La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Multinazionali, le richieste degli azionisti fanno pensare che qualcosa stia cambiando
Quando si pensa alle assemblee degli azionisti delle grandi multinazionali, probabilmente ci si immagina discussioni infinite su dividendi, margini di profitto e trend di mercato. Senza dubbio, in questo quadro c’è molto di vero. Ma, soprattutto in questi ultimi mesi, si stanno moltiplicando iniziative di carattere molto diverso. Tanti piccoli segnali che fanno sperare che
Quando si pensa alle assemblee degli azionisti delle grandi multinazionali, probabilmente ci si immagina discussioni infinite su dividendi, margini di profitto e trend di mercato. Senza dubbio, in questo quadro c’è molto di vero. Ma, soprattutto in questi ultimi mesi, si stanno moltiplicando iniziative di carattere molto diverso. Tanti piccoli segnali che fanno sperare che piano piano qualcosa stia cambiando, anche nei luoghi-simbolo del potere economico.
Donne e minoranze etniche nei consigli di amministrazione
Perché, ancora oggi, nei consigli di amministrazione delle grandi multinazionali siedono quasi soltanto uomini bianchi? Secondo i dati raccolti da ISS Analytics, e riportati da Bloomberg, continua ad aumentare il numero di azionisti che avanzano mozioni per quella che in gergo è chiamata diversity, vale a dire l’equa rappresentanza di generi ed etnie. Nell’ultimo quinquennio, ogni anno è stata presentata almeno una ventina di richieste di questo tipo alle più grandi multinazionali americane. Non è detto che queste mozioni vadano sempre a buon fine: anzi, lo scorso anno le assemblee di Apple, Linkedin e Skechers Usa le hanno sonoramente bocciate. Aziende come IBM e CVS, al contrario, hanno reagito di conseguenza.
Il cammino, d’altra parte, è ancora lungo. Allo stato attuale delle cose, bisognerà attendere fino almeno al 2055 perché le donne raggiungano il 50 per cento dei posti nei consigli di amministrazione delle grandi multinazionali Usa. Dove, nell’ultimo decennio, la rappresentanza delle minoranze etniche è rimasta pressoché inalterata.
Basta con i bonus milionari dei dirigenti
Secondo il Financial Times, le multinazionali statunitensi e britanniche dovranno attendersi una primavera calda anche su un altro fronte: quello delle retribuzioni dei dirigenti. Fino a qualche anno fa, l’abitudine di premiare i vertici aziendali a suon di bonus milionari era pressoché universale. Ma la crisi finanziaria globale ha fatto scoprire che, in molti casi, i dirigenti intraprendevano condotte spericolate pur di gonfiare i profitti nel breve periodo e intascare il loro premio. E che le stesse aziende che sborsavano milioni per una manciata di manager, contemporaneamente, magari licenziavano migliaia di dipendenti in tutto il mondo.
Da allora, il tema è finito più volte sotto i riflettori. Tra le vittime eccellenti, che sono state costrette a tornare sui propri passi pur di non scatenare rivolte tra gli azionisti, ci sono BP (responsabile del disastro della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico), la società informatica Oracle, il tour operator Thomas Cook, il produttore di tabacco Imperial Brands. D’altronde, ci sono nomi di tutto rispetto tra i grandi investitori che hanno promesso di vigilare sulle remunerazioni nel corso di quest’anno. Come BlackRock, Aberdeen Asset Management, Standard Life Investments e il fondo sovrano norvegese, celebre in tutto il mondo per i criteri etici, sociali e ambientali delle sue scelte di investimento.
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