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Perché la Turchia spinge migliaia di profughi verso la Grecia e cosa fa l’Europa
Il presidente della Turchia Erdogan singe verso l’Europa decine di migliaia di migranti, soprattutto siriani, che vengono respinti dalla Grecia.
Abbiamo imparato tutto, o quasi, dei flussi migratori del Mediterraneo, che riguardano strettamente l’Italia. Abbiamo iniziato, pian piano, a scoprire anche la rotta balcanica che interessava prima l’Ungheria, ora soprattutto la Croazia. Da domenica scorsa infine abbiamo scoperto, o riscoperto, che anche i confini sudorientali dell’Unione europea, quelli che dividono Grecia e Bulgaria dalla Turchia, rappresentano un fronte caldo. Anzi caldissimo: sono almeno 135mila, a detta del ministero dell’Interno di Ankara, i migranti che in meno di 72 ore si sono spostati dalle zone interne del paese verso il confine europeo, approfittando del lasciapassare concesso loro dal premier turco Recep Tayyp Erdogan.
Perché la Turchia ha aperto i confini ai migranti
Numeri che a dire il vero si discostano di molto da quelli forniti dalle autorità greche e alcune ong: Save the Children lunedi sera parlava di 13 mila migranti che avevano raggiuntole frontiere ufficiali a Pazarkule e Ipsala, così come i numerosi punti di accesso informali. Di questi, un terzo sarebbe costituito da minorenni. In ogni caso, il lasciapassare – che per ora è momentaneo, valido per una finestra temporale di 72 ore – potrebbe essere rinnovato, se non reso permanente. Tanto che lo stesso Erdogan ha avvisato: “Il numero di migranti diretti in Europa è di centinaia di migliaia e presto saranno milioni”.
Ma perché la Turchia ha deciso di aprire i propri confini, lasciando passare i migranti? Sono due i motivi principali, e riguardano tutti e due la Siria, dove l’esercito di Erdogan è da tempo sceso in campo in una guerra che vede l’Europa divisa e silenziosa. A Bruxelles, Ankara chiede (inutilmente) un sostegno concreto nelle operazioni in un teatro di guerra molto complesso che vede coinvolte le truppe lealiste di Assad, i ribelli, ma anche i militanti dello Stato islamico. Il risultato è che tre milioni e mezzo di profughi dalla Siria (cui si aggiungono quelli iracheni e afgani) da anni ormai hanno trovato riparo in Turchia, e da lì prima del 2016 in Europa, soprattutto in Germania.
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Nel marzo del 2016, però, Unione europea e Turchia avevano raggiunto un accordo che prevedeva che il governo di Ankara si occupasse di fermare il flusso di migranti, a fronte del pagamento di un corrispettivo di 6 miliardi di euro. Oggi però Erdogan accusa l’Europa di non aver rispettato i patti (“Quei soldi non sono stanziati, l’Unione europea mi ha offerto un miliardo, ho rifiutato”), e risponde iniziando a non rispettarli a sua volta: “Pensavano che stessimo bluffando, ma ora iniziano ad arrivare le telefonate…” ha affermato incontrando il premier della Bulgaria, altro paese di confine ma per ora “risparmiato” da Erdogan.
Violenze e delirio lungo l’Egeo, in Grecia
Così, lungo il confine tra Grecia e Turchia, e sulle isole dell’Egeo che da anni fungono da autentici hotspot di migranti, la situazione è tesissima. Tanto che, recentemente, il nuovo governo di Atene ha pensato di costruire un muro galleggiante dal costo di mezzo miliardo di euro. Isole come quella di Lesbo, in effetti, sono praticamente al collasso. Ma ciò non può giustificare le violenze perpetrate dalla polizia e anche della Guardia costiera greca a danno dei migranti. Decine di foto e video hanno documentato il modo in cui, a terra e in mare, le forze dell’ordine respingono i tentativi dei profughi di entrare in Europa, la loro terra promessa.
Violenze si registrano anche da parte del contadini greci che vivono vicino al confine, che tentano di respingere indietro i profughi marciando a bordo dei loro trattori. Sulle isole di Lesbo e Chio si sono registrati anche raid di gruppi di cittadini dell’estrema destra, che hanno distrutto i pacchi con i viveri destinati ai profughi. Anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha ammonito le autorità: “Evitino di adottare misure che potrebbero causare ulteriori sofferenze alle persone più vulnerabili”. E scongiurino “un uso eccessivo o sproporzionato della forza”. Ad aggiungere drammaticità agli eventi c’è anche la notizia della morte di un bambino, annegato a poche miglia dalla costa di Lesbo nel naufragio di un gommone con 48 persone a bordo.
L’isola di Lesbo, con il suo enorme campo profughi di Moria, è insieme alle altre isole di Chio e Samo la più colpita dall’emergenza: un network di 75 organizzazioni non governative ha sottoscritto una lettera indirizzata al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e ai leader europei chiedendo di intervenire “per decongestionare immediatamente le isole dell’Egeo. Dal momento che, attualmente, a Lesbo stanziano 42mila richiedenti asilo in un campo costruito per accoglierne solamente seimila, sostenere la Grecia nelle procedure nei centri di accoglienza e identificazione e creare un registro condiviso di operatori legali e sanitari”. Dopo 5 anni “di assenza di politiche, l’Europa deve ora agire sulla base dei propri valori e difendere i diritti umani dei rifugiati” spiega Matthias Mertens, coordinatore della campagna Europe Must Act.
La risposta dell’Europa: difendere le frontiere
La risposta europea al momento è tutta in divenire: per scoraggiare i flussi, la Grecia ha immediatamente sospeso per un mese l’accettazione delle domande di asilo, attirandosi le critiche dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: “Nè la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo forniscono alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo”.
Joint press conference in Greece with President @vonderleyen, @eucopresident Charles Michel, @EP_President David Sassoli, Prime Minister @kmitsotakis and Prime Minister @AndrejPlenkovic.https://t.co/Q8d7QVTghk
— European Commission ?? (@EU_Commission) March 3, 2020
Atene ha chiesto immediatamente il supporto di Bruxelles: “Il ruolo della Grecia è quello di proteggere i propri confini che sono anche i confini dell’Unione Europea, dunque ci aspettiamo una solidarietà tangibile” ha spiegato il premier greco Kyriakos Mītsotakis. Frontex, l’Agenzia europea a guardia delle frontiere, ha immediatamente aumentato la sorveglianza sulle coste della nazione europea, richiamando uomini da altre operazioni per fornire assistenza immediata. E il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, presente al vertice europeo che è stato convocato con urgenza in Grecia, ha assicurato che l’Europa “supporta pienamente gli sforzi greci” e che “proteggere le frontiere nel rispetto delle leggi internazionali, dei diritti umani e della dignità è essenziale”.
A parte lo spiegamento di forze al confine, però, al momento tutto sembra tacere su questioni quali la redistribuzione dei migranti in arrivo (cui la Germania si è già opposta). Così come sull’ipotesi di ripresa di una trattativa con la Turchia, sull’apertura di corridoi umanitari che riguardi quantomeno i minori, che pure viene richiesta da più parti nel mondo delle organizzazioni non governative, e più in generale un ripensamento globale delle politiche migratorie. Anzi, per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen la Grecia “è lo scudo d’Europa”, parole che hanno fatto rabbrividire chi ha a cuore il rispetto dei diritti umani dei migranti.
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