Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
La scarsità di piogge nell’Italia del Nord svela quanta plastica abbiamo gettato in fiumi e laghi
In Veneto, un torrente in secca fa riemergere migliaia di rifiuti di plastica dal corso d’acqua. Greenpeace chiede alle multinazionali di impegnarsi concretamente contro gli imballaggi.
La siccità nell’Italia del Nord di questi mesi è seria e ha messo in difficoltà laghi e fiumi. Dopo il sesto inverno più secco degli ultimi 60 anni, la primavera è cominciata – per fortuna – con qualche ora di pioggia. Intanto però, la siccità dei mesi scorsi, ha fatto emergere dai corsi d’acqua in secca diversi rifiuti, tra cui moltissima plastica. A dimostrarlo sono le immagini diffuse dalla ong Greenpeace Italia quando, il 3 aprile, alcuni cittadini del Veneto, nello specifico abitanti della località Torretta, nel comune di Legnago (Verona), hanno deciso di raccoglierla per ripulire rive e alvei.
Il 40% della plastica è imballaggio
Gli imballaggi in plastica, le bottiglie, i giocattoli (tra cui un triciclo) sono solo alcuni dei rifiuti riemersi dal torrente Canalbianco, un affluente del fiume Po, dimostrando così il livello di inquinamento che affligge i corsi d’acqua e che pone una seria riflessione sulle conseguenze dell’abuso di contenitori e imballaggi in plastica monouso. Le immagini, infatti, mostrano “uno scenario tipico dei paesi del Sudest asiatico“, come commenta in una nota Greenpeace, “dove i fiumi sono delle vere e proprie discariche a cielo aperto“.
Ogni minuto, 24 ore al giorno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce nei mari del Pianeta e diversi studi dimostrano che circa l’80 per cento di questi rifiuti proviene dall’entroterra. Di tutta la plastica prodotta ogni anno, il 40 per cento viene impiegato per la produzione di contenitori e imballaggi monouso, di difficile recupero e riciclo a fine vita. Greenpeace, attraverso le sue campagne, chiede misure urgenti per risolvere il problema alla radice, riducendo la produzione di plastica monouso. Richiesta che stride con quanto previsto dal disegno di legge Salva-mare, approvato di recente dal Consiglio dei ministri, in quanto si interviene solo sulla plastica già presente in mare, dando la possibilità ai pescatori di portare a terra i rifiuti di plastica accidentalmente finiti nella rete.
Greenpeace chiede alle multinazionali di intervenire a monte
“La scarsità idrica che sta caratterizzando da diverse settimane i corsi d’acqua del nord Italia fa emergere, in tutta la sua gravità, il problema dell’inquinamento da plastica e di come i corsi d’acqua siano ormai invasi da contenitori e imballaggi usa e getta», dichiara Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia. “In un contesto globale in cui gli effetti dei cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti è necessario gestire in modo corretto le risorse idriche, proteggendole adeguatamente dall’inquinamento pervasivo da plastica”.
Secondo la fondazione McArthur, 31 multinazionali producono ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica per packaging. Per questo Greenpeace nei mesi scorsi ha lanciato una petizione sottoscritta da più di tre milioni di persone in tutto il mondo, con cui chiede ai grandi marchi come Nestlè, Unilever, Coca-Cola, Pepsi, Ferrero, San Benedetto, Colgate, Danone, Johnson & Johnson e Mars di ridurre la produzione e investire in sistemi di consegna alternativi che non prevedano il ricorso a contenitori e imballaggi in plastica monouso.
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