragione ufficiale era quella dei sopraggiunti limiti di età, ma a detta sua le reali motivazioni erano di stampo politico. Nello stesso periodo, Yunus veniva coinvolto da pesanti polemiche, poi parzialmente chiarite. E nel 2013 il governo del Bangladesh ha nazionalizzato l’istituto, segnando la fine di un’era. Ma, al di là delle traversie che ha vissuto nel corso degli anni, Grameen Bank ha posto la prima pietra di un modello radicalmente nuovo.
Cosa significa microcredito
Il microcredito, infatti, è uscito dai confini di India e Bangladesh per diventare sistema. Tanto più dopo la crisi finanziaria globale, con cui le banche di tutto il mondo si sono viste costrette a chiudere i rubinetti, tagliando fuori intere fasce di popolazione e di imprenditoria. Un dato per tutti: tra il 2009 e il 2014, in Italia, i dieci più grandi istituti di credito quotati hanno sforbiciato i crediti alla clientela per 120 miliardi di euro. In altre parole, si è letteralmente volatilizzato il 10 per cento del portafoglio prestiti della fine del 2009, quando lo tsunami della crisi, originatosi dall’altra parte dell’Atlantico, ha travolto il nostro paese. Non stiamo più parlando di realtà “lontane” come il Bangladesh, ma delle banche in cui noi teniamo al sicuro i nostri risparmi: Unicredit, Banco Popolare, Ubi, Intesa Sanpaolo. Ecco perché una realtà come il microcredito riguarda anche noi, le nostre imprese e le nostre famiglie sempre più ai margini dei consueti circuiti bancari.
Ma cosa si intende, nello specifico, per microcredito? La Commissione europea distingue tra microcredito sociale e microcredito d’impresa. Con il primo termine si intendono i piccoli prestiti concessi a persone e famiglie in difficoltà economica, per sostenerle ma anche per responsabilizzarle, visto che dovranno restituire la somma. Il microcredito d’impresa invece mira a garantire il diritto all’iniziativa economica, creando un circolo virtuoso per cui gli imprenditori diventano progressivamente in grado di generare reddito e svincolarsi dal sostegno esterno. I beneficiari dunque non devono fornire garanzie tangibili sotto forma di capitali, quanto dimostrare che il loro progetto è valido e affidabile.
I numeri del microcredito in Italia e in Europa
Lo European Microfinance Network ogni due anni pubblica uno studio complessivo sul microcredito nel Vecchio Continente. L’ultima edizione, pubblicata nel 2014 e riferita al biennio 2012-2013, ha interpellato 150 istituti di microfinanza provenienti da 24 diversi Paesi. Nel 2013 questi ultimi hanno erogato 387.812 microprestiti (+69 per cento rispetto a due anni prima) per un volume totale pari a 1,52 miliardi di euro, il 45 per cento in più rispetto al 2011. L’ago della bilancia si sta gradualmente spostando nella direzione del microcredito d’impresa, che nel 2013 ha rappresentato il 79 per cento del valore totale dei prestiti erogati; tale percentuale, solo due anni prima, era pari al 74 per cento. Elaborare una valutazione attendibile – precisa lo European Microfinance Network – non è affatto facile, ma si stima che nel 2013 gli istituti oggetto dello studio abbiano supportato almeno 121.270 microimprese e startup, creando circa 250mila posti di lavoro in tutt’Europa.
Per approfondire le dinamiche del microcredito in Italia ci si può affidare ai dati dell’Ente Nazionale per il Microcredito, che coordina e monitora gli strumenti della microfinanza su incarico della Presidenza del Consiglio. Nel periodo compreso tra il 2011 e il 2014, rivela, in Italia sono stati erogati oltre 370 milioni di euro: la maggior parte di questa cifra (277 milioni di euro) è servita a finanziare attività produttive. Grazie al microcredito, circa 14 mila nostri connazionali sono stati in grado di avviare o sostenere un’attività lavorativa. In media, ogni beneficiario di microcredito produttivo genera 2,43 posti di lavoro (lui compreso): ciò significa che dal 2011 al 2014 in Italia il microcredito ha creato oltre 34.000 posti di lavoro.
Immagine in evidenza: World Economic Forum / Wikimedia Commons
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